Il mistero della consonanza musicale risolto in chiave biologica

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIII – 12 settembre 2015.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Perché troviamo gradevole la percezione acustica simultanea di più note, come quelle degli accordi strumentali e del canto corale? L’interrogativo sembra risalire alla notte dei tempi e fin dall’antichità si è dato a questo fenomeno un nome: consonanza musicale.

Come e perché riconosciamo e apprezziamo suoni consonanti sembra essere un mistero. Attualmente due ipotesi, una matematica e l’altra fisica, sembrano essere ragionevolmente fondate e si contendono il consenso dei ricercatori. A queste se ne aggiunge una terza, biologica, alla quale hanno recentemente portato sostegno Daniel Bonding e Dale Purves: la recensione del loro studio è l’oggetto di questo scritto.

Un neurologo ottuagenario, che ha insegnato neuroanatomia e neurofisiologia per gran parte della propria vita, come chi scrive, ha verificato spesso che nello studio della percezione gli approcci matematico, fisico e biologico costituiscono angolazioni prospettiche che, col progredire delle conoscenze, si integrano; pertanto, ha un po’ di difficoltà ad accettare l’idea di teorie matematiche, fisiche e biologiche fra loro contrapposte per spiegare un fenomeno percettivo. Ma lo stato attuale del dibattito ci propone – direi, ancora una volta – questa contrapposizione fra tesi sviluppate secondo paradigmi diversi e presentate come alternative l’una all’altra. Per aiutare il lettore non specialista a formarsi un’idea propria si è perciò deciso di fornire qualche nozione sul concetto di consonanza ed alcuni risultati di studi precedenti.

Intanto, il lavoro di Daniel Bowling e Dale Purves – la cui fama è principalmente dovuta ad un manuale di neuroscienze diffuso in tutto il mondo – fornisce supporto alla prospettiva che fa risalire l’origine della gradevolezza ad un vantaggio evolutivo (Daniel L. Bowling & Dale Purves, A biological rationale for musical consonance. Proceedings of the National Academy of Sciences USA – Epub ahead of print doi:10.1073/pnas.1505768112, 2015).

La provenienza degli autori dello studio è la seguente: Department of Cognitive Biology, University of Vienna, Vienna (Austria); Duke Institute for Brain Sciences, Duke University, Durham (USA).

[Edited by Salomon H. Snyder, Johns Hopkins University School of Medicine, Baltimore, MD (USA)].

Cerchiamo di comprendere il concetto culturale di consonanza musicale sul quale si è basata la ricerca, con l’aiuto di definizioni e cenni storici.

Dal latino consonare, ovvero suonare insieme, la consonanza si riferisce alla percezione della qualità omogenea e gradevole di due o più note o suoni tonali uditi simultaneamente[1].

L’Enciclopedia Treccani, che fornisce un’indicazione importante sulla relatività del concetto precisando che i parametri della consonanza possono variare a seconda di epoche, civiltà e gruppi culturali, presenta questa definizione: “Nel sistema tonale intervalli e accordi capaci di produrre un effetto d’affermazione e di riposo. Tali, per esempio, fin dalle antiche civiltà classiche, gli intervalli di ottava e di quinta (consonanze perfette) e, fin dal Medioevo, quelli di terza e di sesta (consonanze imperfette) e tali, nel sistema tonale moderno, gli accordi perfetti maggiori e minori. Opposto al concetto di consonanza è quello di dissonanza”. Una migliore descrizione la troviamo nel Dizionario Enciclopedico Sansoni: “Virtù attribuita dal senso uditivo a determinate combinazioni di due suoni atte a produrre un effetto di completa fusione (quasi di unico suono) e cioè effetto di stabilizzazione, affermazione, riposo; contrario di dissonanza; per estensione, le combinazioni stesse. Intervalli consonanti: terza, quinta, sesta e ottava; dubbia la quarta”. La consultazione di numerose altre fonti compone un quadro che può sintetizzarsi in questi termini: la consonanza è definita in base alla caratteristica specifica prodotta dall’ascolto di due o più suoni omogenei e dall’effetto in rapporto ad una frase o un brano musicale. È questa relazione con un contesto musicale che induce a formulare le metafore di stabilità o stasi armonica per la consonanza, e di movimento armonico per la dissonanza. In altri termini, secondo il giudizio naturale e appreso di una sequenza musicale, la consonanza produce nella maggior parte delle persone l’effetto di un equilibrio raggiunto, mentre la dissonanza quello di un equilibrio non ancora raggiunto, che richiede, perciò, un movimento armonico.

