Nuovo farmaco per la schizofrenia con una proprietà unica

 

 

LUDOVICA R. POGGI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIV – 10 dicembre 2016.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

La descrizione clinica della schizofrenia e delle forme di psicosi più prossime alla sua caratterizzazione nosografica prevede tre gruppi di manifestazioni: sintomi positivi, sintomi negativi e sintomi cognitivi. Le definizioni appartengono al lessico psicopatologico che, secondo una convenzione della semeiotica medica, indica con “positivo” un segno “produttivo”, ovvero assente nel sano, in contrapposizione con “negativo”, che sta ad indicare un deficit o un difetto di una funzione fisiologica.

Il primo gruppo include i segni più drammatici, sui quali si basa maggiormente la diagnosi di psicosi, ossia allucinazioni, deliri e disorganizzazione del pensiero.

Le allucinazioni, intese come percezioni in assenza degli stimoli adeguati, sono uditive in oltre il 60% dei casi, ma possono essere visive, tattili, olfattive e gustative.

I deliri sono produzioni di pensiero basate su erronee convinzioni non suscettibili di correzione o modifica, anche di fronte ad evidenza materiale e conclamata del contrario. La gamma è potenzialmente molto estesa e spesso in rapporto alla gravità della psicosi, con espressioni plausibili nei casi lievi, come sostenere di essere spiati con telecamere da parenti che hanno realmente indagato sulla vita privata del paziente, fino a manifestazioni inverosimili o illogiche nei casi più gravi, come sostenere di essere controllato nel pensiero da extraterrestri mediante un microchip impiantato nel cervello, o temere di essere ucciso da un personaggio televisivo che potrebbe diffondere un veleno attraverso lo schermo del televisore.

I sintomi positivi includono anche la disorganizzazione del pensiero e della sua espressione verbale, con associazioni concettuali deboli, improprie, basate su errori di categoria per somiglianze superficiali o perdita dei nessi di senso di base; ragionamenti illogici e stati affettivi ed emotivi incoerenti con il contenuto del pensiero.

I sintomi positivi sono quelli più sensibili di regressione con il trattamento farmacologico, anche se raramente si hanno remissioni complete e protratte. Molto più resistenti al trattamento sono i sintomi negativi e i sintomi cognitivi. Fra i segni negativi vi sono la perdita di reattività emozionale, l’anaffettività, l’anedonia, la povertà di linguaggio (di pensiero) e la carenza di motivazione. L’interessamento psicopatologico delle facoltà cognitive si presenta principalmente con una riduzione generale delle abilità intellettive e deficit che si possono così sintetizzare: alterazione delle funzioni legate all’attenzione, difficoltà nel problem-solving, riduzione della memoria dichiarativa verbale, ritardo nel richiamo alla memoria (rievocazione) di parole, e riduzione della fluenza dell’eloquio.

L’ipotesi patogenetica che spiega la fenomenologia clinica in relazione alle alterazioni dei sistemi dopaminergici cerebrali, pur discostandosi dall’assunto di fondo di una responsabilità causale ed esclusiva delle alterazioni della segnalazione legata alla dopamina postulata dalla vecchia teoria dopaminergica della schizofrenia, pone in relazione le manifestazioni patologiche con l’eccesso funzionale legato alla catecolamina nello striato e con il suo difetto nella corteccia cerebrale.

Sulla base di questo assunto, gli antipsicotici antidopaminergici, che risultano efficaci nella riduzione di deliri ed allucinazioni, sarebbero responsabili del peggioramento cognitivo spesso osservato in clinica e generalmente attribuito all’evoluzione naturale della psicopatologia. Nessuno tra i farmaci di attuale impiego, incluso l’agonista parziale dei recettori D2 aripiprazolo, si è rivelato in grado di superare questo limite, pertanto si comprende l’estremo interesse per l’individuazione di un tipo di molecola con la proprietà unica di esercitare un’azione antagonista nello striato ed agonista della dopamina nella corteccia. Tale identificazione è stata compiuto da Nikhil M. Urs e colleghi in uno studio presentato da Salomon H. Snyder della Johns Hopkins University School of Medicine di Baltimore (Maryland, USA).

 (Urs N. M., et al. Distinct cortical and striatal actions of a β-arrestin-biased dopamine D2 receptor ligand reveal unique antipsychotic-like properties. Proceedings of the National Academy of Sciences USA – Epub ahead of print doi: 10.1073/pnas.1614347113, 2016).

