Nuovo strumento di diagnosi e monitoraggio della sclerosi multipla

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIV – 05 novembre 2016.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Un lavoro di notevole interesse riporta la nostra attenzione sulla sclerosi multipla, questa volta per un progresso nell’ambito degli strumenti diagnostici e di monitoraggio necessari alla programmazione terapeutica. Di recente, con la recensione di un lavoro che ha individuato la prima mutazione genica responsabile di casi di sclerosi multipla familiare, è stata proposta un’introduzione alla malattia alla quale si rimanda perché utile a fornire anche al lettore non specialista gli elementi necessari per inquadrare i risultati della ricerca in corso e comprendere i principali problemi clinici legati a questa patologia demielinizzante[1].

Le tecniche di diagnostica per immagini basate sulla risonanza magnetica nucleare ed attualmente in uso per diagnosi e monitoraggio della sclerosi multipla, sono sostanzialmente limitate alla visualizzazione degli effetti secondari della patologia infiammatoria, quali la gliosi, l’edema e le aree di interruzione della barriera emato-encefalica (BEE). Vari gruppi di ricerca, da alcuni anni, stanno valutando la possibilità di sviluppare nuove tecniche per visualizzare gli elementi cellulari responsabili del danno, così da ottenere, ad esempio, con notevole anticipo rispetto a quanto consentano gli esami attuali, informazioni su una incipiente recidiva o riacutizzazione. Come è noto, cellule immunitarie innate mediano il danno tessutale che si produce nella malattia, ma la visualizzazione di tali elementi non era fino ad oggi considerata possibile.

Klara Kirschbaum, Michael O. Breckwoldt e numerosi colleghi di vari e prestigiosi istituti scientifici, hanno elaborato un approccio basato su nanoparticelle per ottenere la formazione, all’interno delle lesioni infiammatorie, di immagini di cellule immunitarie innate, sia residenti nel cervello sia infiltranti le strutture del sistema nervoso centrale.

La captazione delle nanoparticelle impiegate dai ricercatori si verifica come un processo assolutamente specifico delle cellule immunitarie innate e presenta una stretta correlazione con la gravità clinica. La focalizzazione dell’attenzione analitica sull’immunità innata mediante imaging molecolare può servire come un marker diretto dell’attività della malattia, fornendo informazioni preziose, sia in sede di prima diagnosi sia per il monitoraggio su cui si basa il trattamento. La valutazione della sensibilità e dell’efficacia di tale tecnica di visualizzazione applicata alla risonanza magnetica nucleare, che sarà oggetto di ulteriori studi, precederà la probabile introduzione nella stima dello stato di attività in molte altre malattie infiammatorie.

(Kirschbaum K., et al., In vivo nanoparticle imaging of innate immune cells can serve as a marker of disease severity in a model of multiple sclerosis. Proceedings of the National Academy of Sciences USA – Epub ahead of print doi: 10.1073/pnas.1609397113, 2016).

La provenienza degli autori è prevalentemente la seguente: German Cancer Consortium, Clinical Cooperation Unit, Neuroimmunology and Brain Tumor Immunology, German Cancer Research Center (DKFZ), Heidelberg (Germania); Centre for Systems Biology, Division of Neuroradiology, Department of Radiology, Massachusetts General Hospital, Harvard Medical School, Boston (USA); Department of Neuroradiology, University Hospital Heidelberg, Heidelberg (Germania); Graduate Program in Areas of Basic and Applied Biology, Abel Salazar Biomedical Sciences Institute, University of Porto, Porto (Portogallo).