Non si trovano molte altre indicazioni generali sul rapporto fra percezione e fenomeno della consonanza, il cui significato da secoli è stato quasi monopolizzato dalla teoria armonica della tradizione occidentale. Infatti, insieme con il principio della tonalità[2], che costituisce il paradigma entro cui viene composta la melodia e concepita la sequenza degli accordi, la contrapposizione fra consonanza e dissonanza rappresenta la base dell’armonia nella storia della musica culturalmente prevalente in tutto il mondo.

Così come è accaduto per lo studio scientifico della percezione visiva, che ha preso le mosse dalla fisica della luce e del colore, l’indagine scientifica sui fenomeni della percezione acustica ha avuto origine nella fisica del suono.

La prima ipotesi fisica sulle basi della consonanza fu formulata da Galileo Galilei. In seguito, von Helmholtz elaborò una teoria che includeva l’ipotesi galileiana. Vediamo un po’ più in particolare il senso di questi due riferimenti storici.

Nel 1638, quattro anni prima della sua morte, Galileo vede la stampa a Leida di Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attenenti alla mecanica et i movimenti locali, dove propone una spiegazione della consonanza e della dissonanza in termini fisico-matematici, considerando la prima inversamente proporzionale e la seconda direttamente proporzionale alla lunghezza del “periodo” risultante dai due suoni simultanei. In particolare, l’autore del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, osserva che il segnale acustico costituito dalla sovrapposizione dei due suoni del bicordo, presenta un periodo la cui lunghezza è tanto minore quanto più il rapporto fra le frequenze fondamentali che costituiscono i due suoni sarà semplice, ovvero espresso da una frazione intera con numeratore e denominatore non troppo grandi. Secondo Galileo, l’orecchio è in grado di rilevare fini differenze legate alla periodicità del suono udito: il grado di consonanza sarebbe inversamente proporzionale alla lunghezza del periodo del suono complessivo, mentre il grado di dissonanza sarebbe direttamente proporzionale a questo valore.

Un’obiezione all’idea galileiana è stata formulata basandosi sul caso in cui il rapporto tra le due frequenze sia - in termini matematici - irrazionale, ma prossimo ad una frazione molto semplice. In tal caso, il suono risultante sarebbe non periodico, configurando il massimo grado di dissonanza secondo l’ipotesi di Galileo, ma, allo stesso tempo, dovrebbe presentare grande prossimità ad un suono consonante, seguendo la stessa ipotesi. È stato osservato che questo caso non inficia la regola galileiana, ma semplicemente potrebbe costituirne l’eccezione.

La prima verifica sperimentale delle principali tesi relative alla consonanza fu compiuta da von Helmholtz[3], che effettuò esperimenti con toni puri, ossia suoni costituiti da singole frequenze. L’esperimento base consisteva nell’emissione sincronica delle due frequenze e poi, tenendo fissa la prima, nel far variare la seconda in un piccolo intervallo simmetrico secondo una scala logaritmica rispetto alla frequenza iniziale. Le differenze di frequenza molto piccole fra i due suoni producevano consonanza ma, al crescere della differenza, il suono risultante appariva sempre meno omogeneo e più dissonante, fino ad un massimo, raggiunto il quale si tornava progressivamente alla consonanza[4].

Per spiegare in termini fisici le ragioni della consonanza, von Helmholtz postulò l’esistenza di “battimenti”[5] responsabili del fenomeno della dissonanza: quando le frequenze sono tra loro prossime si ha consonanza perché i battimenti sono lenti e deboli, al crescere della differenza di frequenza i battimenti si accentuano determinando il massimo della dissonanza quando raggiungono i 30 al secondo; infine, per differenze di frequenza ancora superiori, i battimenti sono così rapidi da non essere più percettibili, consentendo di rilevare un’omogeneità acustica.

Nella realtà, però, non si hanno mai toni puri costituiti ciascuno da un’unica frequenza, ma suoni compositi, come quelli degli strumenti musicali che presentano una frequenza principale che identifica la nota corrispondente a un tasto del pianoforte e numerose frequenze armoniche secondarie. Tali suoni risultano facilmente dissonanti a causa di tali frequenze secondarie che accompagnano ciascuna nota e, in particolare, sono tanto più dissonanti quanto più l’apparato di amplificazione mette in risalto le frequenze armoniche. Applicando l’interpretazione di Helmholtz, oltre che alla frequenza fondamentale della nota anche ai suoi armonici più prossimi e perciò maggiormente percepiti, potremo spiegare fenomeni come la dissonanza del tritono e di intervalli quali la settima maggiore e la nona minore[6]. L’applicazione dell’interpretazione di Helmholtz ai suoni armonici è giustificata dal fatto che il meccanismo di percezione dei suoni, come ha dimostrato lo stesso studioso, impiega un’analisi spettrale simile a quella di Fourier che, applicata alle onde sonore, corrisponde alla loro analisi armonica.

