Ossitocina ed alcool

 

 

NICOLE CARDON

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIII – 24 ottobre 2015.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: BREVE AGGIORNAMENTO]

 

Il fastidio nostro e della maggior parte dei ricercatori per le etichette di “ormone dell’amore”, “ormone della socialità” ed “ormone della fiducia” attribuite all’ossitocina, riflettono non solo la consapevolezza di quanto sia anacronistica l’attribuzione a singole molecole di sentimenti e propensioni psicologiche, ma anche la conoscenza biochimica e neurofisiologica che da tempo indica la partecipazione neurotrasmettitoriale di questo peptide a una vasta gamma di  funzioni, anche fra loro contrastanti[1].

L’importanza dell’ossitocina come ormone neuroipofisario era stata compresa e prevista dalla comunità scientifica internazionale prima della sua scoperta, tanto che nel 1955, solo due anni dopo averla identificata, Vincent du Vigneaud ottenne il Premio Nobel per la Chimica. L’ossitocina è un nonapeptide a struttura ciclica che differisce dalla vasopressina, con la quale condivide la probabile origine da una duplicazione genica verificatasi nel corso dell’evoluzione, per due soli aminoacidi di questa sequenza: Cis-Tir-Ileu-Glu(NH2)-Asp(NH2)-Cis-Pro-Leu-Gli(NH2)[2]. In fisiologia le due molecole sono distinte sulla base delle azioni prodotte dopo il rilascio in circolo dalla neuroipofisi: l’ossitocina favorisce la fuoriuscita del latte dai dotti galattofori e la contrazione uterina, mentre la vasopressina determina la contrazione dei vasi e la ritenzione idrica renale[3].

Naturalmente, il ruolo studiato per le dirette conseguenze psichiche e comportamentali è quello di neurotrasmettitore peptidico. Anche se nella storia della ricerca sui neuromediatori sinaptici l’acetilcolina e le ammine biogene hanno preceduto e a lungo monopolizzato l’attenzione, la funzione dei neuropeptidi come primi messaggeri nella comunicazione intercellulare è filogeneticamente molto antica. Ad esempio, in celenterati come l’Hydra la neurotrasmissione è quasi esclusivamente affidata a neuropeptidi, mancando del tutto acetilcolina, catecolamine e serotonina. E fortemente peptidergica è la rete nervosa di altri animali a basso grado di evoluzione, quali coralli, meduse e anemoni di mare. Non appare perciò infondato supporre che una trama di connessioni mediate da peptidi possa aver avuto, nella storia evolutiva che ha portato ai mammiferi, il ruolo di una traccia funzionale elementare, una sorta di abbozzo o base comune sulla quale si sono differenziati i sistemi di trasmettitori più veloci, efficienti, specifici e puntualmente adattati alle esigenze dei generi e delle specie filogeneticamente più recenti[4].

Ricordare i caratteri dei peptidi che fungono da mediatori può contribuire ad allontanare l’idea, diffusa talvolta anche in ambito accademico, dell’ossitocina quale sostanza naturale che si può assumere per ottenere una modulazione della psicologia della persona in senso altruistico, empatico, socializzante, con aumento della fiducia in se stessi e riduzione di timore e diffidenza nei confronti degli altri. Anche se nei gruppi neuronici di alcune aree è difficile distinguere la componente paracrina da quella neurotrasmissiva, la maggior parte dei neuroni che accumula ossitocina nelle proprie vescicole, la adopera come un mediatore chimico i cui effetti dipendono largamente dai circuiti in cui è inserita, dalle sequenze di segnale, dallo stato delle reti che sviluppano il loro tono di base e le loro reazioni a stimoli, grazie agli oltre cinquanta neuromediatori noti e a tutti gli eventi di regolazione che intervengono nella fisiologia cerebrale.

Le differenze fra neuropeptidi e neurotrasmettitori classici sono numerose, a cominciare dalle basse concentrazioni dei primi rispetto ai secondi e proseguendo con la differenza nella biosintesi e nei processi necessari al rilascio.

I neuropeptidi, infatti, derivano da precursori inattivi più grandi, di almeno 90 aminoacidi di lunghezza, biosintetizzati nel soma cellulare e poi scissi e modificati per dare luogo alle molecole attive nel percorso lungo l’assone, al termine del quale sono accumulate in vescicole di grandi dimensioni, spesso ovalari, dal “core” denso e destinate all’eliminazione dopo l’uso. Al contrario, i neurotrasmettitori classici sono prodotti per sintesi locale presso i terminali sinaptici ed accumulati in piccole vescicole rotondeggianti che sono spesso svuotate per esocitosi e nuovamente riempite per un evento sinaptico successivo. Anche il rilascio presenta qualche evidente differenza: i mediatori classici sono rilasciati quando la concentrazione di ioni Ca2+ del citosol raggiunge temporaneamente alti livelli (50-100 μmol/l), mentre per i peptidi sono sufficienti livelli più bassi; inoltre, il rilascio nel primo caso si verifica in prossimità dei siti di accesso del calcio, mentre nel secondo avviene ad una certa distanza e, perciò, richiede una stimolazione di maggiore intensità.