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Cell Biology, Duke University Medical Center, Durham, NC  (USA); Department of Pharmacology, National Institute of Mental Health Psychoactive Drug Screening Program, Division of Chemical Biology and Medicinal Chemistry, University of North Carolina at Chapel Hill Medical School, Chapel Hill, NC (USA); Neuroscience and Pain Research Unit, Pfizer Inc., Cambridge, Massachusetts (USA); Department of Pharmacology, Department of Structural and Chemical Biology, Department of Oncological Sciences, Icahn School of Medicine at Mount Sinai, New York, NY (USA); Department of Psychiatry and Behavioral Sciences, Department of Medicine and Neurobiology, Duke University Medical Center, Durham, NC (USA).

La tesi secondo cui un disturbo mentale così pervasivo come la schizofrenia potesse essere attribuito all’alterazione del solo sistema neurotrasmissivo della dopamina non aveva i crismi della teorica scientifica, e tale debolezza era evidente già quarant’anni fa, quando fu formulata, a chiunque avesse una conoscenza non superficiale della neurobiologia. Come è stato tante volte sottolineato dal nostro presidente, la pluralità, la diversificazione e l’apparente ridondanza in un apparato come il sistema nervoso centrale umano, che conta 5 diverse vie per la trasmissione del dolore, 32 aree corticali per l’elaborazione delle immagini visive e almeno 52 distinti neurotrasmettitori, sono espressione di un principio organizzativo che costituisce tanto la chiave per la comprensione in termini evoluzionistici della fisiologia del cervello, quanto la ragione dell’affermarsi della nostra specie nel corso della filogenesi. La cosiddetta ipotesi dopaminergica della patogenesi della schizofrenia e delle psicosi assimilabili o correlate, era di fatto una costruzione ad hoc derivata dall’efficacia empirica degli antagonisti recettoriali della dopamina e, nei decenni successivi, era stata giustificata sulla base di tre osservazioni: 1) tutti i farmaci antipsicotici allora in uso[1] avevano un meccanismo d’azione comune costituito dalla competizione recettoriale con la dopamina ed altri agonisti selettivi; 2) la somministrazione di elevate dosi di levodopa, attraverso l’iperattivazione dei circuiti dopaminergici, può provocare lo sviluppo di sindromi caratterizzate da deliri ed allucinazioni; 3) la somministrazione di farmaci stimolanti la liberazione di dopamina dai terminali delle sinapsi centrali può causare una manifestazione psicopatologica simile alla schizofrenia.

L’attuale concezione delle psicosi schizofreniche, quali disturbi mentali altamente ereditabili con una genetica complessa e caratterizzata da molti geni con effetti singoli limitati ma interagenti a formare il fenotipo, rende assolutamente improbabile che l’alterazione di un singolo sistema di segnalazione possa essere all’origine di una compromissione fisiopatologica tanto estesa e composita quanto quella documentata dalla ricerca più recente. D’altra parte, evidenze emergenti da studi post mortem, riportate ai dati costantemente afferenti dalla ricerca genetica, mostrano la compromissione di vari sistemi neuronici.

Lo studio di campioni autoptici di tessuto nervoso proveniente dal cervello di pazienti è divenuto molto più efficace con l’introduzione dei nuovi metodi di analisi del DNA (microarray analyses), capaci di misurare migliaia di trascritti. Anche la specificità cellulare è altamente cresciuta grazie alla tecnica dell’analisi della singola cellula mediante cattura laser e all’ibridizzazione in situ. L’estesa gamma di anticorpi contro specifiche proteine fa bene sperare per le strategie proteomiche di misura dei polipeptidi e delle loro modificazioni post-traduzione, quali la glicosilazione e la fosforilazione. Infine, i metodi informatici possono identificare inter-relazioni fra proteine e famiglie di proteine implicate in comuni ruoli strutturali o funzionali. Tali analisi sono facilitate da un freeware come “Expression Analysis Systemic Explorer” (EASE), disponibile attraverso la banca dati dei National Institutes of Health (NIH) nota con l’acronimo DAVID (Database for Annotation, Visualization and Integrated Discovery). Questa strategia di studio aiuta nel trovare collegamenti fra anomalie apparentemente isolate di geni o dell’espressione di proteine implicate in funzioni correlate come la mielinizzazione o il metabolismo ossidativo mitocondriale.

Nonostante la possibilità di misurare con precisione la dopamina, il suo metabolita acido omovanillico (HVA) ed altri marker presinaptici dei neuroni dopaminergici nello striato e nelle regioni corticolimbiche per 40 anni, la maggior parte dei rilievi autoptici di tali contrassegni dopaminergici nella schizofrenia ha fornito dati incoerenti o del tutto negativi. Il rilievo in assoluto più riprodotto è che i farmaci antipsicotici accrescono l’HVA nel cervello, nel fluido cerebrospinale (liquor) e nel plasma, coerentemente con quanto emerso dagli studi preclinici, ossia l’aumento del turnover della dopamina causato dal blocco dei recettori D2[2].

