Una nuova possibilità per il natalizumab nella sclerosi multipla

 

 

LUDOVICA R. POGGI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIV – 05 marzo 2016.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

In medicina, quando non si dispone di una terapia in grado di determinare la guarigione di uno stato patologico, si indirizzano tutti gli sforzi verso l’obiettivo del maggiore vantaggio per il paziente e dei migliori effetti sull’andamento del processo che convenzionalmente si definisce “storia naturale della malattia”[1]. Nel caso delle forme remittenti-recidivanti della sclerosi multipla, tenendo conto della componente patogenetica autoimmune e dell’influenza positiva che può essere esercitata dal sistema nervoso centrale sul sistema immunitario, si insiste giustamente sulla promozione di stili di vita salutari e di pratiche che accrescano l’equilibrio psicofisico, riducendo la probabilità e l’intensità delle recidive. Come è stato affermato, la gestione dei sintomi e il tentativo di rallentare il corso della malattia[2] costituiscono il principale riferimento sia per il medico sia per il ricercatore, in attesa che una maggiore e migliore conoscenza dei meccanismi eziologici possa consentire lo sviluppo di terapie risolutive.

In questa ottica, si comprende che quando si registrano successi eclatanti con un mezzo terapeutico e poi si verifica un grave effetto collaterale imprevisto e mai registrato in fase sperimentale che ne arresta l’impiego, la frustrazione di curanti e curati è massima. È quanto è accaduto con il natalizumab.

Il natalizumab è un anticorpo monoclonale umanizzato diretto contro l’α4β1/β7 integrina, della quale blocca la funzione, con la conseguente inibizione della migrazione dei linfociti T attraverso la barriera emato-encefalica (BEE) e un’impressionante effetto di arresto del processo patologico nei modelli sperimentali. Il natalizumab è estremamente efficace nel controllare le recidive e si è rivelato in grado di ridurre drasticamente la comparsa di nuove lesioni. Sfortunatamente, come poi è stato rilevato anche per altri anticorpi monoclonali in grado di interferire con la funzione dei leucociti, può causare leucoencefalopatia multifocale progressiva (PML, progressive multifocal leukoencephalopathy).

La leucoencefalopatia multifocale progressiva è una malattia demielinizzante causata dall’infezione degli oligodendrociti da parte del papovavirus JC. L’infezione da parte del virus JC riguarda in forma inapparente la maggior parte delle persone sane, il cui sistema immunitario impedisce al microrganismo di causare la malattia. La vulnerabilità allo sviluppo della leucoencefalopatia si determina in vari casi, ad esempio in presenza di disturbi del sistema reticoloendoteliale, infezione da HIV, immunosoppressione terapeutica, come nel caso di trapianto di organi e, appunto, trattamenti per malattie autoimmunitarie. La malattia ha spesso un’evoluzione rapida e la risonanza magnetica nucleare documenta aree estese di demielinizzazione con marcate evidenze di distruzione tessutale. In altre parole, non si può considerare un semplice effetto collaterale, ma qualora si manifesti nel trattamento con anticorpi monoclonali diretti contro antigeni che mediano la sorveglianza immunitaria e il traffico delle cellule immunitarie, può costituire un male peggiore della stessa sclerosi multipla.

Allora, perché non cancellare del tutto questa pista terapeutica? Perché, dopo la scoperta di questo grave problema collaterale, la verifica per alcuni anni dei pazienti trattati ha fatto registrare un numero discreto di persone indenni da questo rischio e in buone condizioni di salute per lunghe remissioni. Anche se verosimilmente le persone che hanno fatto rilevare il successo terapeutico sono quelle già in precedenza indenni dallo stato di portatore clinicamente silente dell’infezione da JC, si è deciso di studiare modalità per ridurre le componenti responsabili della promozione dello sviluppo della leucoencefalopatia, conservando gli effetti terapeutici degli anticorpi monoclonali.

In questo filone di ricerca si inserisce un lavoro svolto grazie alla collaborazione di numerosi istituti clinici e di ricerca degli USA, inclusa la sezione specializzata dell’NIH ed alcuni fra i maggiori dipartimenti neurologici universitari del paese. La strategia, basata su precedenti osservazioni, è molto semplice ed è consistita nella riduzione della frequenza di somministrazione del natalizumab (Zhovtis Ryerson L, et al. Extended interval dosing of natalizumab in multiple sclerosis. J Neurol Neurosurg Psychiatry – Epub ahead of print Feb 25, 2016).