I neuropeptidi sono spesso co-localizzati con neurotrasmettitori convenzionali, rispetto ai quali presentano un regime sinaptico più lento e a più basso grado di intensità, tanto da essere stati a lungo etichettati “neuromodulatori”[5]. I recettori dei neuropeptidi[6] sono stati estesamente studiati e sono attualmente bersagli dell’azione di molti farmaci.

Tornando ai presunti ruoli psicologici del peptide, si può rilevare che la ragione dell’esito di tanti studi che sembravano provare la capacità del peptide di favorire i legami sociali e sessuali, accrescere la fiducia in se stessi e negli altri e promuovere l’altruismo, era senza dubbio in un difetto di impostazione[7]. Anche la possibilità di sfruttare la sua azione antagonista dei sistemi dello stress, attivati nei disturbi dello spettro dell’ansia e nel disturbo post-traumatico da stress (PTSD), sembra essere stata messa in discussione[8].

Senza addentrarci nell’analisi degli errori di metodo e di interpretazione dei risultati, qui ci limitiamo a riportare che studi più recenti – intesi a verificare gli esiti dei precedenti lavori e a mettere alla prova la possibilità che interrogando in modo diverso la “materia della mente” sull’ossitocina si potessero avere risultati diversi – hanno ben documentato che il peptide può aumentare l’aggressività, il pregiudizio nei confronti dell’altro e la tendenza a correre rischi. In altre parole, effetti sostanzialmente opposti a quelli più noti e divulgati negli ultimi venti anni.

Proprio il possesso di queste due opposte facce funzionali ha ispirato l’accostamento ad una molecola che può generare, in termini neurofisiologici, simili serie di effetti contrastanti al variare delle dosi e dello stato funzionale di fondo: l’alcool etilico[9].

Sulla base di alcuni studi che evidenziavano queste caratteristiche, sono state allestite prove cliniche controllate di valutazioni terapeutica sperimentale (clinical trials) di alcolisti mediante ossitocina. È risultato che la somministrazione mediante spray nasale del peptide è in grado di ridurre tanto il desiderio di assunzione quanto la sindrome da astinenza alcoolica.

L’ipotesi più accreditata fra i ricercatori è che le due molecole condividano un’azione di rinforzo dell’attività inibitoria esercitata dai gruppi di interneuroni che rilasciano L’acido γ-aminobutirrico (GABA) in sedi elettive per la modulazione dei circuiti eccitatori sui quali producono i maggiori effetti. Per certo, è noto da tempo che l’ossitocina stimola il rilascio di GABA e che l’etanolo si lega ai recettori GABA accrescendo l’effetto inibitorio.

Una meta-analisi degli studi sugli effetti fisiologici di ossitocina ed alcool è stata condotta da Ian J. Mitchell e colleghi dell’Università di Birmingham e pubblicata lo scorso agosto su Neuroscience and Biobehavioral Reviews[10]. Risulta che entrambe le molecole possono agire moderando la risposta dei sistemi dello stress, con l’effetto di ridurre ansia e paura, ed entrambe possono facilitare l’attività di connessioni implicate nell’espressione di fiducia, generosità, empatia ed altruismo. Ma, in condizioni diverse, entrambe possono accrescere ansia, aggressività, imprudenza temeraria e una propensione, detta in inglese ingroup bias, consistente nel preferire persone con le quali ci si identifica, per appartenenza o caratteristiche, a discapito di altre.

Gli autori dello studio, facendosi interpreti dell’opinione espressa dai ricercatori che hanno effettuato i lavori originali, ipotizzano che ossitocina ed alcool agiscano in punti diversi della stessa sequenza neurochimica di eventi neurofunzionali, soffermando l’attenzione su due elettivi bersagli comuni: la corteccia prefrontale e le cosiddette strutture limbiche, incluso l’ippocampo e l’amigdala.

