Nuovi marker infiammatori mri e pet nella sclerosi multipla

 

 

DIANE RICHMOND

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIV – 23 aprile 2016.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

La diagnosi precoce di nuove lesioni infiammatorie nella sclerosi multipla (SM) è un compito fondamentale del monitoraggio del sistema nervoso centrale dei pazienti affetti dalla più comune forma di malattia demielinizzante del sistema nervoso centrale umano. Attualmente si impiega la risonanza magnetica nucleare (MRI, da magnetic resonance imaging) eseguita col gadolinio, quale mezzo di contrasto paramagnetico che consente di visualizzare le soluzioni di continuità della barriera ematoencefalica associate allo sviluppo di nuove lesioni infiammatorie.

La metodica della MRI è di gran lunga lo strumento migliore per la diagnosi e il monitoraggio terapeutico, per varie ragioni, tra cui le seguenti: 1) è diretta nei vari piani di sezione tomografica; 2) ha un’alta sensibilità di rilevazione; 3) ha un’elevata risoluzione spaziale; 4) ha una specifica capacità di visualizzazione della sostanza bianca.

La perdita di separazione fra il compartimento vascolare e quello nervoso, evidenziata dal gadolinio, sebbene consenta di rilevare lo sviluppo di neuroinfiammazione con una precocità impensabile con altri mezzi, rimane ancora largamente insoddisfacente in rapporto alle possibilità di influire sull’andamento della malattia con adattamento della terapia per le fasi iniziali dei processi infiammatori. Vari studi hanno sottolineato la necessità di identificare nuovi markers morfologici di neuroinfiammazione, che siano più specifici e si positivizzino più precocemente.

Numerosi tentativi di identificazione di tali contrassegni morfologici sono stati compiuti in tutto il mondo. A differenza dei lavori di hard science, solitamente prodotti da scuole sperimentali tradizionalmente impegnate in un dato campo, questo genere di studi è spesso realizzato da gruppi di clinici e specialisti di diagnostica per immagini che si costituiscono temporaneamente intorno ad un progetto. Per tale motivo è quanto mai importante una revisione critica ed una cernita di tutto quanto si pubblica da parte di esperti di ogni aspetto della patologia di questa malattia demielinizzante, che siano in grado perciò di giudicare la significatività e il valore dei risultati ottenuti non solo in base a criteri generici, ma avendo ben presenti le peculiarità e le nuove acquisizioni emergenti dalle varie branche della ricerca che indagano la SM.

(Hagens M., van Berkel B., Barkhof F., Novel MRI e PET markers of neuroinflammation in multiple sclerosis. Current Opinion in Neurology  – Epub ahead of print Apr 7, 2016).

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Neurology and Department of Radiology and Nuclear Medicine, MS Center Amsterdam, VU University Medical Center, Neuroscience Campus Amsterdam, Amsterdam (Olanda).

Una diagnosi di SM può essere posta esclusivamente sulla base di criteri clinici[1]. Tuttavia, allo stato attuale delle conoscenze, una tale condotta non è consigliabile perché potrebbe causare ritardi nel riconoscimento e nel trattamento di una frazione non irrilevante di casi. Il criterio di orientamento principale prevede l’interessamento del sistema nervoso centrale da parte di almeno due lesioni sospette, separate nel tempo di comparsa e nello spazio anatomico, senza alcuna altra causa identificabile[2]. I criteri correnti consentono la diagnosi con minori evidenze cliniche che in passato, se sono presenti alla risonanza magnetica nucleare (MRI) elementi specifici[3]. Anche se in molte trattazioni cliniche si dà uno spazio rilevante ai risultati delle analisi del fluido cerebrospinale, nella maggior parte dei casi la presenza di episodi di visione alterata o sdoppiata, alterazioni dell’articolazione verbale, debolezza degli arti, deficit sensoriali e parestesie, associati ai dati di diagnostica per immagini sono sufficienti per porre la diagnosi.

Esiste una varietà di protocolli procedurali MRI per diagnosi e monitoraggio, adottati già da anni nei vari centri specializzati in America e in Europa[4].

Per l’identificazione precoce di lesioni dell’encefalo e del midollo spinale la sequenza MRI più sensibile è quella pesata nel tempo di rilassamento trasversale T2; tuttavia, tale sequenza non si può ritenere specifica, perché sia la demielinizzazione infiammatoria sia la necrosi ischemica danno un aumento del segnale in T2. Un limite, di importanza cruciale nel monitoraggio, è poi costituito dal fatto che le incidenze tomografiche in T2 non consentono di distinguere le lesioni di nuova comparsa da quelle già presenti e magari non rilevate in precedenza.

