Discussione su Kenneth Cooper e Arte del Vivere

 

 

MONICA LANFREDINI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XV – 28 ottobre 2017.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: DISCUSSIONE]

 

Dopo la pubblicazione di “Effetti del fitness aerobico dal cervello allo spirito” (Note e Notizie 14-10-17) ci è stato chiesto se vi sono punti di contatto tra la concezione di Kenneth Cooper e quella che emerge dal nostro “Seminario Permanente sull’Arte del Vivere”, visto che uno degli aspetti caratterizzanti questo percorso è la considerazione della reciproca influenza fra cervello (mente) e periferia corporea. Abbiamo rivolto questo interrogativo a Monica Lanfredini che, qui di seguito, discute la questione.

 

Entrando immediatamente in argomento, si può osservare che l’approccio di Kenneth Cooper è stato considerato e discusso varie volte nel corso degli anni di lavoro seminariale, sia per analizzarne in termini neuroscientifici le proprietà sia per comprendere gli effetti nell’adozione pratica da parte di ogni singola persona. Ma è importante sottolineare la diversa natura dei due contesti, quello del Seminario e quello dell’esercizio fisico associato alla fede.

Il regime concepito da Cooper è una pratica, inizialmente proposta come trattamento preventivo; e in questo senso può considerarsi come una risposta, allo stesso modo di una terapia efficace per eliminare un disturbo.

L’Arte del Vivere è un percorso di conoscenza, una grande palestra mentale che si rifà, già nel nome, al senso che aveva la frequentazione delle scuole filosofiche dell’antichità, come ci ricorda Giovanni Reale a proposito di Seneca: quel pensiero, che l’insegnamento scolastico ha ridotto ad ontologia e metafisica, serviva per imparare a vivere. Alla conoscenza di opere fondamentali per la comprensione del pensiero e della sua struttura, da Platone ad Hegel, fino a Wittgenstein e il suo rilievo dei difetti della filosofia dovuti ai limiti del linguaggio, si è sempre cercato di accostare le nozioni derivate dal sapere neuroscientifico, dalla neurobiologia alla psicologia, dalla psiconeuroimmunologia, alla psicopatologia. Nel 2003 studiammo l’Esperienza del dolore dall’antica Grecia ai giorni nostri, cercando di comprendere il suo valore ontologico in chiave filosofica, psicologica e antropologica, mettendo a confronto l’orizzonte della cultura greca con quello della visione cristiana, secondo quanto ci era stato suggerito da Salvatore Natoli. E in seguito abbiamo conservato l’utilizzo di questi due registri per la riflessione comparativa. Per cercare di superare le barriere convenzionali fra il ragionamento filosofico e i metodi della psicologia individuale, prendemmo le mosse dalla lettura delle tre opere che, avendo sicuro valore filosofico, sono al contempo autobiografiche: L’Apologia di Socrate, le Confessioni di Sant’Agostino e il Discorso sul metodo di Cartesio.

Senza voler entrare nel merito del seminario, delle tematiche annuali, di quattordici anni di elaborazioni e di un metodo di lavoro difficile da sintetizzare in poche frasi, voglio solo notare che sempre più negli anni recenti, dopo alcuni anni di una riflessione avviata con La Ricerca dello Spirito nel Cervello, sono stati considerati ed approfonditi aspetti della spiritualità cristiana anche in rapporto alla conoscenza neuroscientifica.

Tanto premesso, ci è facile comprendere come un problema sempre presente alla mente dei partecipanti all’Arte del Vivere sia stato quello relativo alla compatibilità con la concezione cristiana della persona e della vita, di ogni approccio conoscitivo o terapeutico della mente. Ad esempio, tutte le pratiche che indeboliscono la coscienza del soggetto, funzione necessaria per la responsabilità morale individuale e luogo privilegiato dell’incontro con Dio per il cristiano, sono da ritenersi incompatibili con la fede dei seguaci di Gesù Cristo.

Alcuni principi dell’Arte del Vivere hanno un corrispettivo nella spiritualità cristiana. La ricerca di una fronesis, intesa come ambiente mentale che consente saggezza di giudizio, può facilmente essere accostata alla Sapienza della tradizione giudaico-cristiana; la giusta distanza può essere considerata come una conseguenza del “perfetto distacco da se stessi e da tutte le cose di questo mondo”; la separazione nel giudizio del soggetto dall’oggetto ha un parziale equivalente nella distinzione paradigmatica del peccato dal peccatore. L’Arte del Vivere, poi, non ha un fine edonistico di ricerca del benessere come piacere, o uno scopo mirato in chiave terapeutica, ma tende a promuovere apprendimenti attraverso l’esercizio della funzione mentale attuale, al fine di strutturare progressivamente paradigmi e procedure operative in grado di favorire il raggiungimento e il mantenimento di un equilibrio complessivo dell’organismo. Un tale fine non appare in contrasto con percorsi di crescita spirituale.