I neurologi conoscono bene le difficoltà che spesso presenta la diagnosi di sclerosi multipla e sanno che è necessario fondarla sugli elementi più sicuri che è possibile ottenere, ed è prudente sospendere il giudizio a meno che la combinazione di dati clinici e di laboratorio consenta la certezza assoluta[2]. Attenendosi a questi criteri, di fronte a lesioni non chiaramente caratterizzate oppure tipiche ma isolate, in passato era parte della metodologia diagnostica l’attesa per l’esecuzione di esami di secondo livello: l’evoluzione avrebbe sicuramente fornito rilievi meno ambigui. Attualmente, nel ragionevole sospetto diagnostico, si preferisce procedere ad accertamenti analitici mediante le tecniche più appropriate della metodica di risonanza magnetica nucleare (MRI) e mediante gli altri test descritti nei manuali e trattati di neurologia clinica ai quali si rimanda[3]. La ragione di questo nuovo atteggiamento è nell’orientamento verso la diagnosi più precoce possibile.

La diagnosi è altamente probabile quando una delle sindromi frequenti della sclerosi multipla, ovvero la neurite ottica, i sintomi troncoencefalici bilaterali o la mielite trasversa si presentano in una persona giovane. In assenza di queste manifestazioni cliniche la procedura attualmente seguita adotta lo schema elaborato da Polman e colleghi nel 2011 a partire dal criterio classico di Mc Alpine: il rilievo nella sostanza bianca del sistema nervoso centrale di due o più lesioni caratteristiche fra loro separate nel tempo e nello spazio, ovvero in uno stadio evolutivo diverso in due differenti distretti del sistema nervoso centrale (1972). Lo schema di Polman e colleghi si basa sugli esiti di studi che hanno ricevuto conferma e consenso in precedenza (2001, 2005, 2010) ed incorpora le variazioni significative alla MRI negli altri criteri clinici e di laboratorio che si sono dimostrati validi ed efficaci[4]. Le difficoltà tuttavia permangono in molti casi, nei quali la combinazione di dati clinici, strumentali e di laboratorio appare contraddittoria o insufficiente, e pertanto si impone il vecchio criterio dell’attesa con la periodica ripetizione degli esami principali, particolarmente la verifica mediante MRI[5].

Nelle forme più frequenti, caratterizzate dall’andamento remittente-recidivante e dall’evidenza di lesioni disseminate, raramente si pongono dubbi; tuttavia possono aversi problemi di diagnosi differenziale con varie altre patologie. Malformazioni vascolari, quali angiomi cavernosi del tronco encefalico o del midollo spinale, con episodi multipli di sanguinamento, i linfomi cerebrali, il lupus eritematoso sistemico (LES), la sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi e la malattia di Behçet possono tutte simulare una forma recidivante di sclerosi multipla. A questa lista si possono aggiungere particolari forme di decorso di patologie quali: il linfoma intravascolare rispondente ai corticosteroidi, e le numerose altre cause di anomalie ben demarcate della sostanza bianca alla MRI, quali infarti embolici, leucoencefalopatia multifocale progressiva, lesioni della sostanza bianca associate a cefalea, malattia di Lyme, sarcoidosi e tumori.

Le difficoltà sorgono principalmente quando mancano gli elementi dei criteri diagnostici standard nell’attacco acuto iniziale, e quando l’inizio è subdolo con una progressione lenta. Altri elementi che richiamano alla cautela diagnostica sono l’assenza di sintomi e segni di neurite ottica, la presenza di estesa amiotrofia, movimenti oculari del tutto normali, un difetto emianopsico del campo visivo, dolore come sintomo predominante o una malattia neurologica non remittente a tendenza progressiva che abbia avuto origine in età giovanile.

L’attacco iniziale di sclerosi multipla può simulare una vertigine da labirintite o un tic doloroso quale quello della neuralgia del trigemino. Un accurato esame neurologico di questi pazienti rivela altri segni e l’esame del fluido cerebrospinale risulta particolarmente utile. Senza addentrarci in altri dettagli della diagnosi differenziale che include la distinzione dall’encefalomielite acuta disseminata[6], rileviamo che in tutti questi casi uno strumento diagnostico che consenta di rilevare anche nelle fasi iniziali della sclerosi multipla elementi patogenetici diacritici, sarebbe di enorme utilità.

Anche lo studio del decorso clinico, attraverso il monitoraggio che consente l’aggiornamento prognostico a breve e medio termine e fornisce gli elementi indispensabili per l’applicazione dei protocolli terapeutici, potrebbe essere notevolmente migliorato grazie a strumenti più sensibili di rilievo dell’attività patologica.