Intanto, restringendo l’osservazione agli effetti motori dell’intossicazione alcoolica, Michael T. Bowen, con colleghi dell’Università di Sidney (Australia) e dell’Università di Regensburg (Germania), aveva identificato la sede elettiva di azione comune di alcool e ossitocina sui recettori GABAA: la subunità δ[11]. Precedenti lavori sperimentali avevano identificato la causa dei disturbi motori e di equilibrio posturale determinati dall’assunzione di alcool, nel potenziamento dell’azione del GABA sui recettori GABAA contenenti la subunità δ. Bowen e colleghi hanno dimostrato, nel ratto, che l’ossitocina selettivamente attenua il disturbo alla funzione motoria dell’alcool parallelamente al potenziamento indotto dal GABA sui recettori GABAA contenenti la subunità δ. La sperimentazione ha provato che tale effetto implicava un’azione diretta su questi recettori ed era indipendente dal recettore dell’ossitocina. In breve, Bowen e colleghi hanno identificato un nuovo meccanismo.

Su questa base si comprende che si possa sperare nella possibilità di sviluppare a breve nuove strategie per il trattamento dell’intossicazione e della dipendenza da alcool basate sull’impiego di un peptide naturale, invece che su antagonisti di recettori oppioidi come il naltrexone[12].

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la collaborazione nella stesura del testo in italiano e invita alla lettura delle numerose recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”) e degli altri scritti.

 

Nicole Cardon

BM&L-24 ottobre 2015

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

_____________________________________________________________________________________________________________________

 

La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale non-profit.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] In larga misura, gli studi che assurgono agli onori della cronaca divulgativa, si basano su una metodologia che impiega l’osservazione psicologica del comportamento in rapporto alla variabile costituita dall’ossitocina o dai suoi recettori. Nelle “Note e Notizie” vi sono numerose recensioni di interessanti studi sull’ossitocina.

[2] Per una corretta rappresentazione chimica si deve aggiungere un ponte disolfuro fra i due residui di cisteina.

[3] La vasopressina è con ogni probabilità il primo neuropeptide ad essere stato identificato. La fonte principale di vasopressina è costituita dai neuroni magnocellulari dell’ipotalamo che inviano assoni alla neuroipofisi (Cfr. Mains R. E. & Eipper B. A., Peptides, in Brady Siegel Albers Price, Basic Neurochemistry, p. 390, 8th edition, 2012).

[4] L’ipotesi è stata dettagliatamente formulata in un quadro teorico sviluppato da Giuseppe Perrella, ma trova riscontro anche in numerose altre osservazioni di neurobiologia dell’evoluzione.

[5] La definizione è impropria se la si generalizza, sia perché non sempre agiscono in tal senso sia perché anche i neurotrasmettitori classici possono, in varie circostanze, agire limitandosi a modificare l’attività di altre sinapsi; tipico esempio è la serotonina (5-HT), che svolge un’importante azione da neuromodulatore nel cervello.

[6] La maggior parte dei quali sono classiche molecole 7-TM (serpentine) accoppiate a proteine G.

[7] Il disegno sperimentale, spesso concepito da ricercatori nel campo delle scienze psicologiche e sociali, non teneva conto della complessa realtà neurochimica e neurofisiologica su cui si esercita l’effetto di una singola sostanza assunta dall’esterno, ritenendo di poter ignorare il cervello come black box, saltando direttamente al comportamento ed attribuendo la variazione nei parametri misurabili a ciò che ritenevano l’unico elemento variante nel sistema.

[8] Nelle “Notule” di questa settimana (v.) sono discussi due studi, uno che sembra confermare una certa efficacia nel PTSD, l’altro che dimostra un’azione addirittura controproducente su persone che hanno subito un trauma psichico recente, perché accentua l’effetto evocativo di volti esprimenti emozioni.

[9] L’alcool etilico o etanolo, per i suoi effetti fisiofarmacologici e patologici sul sistema nervoso centrale e la sua rilevanza in psicopatologia, è oggetto di costante attenzione da parte nostra, come dimostrano le nostre “Note”: ad esempio, abbiamo dedicato recensioni e discussioni al rapporto con la serotonina; già nel febbraio 2009 richiamavamo l’attenzione sui rapporti fra adenosina e alcool; abbiamo proposto lo studio dell’alcolismo secondo il genotipo (28-01-12); la regolazione della richiesta di alcool da parte della relaxina-3 (14-12-13); un interessante aggiornamento sulla farmacoterapia dell’alcolismo (25-01-14).

[10] MitchellI. J., et al. Similar effects of intranasal oxytocin and acute alcohol consumption on socio-cognition, emotion and behaviour: Implications for the mechanisms of action. Neuroscience and Biobehavioral Reviews 55: 98-106, 2015.

[11] Bowen M. T., et al. Oxytocin prevents ethanol actions at δ subunit-containing GABAA receptors and attenuates ethanol-induced motor impairment in rats. Proceedings of the National Academy of Sciences USA 112 (10): 3104-3109, 2015.

[12] Si veda: Note e Notizie 25-01-14 Farmacoterapia dell’alcoolismo: una risposta dalla Società Nazionale di Neuroscienze.