Ma, se dal punto di vista di noi partecipanti all’Arte del Vivere sembra esservi una totale compatibilità con l’ispirazione cristiana, dal punto di vista dell’imitazione di Cristo qualche problema può sempre sorgere con qualsiasi pratica che impegna tempo mentale e materiale, a volte ponendosi come prioritaria. Infatti, porre al primo posto l’Altissimo e il servizio dei fratelli, da amare come Cristo ha amato noi (cfr. Giov.: 15,12), prendere ogni giorno la propria croce e seguire Cristo (cfr. Lc.: 9, 23), come è richiesto a ciascun fedele, fare ad imitazione dei santi una vita di sacrificio senza risparmiare il proprio tempo, le proprie energie e la propria salute, mal si concilia con un programma che sembra mettere al primo posto il benessere della persona. Una vita cristiana è concepita al servizio del prossimo, senza risparmiarsi, senza mai anteporre il proprio interesse e accettando tutte le cose negative che dal rapporto col prossimo derivano. Cominciare la giornata andando a fare una bella passeggiata o una corsa all’aria aperta, sa più di vacanza che di “prendere ogni giorno la propria croce” per seguire il Signore.

La prospettiva dei fautori dell’esercizio aerobico è del tutto diversa, perché non si pongono problemi in termini di compatibilità spirituale di una pratica che nasce come esercizio per migliorare la funzione cardiovascolare: una “terapia preventiva” non ha bisogno di giustificazioni. In effetti, Kenneth Cooper sostiene che il profilo di igiene comportamentale richiesto nei sui centri, caratterizzato dalla messa al bando di droghe e tabacco, dal moderare l’assunzione di alcool, dal controllare il peso, seguire una dieta rigorosa ed allenarsi costantemente, possa ritenersi il modo migliore per trattare il corpo quale “tempio dello spirito” secondo la definizione impiegata da Gesù stesso. Su questa base, Cooper ha promosso la realizzazione di centri di fitness presso le stesse chiese, e molte comunità cristiane hanno aderito con una vasta partecipazione; inoltre, afferma che la cosa migliore che possano fare i cristiani è costituire delle organizzazioni finalizzate al “fitness basato sulla fede” presso le proprie chiese.

Ricordiamo che a partire da Jackie Sorensen, che convertì i movimenti del jogging in passi e salti da eseguire a tempo di musica, creando la ginnastica aerobica, molti personaggi dello spettacolo hanno fondato centri e palestre specializzate, propagandando una pratica salutistica di stampo marcatamente edonistico e spesso erotico: l’esercizio motorio per sentirsi bene, migliorare di aspetto ed esercitare un potere di attrazione fisica. Le mode legate a questa pratica, anche nelle palestre di molte città italiane, hanno oscurato l’aerobica di Cooper intesa a custodire il corpo e ad impegnarlo nel lavoro fisico allontanandolo dalle tentazioni.

L’esercizio aerobico non agisce solo sulla funzionalità periferica dell’organismo, ma giova anche alla mente; un’azione che però non sembra essere oggetto di un interesse particolare da parte di Kenneth Cooper, che tende a considerare quasi esclusivamente gli effetti benefici di fondo sul cervello, ossia sul “corpo della mente”, senza occuparsi di possibili differenze qualitative nell’agire mentale indotte dalla pratica motoria. Eppure, come abbiamo visto nella recensione del 7 ottobre del lavoro di Talukdar e colleghi[1], il fitness aerobico modifica la connettività cerebrale, accrescendo i collegamenti fra regioni che operano nell’esecutività cognitiva a discapito di quelli che facilitano la risposta allo stress e, dunque, mediano la sofferenza psichica. Un dato che naturalmente va confermato e confrontato con quanto emerge da studi condotti con metodiche diverse, ma che preso anche solo nella semplicità del “cambiamento funzionale” indotto nel cervello, oltre a spiegare le sensazioni soggettive di chi segue questa pratica, fa sicuramente riflettere.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle due note pubblicate in NOTE E NOTIZIE in precedenza: Come il fitness aerobico modella le connessioni cerebrali (07-10-17); Effetti del fitness aerobico dal cervello allo spirito (14-10-17).

 

Monica Lanfredini

BM&L-28 ottobre 2017

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Note e Notizie 07-10-17 Come il fitness aerobico modella le connessioni cerebrali.