L’imaging molecolare avanzato, quale quello basato su nanoparticelle di ossido di ferro, può consentire la diretta formazione di immagini dell’attività cellulare e molecolare, ma gli esatti tipi cellulari che fagocitano le nanoparticelle in vivo e il modo in cui l’attività di fagocitosi si rapporta alla gravità del processo patologico in atto, fino allo studio qui recensito, non erano bene definiti. Kirschbaum e colleghi hanno impiegato la MRI per mappare gli infiltrati infiammatori; in particolare, usando MRI ad alto campo e nanoparticelle di ossido di ferro contrassegnato mediante fluorescenza per tracciare le cellule. L’osservazione ha consentito ai ricercatori di confermare l’avvenuta captazione delle nanoparticelle e la rilevabilità mediante risonanza magnetica in vivo.

Adoperando la MRI in vivo, i ricercatori hanno identificato un esteso segnale di nanoparticelle nella materia bianca del cervelletto e lesioni circoscritte della materia grigia corticale sviluppate nel decorso della malattia (incremento di 4.6 volte dell’accumulo di nanoparticelle nell’EAE paragonata ai controlli sani, P < 0.001).

Le nanoparticelle hanno mostrato una buona specificità cellulare per le cellule immunitarie innate in vivo, contrassegnando la microglia attivata, i macrofagi infiltranti, e i granulociti polimorfonucleati neutrofili. È stata rilevata una captazione minima e sparsa da parte di cellule immunitarie adattative.

Un elemento di estremo interesse è dato dal fatto che il segnale delle nanoparticelle correlava con la malattia clinica meglio delle immagini tradizionali realizzate con il mezzo di contrasto paramagnetico gadolinio[7].

Per validare il loro approccio, Kirschbaum e colleghi hanno adoperato il ferumoxytol, la nanoparticella di ossido di ferro approvata dalla Food and Drug  Administration.

I risultati dello studio dimostrano che l’imaging molecolare non invasivo delle risposte immuni può fungere da biomarker morfologico dell’attività della malattia nella neuroinfiammazione mediata da processi autoimmunitari, con potenziale applicazione clinica in una vasta gamma di malattie infiammatorie.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-05 novembre 2016

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Note e Notizie 11-06-16 Trovata la prima mutazione che spiega la sclerosi multipla.

[2] Cfr. “Multipe Sclerosis” in Adams and Victor’s Principles of Neurology (Ropper, Samules, Klein), 10th edition, p. 929, McGrawHill, 2014.

[3] Potenziali evocati, esame del fluido cerebro-spinale, OCT (optical coherence tomography), anticorpi contro mielina, oligodendrociti ed acquaporina, ecc.

[4] Polman C. H., et al. Diagnostic criteria for multiple sclerosis: 2010 revisions to the McDonald criteria. Annals of Neurology 69: 292, 2011. Per lo schema, la cui completa esposizione ha dimensioni eccessive per questa recensione, si rimanda alla p. 930 del citato Adams and Victor’s, 2014.

[5] La difficoltà è bene sintetizzata nella brutale formula attribuita a Kurtzke: “È sclerosi multipla ciò che il neurologo esperto dice che sia” (Cfr. Ropper, Samules, Klein, op. cit., 2014, ibidem). Ricordiamo che a questo celebre studioso si deve la Kurtzke Disability Status Scale e il criterio del grado di disabilità a distanza di 5 anni dal primo sintomo per prevedere l’entità della disabilità di lungo termine.

[6] Le piccole lesioni demielinizzanti di questa malattia sono estesamente sparse ma generalmente autolimitate e monofasiche. Naturalmente non sono in questione i casi gravi dell’encefalomielite acuta disseminata, che si presentano con febbre, stupore e coma.

[7] In particolare: r, 0.83 per le nanoparticelle contro 0.71 per le immagini ottenute con gadolinio (P < 0.001).