Le immagini rilevate al tempo di rilassamento longitudinale T1, dopo la somministrazione del mezzo di contrasto paramagnetico gadolinio, possono identificare le nuove lesioni sulla base della compromissione della barriera ematoencefalica (BBB, da blood-brain barrier).

Studi in serie su pazienti affetti da forme remittenti-recidivanti di SM hanno dimostrato che il primo evento nello sviluppo di una nuova sede di danno mielinico è la comparsa di un profilo lesionale fortemente rinforzato dal gadolinio in T1. La comparsa di queste nuove lesioni può verificarsi durante periodi, anche lunghi, completamente privi di manifestazioni sintomatologiche o clinicamente stabili.

Nuove tecniche di acquisizione di immagine basate sulla metodica fondamentale della risonanza, quali la MRS (magnetic resonance spectroscopy), la MTR (magnetization transfer ratio) e la DTI (diffusion tensor imaging), sembrano fornire informazioni e caratterizzazioni aggiuntive nel tempo, soprattutto per la relazione dimostrata con l’istopatologia delle lesioni post mortem, ma ad oggi non hanno mostrato vantaggi tali da giustificarne l’impiego routine clinica.

Veniamo all’esposizione in sintesi dei dati più rilevanti riportati dai tre autori olandesi.

Le immagini pesate per la suscettibilità hanno dimostrato l’importanza della vena centrale nella formazione delle lesioni SM. È questo un dato di rilievo, perché se da molto tempo era noto il fenomeno dello sviluppo delle lesioni intorno alle vene, già una quindicina di anni fa si era cominciato a dubitare dell’importanza di questo reperto sulla base di una sua incostanza[5].

Tecniche di acquisizione delle immagini pesate per la perfusione possono mostrare variazioni infiammatorie di basso grado, sia focali sia diffuse, non visibili mediante le tecniche di rilevazione di immagini secondo i protocolli convenzionali di MRI per la SM.

Il rinforzo delle leptomeningi rilevato, potrebbe essere parte dell’eziologia delle lesioni corticali subpiali della SM.

Particelle superparamegnetiche ultrapiccole di ossido di Fe possono identificare cambiamenti dovuti a processi neuroinfiammatori, in aggiunta al rinforzo determinato dal gadolinio e, come tali, identificare differenti tipi di lesioni e fasi delle lesioni stesse nel singolo paziente.

Passando agli studi che hanno adoperato la metodica di medicina nucleare PET (positron emission tomography), cioè la tomografia ad emissione di positroni, la proteina 18kD-traslocatrice come tracciante identifica la microglia attivata e gli incrementi nella captazione di TSPO sia nelle lesioni SM che nel tessuto cerebrale che appare anatomicamente indenne: tale rilievo si è dimostrato strettamente associato alla gravità delle lesioni ed alla progressione della malattia in senso neurodegenerativo.

Gli autori dello studio discutono anche la gamma di nuovi traccianti della microglia attivata e i radioligandi che possono contrassegnare i farmaci attualmente allo studio.

In sintesi, le nuove tecniche basate su MRI e PET sono in grado di migliorare la visualizzazione e la quantificazione di aspetti pleomorfi della neuroinfiammazione, fornendo nuovi elementi di conoscenza da impiegare al meglio negli studi sulla patogenesi e, soprattutto, per diagnosi e monitoraggio dello stato della patologia e della risposta ai farmaci di ciascun paziente.

 

L’autrice della nota ringrazia il professore Giovanni Rossi per la revisione e la stesura del testo in lingua italiana e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Diane Richmond

BM&L-23 aprile 2016

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Oltre a rimandare ai libri di testo di neurologia [in particolare alla X edizione dell’Adams & Victor’s (Ropper, Samuels, Klein), Principles of Neurology, McGraw Hill, 2014], per la diagnosi clinica di SM ed ogni approfondimento neurologico sulla malattia si può indirizzare una e-mail al prof. Giovanni Rossi all’indirizzo brain@brainmindlife.org.

[2] L’autrice ringrazia Susan Staugaitis e Bruce Trapp per la loro review sulle malattie demielinizzanti.        

[3] Polman C. H., et al., Diagnostic criteria for multiple sclerosis: 2010 revisions to the McDonald criteria. Annals of Neurology 69, 292-302, 2011.

[4] Fox R. J., Picturing multiple sclerosis: Conventional and diffusion tensor imaging. Seminars in Neurology 28, 453-466, 2008.

[5] Lucchinetti C., et al., Heterogeneity of multiple sclerosis lesions: Implications for the pathogenesis of demyelination. Annals of Neurology 47, 707-717, 2016.