Fra i 13 istituti di provenienza degli autori si citano: Department of Neurology, Langone Medical Center, New York University, New York (USA); University of Buffalo, Buffalo, New York (USA); Department of Neurology & Neurotherapeutics, University of Texas Southwestern Medical Center, Dallas, Texas (USA); Multiple Sclerosis Center of Connecticut, Norwich, Connecticut (USA); National Institute of Neurological Disorders and Stroke (NINDS), Bethesda, Maryland (USA).

Di passaggio, prima di sintetizzare i contenuti del lavoro recensito, si ricorda che fra i farmaci impiegati nella sclerosi multipla vi sono i β-interferoni, il glatiramer, il mitoxandrone sospeso per cardiotossicità e leucemia secondaria, e il fingolimod[3].

Lo studio si è basato su una chart review retrospettiva in 9 centri specializzati per la diagnosi e cura della sclerosi multipla, al fine di identificare pazienti trattati secondo un regime di dosi di natalizumab con intervalli molto più lunghi (EID, da extended interval dosing) rispetto al protocollo standard (SID, da standard interval dosing). Sono poi stati definiti tre gruppi: 1) EED (early extended dosing) costituito da 249 pazienti; 2) LED (late extended dosing) costituito da 274 pazienti; 3) SID (standard interval dosing) costituito da 1093 pazienti trattati secondo il protocollo di intervallo di dosaggio standard ogni 4 settimane. Rinviando al testo dello studio per i dettagli sulla somministrazione, si propongono qui di seguito i risultati.

Fra i pazienti trattati col SID, il 17% ha presentato nuove lesioni rilevate alla risonanza magnetica nucleare in T2, contro il 14% dei pazienti in EID. Fra i pazienti in trattamento standard si è anche rilevato il rinforzo delle immagini delle lesioni in T1 nel 7% dei casi, rispetto al 9% riscontrato nel gruppo EID. La frequenza di recidive annuali era 0.14 nel gruppo SID e 0.09 nel gruppo EID. Nessuna evidenza di attività della malattia, né in termini clinici né in diagnostica per immagini, è stata osservata nel 62% dei pazienti SID e nel 61% dei pazienti EID. Infine, nessun caso di leucoencefalopatia multifocale progressiva è stato osservato nei pazienti EID, mentre 4 casi sono stati riscontrati nel gruppo SID.

Gli autori dello studio, sulla base di questi rilevi, concludono che il prolungamento degli intervalli fra le somministrazioni sperimentato non diminuisce l’efficacia terapeutica del natalizumab, e avvertono che è già in corso un monitoraggio per verificare se il rischio di leucoencefalopatia multifocale progressiva si riduca o meno col trattamento EID.

Questa recensione è stata dettata non solo e non tanto dalle proporzioni dello studio, che sicuramente contribuiscono alla sua significatività, quanto dalla ravvisata opportunità di comunicare che è in corso una seria e attenta rivalutazione del rischio di leucoencefalopatia da anticorpi monoclonali, e che questi risultati preliminari indicano la possibilità di ridurre notevolmente le dosi necessarie ad ottenere l’effetto terapeutico.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Ludovica R. Poggi

BM&L-05 marzo 2016

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Compston A., Making progress on the natural history of multiple sclerosis. Brain 129, 561-563, 2006.

[2] Compston A. & Coles A., Multiple Sclerosis. Lancet 372, 1502-1517, 2008.

[3] Introdotto ufficialmente in Italia il 14 febbraio 2012, quattro giorni dopo abbiamo pubblicato una nota sul sito (Note e Notizie 18-02-12 Introdotto in Italia il fingolimod per la sclerosi multipla), ma già un anno prima, nel 2011, abbiamo avuto modo di spiegare che le basi della sua efficacia con ogni probabilità non risiedevano principalmente nel meccanismo immunologico più noto e diffuso con la didattica universitaria ma, secondo quanto accertato da Choi e colleghi, nella sua modulazione diretta di recettori neuronici e gliali (Note e Notizie 22-01-11 Il fingolimod è efficace nella sclerosi multipla grazie al suo meccanismo d’azione).