Considerata la rilevante correlazione fra l’affinità recettoriale D2 e la potenza clinica dei farmaci antipsicotici, è sorprendente che un’intera generazione di studi non abbia rivelato alcuna coerente evidenza di alterazioni dei recettori D2 misurate come processi di interazione del ligando,  autoradiografia del recettore e ibridizzazione in situ del cervello di schizofrenici non trattati o non trattati farmacologicamente di recente con farmaci antipsicotici[3].

I recettori D4 differiscono dai D2 e D3 per un’affinità sproporzionatamente alta per la clozapina, prototipo dei farmaci antipsicotici atipici, e per alcune altre molecole impiegate in clinica nella farmacoterapia delle psicosi. È di particolare interesse la distribuzione: il recettore D4 è relativamente ben rappresentato nelle aree cortico-limbiche del cervello umano, incluso l’ippocampo, ma è espresso a livelli veramente bassi nello striato. Studi mediante ibridizzazione in situ e PCR non hanno dimostrato finora riconoscibili alterazioni dei recettori D4 nella corteccia e nello striato del cervello di pazienti schizofrenici. Si ricorda che i recettori D1, altamente e densamente espressi nella corteccia frontale dove sono implicati in importanti funzioni cognitive, presentano un’affinità varia e variabile ai farmaci antipsicotici[4].

Prima di passare alla sintetica presentazione dello studio recensito, si ricorda che l’ipofunzione dei recettori del glutammato NMDA contribuisce all’endofenotipo della schizofrenia, caratterizzato anche da alterazioni degli interneuroni inibitori GABAergici, dei sistemi colinergici, di alcune proteine di trasduzione intracellulare del segnale (riduzione), di proteine di strutture e funzioni neuronali di base (ridotta espressione), senza contare la partecipazione della glia.

Urs e colleghi, considerato che anche farmaci come l’agonista parziale D2 aripiprazolo  -originariamente sviluppato per agire simultaneamente sull’eccesso funzionale striatale e sul difetto corticale dei sistemi dopaminergici del cervello schizofrenico - non sono in grado di ottenere effetti terapeutici sul deficit corticale progressivo, hanno sperimentato nuove molecole per questo scopo.

In particolare, sono stati sperimentati composti selezionati di recente, agonisti parziali dei recettori dopaminergici D2 o β-arrestin2 (βarr2)-biased, per agire simultaneamente sull’iper- e sull’ipo-dopaminergia dei due distretti encefalici.

Impiegando topi βarr2-KO specifici per i neuroni, i ricercatori hanno rilevato e dimostrato che effetti simili a quelli antipsicotici di un ligando βarr2-biased D2R sono espletati sia mediante l’antagonismo striatale, sia mediante l’agonismo corticale della segnalazione D2R-βarr2.

La sperimentazione ha poi evidenziato che l’agonismo del ligando βarr2-biased D2R accresce le scariche degli interneuroni inibitori corticali a rapida attivazione (fast-spiking interneurons). Tale rinforzo dell’azione agonistica corticale da parte del ligando βarr2-biased D2R può essere attribuito a queste particolarità della corteccia rispetto allo striato: 1) difetto della segnalazione delle proteine G; 2) elevata espressione  di βarr2 e della GPCR (G protein-coupled receptor) chinasi 2.

Sulla base di questi risultati, per il cui dettaglio si rimanda alla lettura integrale del testo del lavoro originale, gli autori dello studio propongono i ligandi D2R βarr2-biased, per le loro specifiche e selettive azioni regionali, quali punto di partenza per lo sviluppo di nuove e più efficaci terapie farmacologiche delle psicosi.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Ludovica R. Poggi

BM&L-10 dicembre 2016

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Fenotiazinici [distinti in alifatici, come la clorpromazina (Largactil), il primo antipsicotico introdotto da H. Laborit e coll., piperidinici e piperazinici], Tioxantenici, Butirrofenonici [aloperidolo (Serenase)], Difenilbutilpiperidinici [pimozide (Orap)], Dibenzossazepine (loxapina), Dibenzodiazepine (clozapina), Diidroindolici, Benzamidi, Tiazine, Acridanici.

[2] Si ricorda che i recettori dopaminergici, indicati da una cifra progressiva secondo la cronologia di scoperta, consistono nei D1 (positivamente accoppiato con l’adenilil-ciclasi), D2 (negativamente accoppiato con l’adenilil-ciclasi), D3 e D4, che sono dei D2-simili, e D5 che è D1-simile.

[3] Per evitare il rischio di confusione degli effetti degli agonisti D2 sull’espressione dei recettori D2.

[4] Cfr. Joseph T. Coyle & Glenn T. Konopaske, The Neurochemistry of Schizophrenia, pp. 1000-1011, in Basic Neurochemistry (Brady, Siegel, Albers, Price), eighth edition, Elsevier, AP, 2012.