Come prima si è accennato, l’ipotesi di Galileo risulta inclusa nella teoria di von Helmholtz, perché i suoni consonanti che presentano battimenti lenti o deboli hanno anche rapporti di frequenze semplici, come voleva il geniale fisico toscano.

Ci fermiamo qui con i riferimenti storici[7], limitandoci a ricordare che le attuali teorie matematiche e fisiche della consonanza sono originate da queste pietre miliari[8].

Un notevole lavoro di rassegna, documentazione e discussione sulla percezione del suono e gli effetti della musica sul nostro cervello e sul nostro corpo è stato compiuto otto anni or sono da un gruppo di studio collegato alla nostra società scientifica[9]. Estraggo da una delle presentazioni alcuni spunti utili per introdurre lo studio di Daniel Bowling e Dale Purves.

Lo studio scientifico controllato degli effetti della musica, condotto con criteri rigorosi su campioni significativi di volontari, si fa risalire al 1991, quando il team di John Sloboda dimostrava che l’80% delle persone studiate presentava risposte fisiche alla musica. Nel 1995 Joak Panksepp e colleghi, in un campione molto numeroso, rilevarono che nel 70% dei casi il gradimento della musica era dovuto all’evocazione di sentimenti ed emozioni. Nel 1997 Carol Krumhansl e collaboratori verificarono gli effetti di vari forme di espressione musicale e riscontrarono che a ciascun tipo di musica corrispondeva uno specifico pattern fisiologico.

Nel 2001 Anne Blood e Robert Zatorre hanno individuato due diversi sistemi nella mediazione delle emozioni suscitate dalla musica. Questi autori sono anche stati i primi ad indagare le basi neurali delle risposte affettivo-emozionali positive e negative alla musica, cercando di individuare i patterns di reazione alla consonanza e alla dissonanza. A tale scopo hanno adoperato i seguenti stimoli: 1) consonanza: C (Do) medio (260 Hz) e G (Sol) medio (390 Hz) formano un gradevole intervallo di quinta perfetta quando suonati simultaneamente (ratio 2:3); 2) dissonanza: C (Do) medio (260 Hz) e C (Do) acuto (277 Hz) suonati simultaneamente risultano sgradevoli (ratio 17:18). Risultati: 1) consonanza: la percezione della consonanza era correlata all’attivazione dell’area orbito-frontale dell’emisfero destro, parte del sistema a ricompensa, e di un’area al di sotto del corpo calloso; 2) dissonanza: la percezione della dissonanza determinava l’attivazione del giro paraippocampico di destra[10].

Recentemente Zatorre, facendo il punto delle conoscenze sui meccanismi del piacere generato dalla musica, ha stabilito l’esistenza di una fisiologica differenza individuale in questo ambito, indipendente dall’anedonia depressiva e da qualsiasi altra alterazione psichica o disturbo neurologico[11].

Tornando al lavoro qui recensito, Daniel Bowling e Dale Purves osservano che per secoli le basi della consonanza musicale sono state oggetto di tesi dibattute senza una soluzione comunemente accettata. Come e perché riconosciamo i suoni consonanti, apprezzandoli al punto che la ricerca li ha impiegati come stimoli associati a valori positivi per studiare il piacere generato dalla musica, sembra essere un mistero. I due ricercatori ricordano le principali tesi matematica e fisica: 1) la consonanza deriva dalla semplicità matematica di piccole ratio di numeri interi; 2) la consonanza deriva dall’assenza fisica di interferenza fra due spettri armonici.

Entrambe queste interpretazioni entrano in contrasto con evidenze che sono state prodotte nel tempo ed oggi costituiscono una fondata obiezione in chiave percettiva.

A queste due tesi si è soliti aggiungerne una terza, biologica, alla quale Bowling e Purves hanno portato sostegno: 3) la percezione della consonanza si è affermata nella filogenesi come conseguenza del vantaggio selettivo (in senso evoluzionistico) rappresentato dalla capacità di riconoscere vocalizzazioni costituenti segnalazioni comunicative della propria specie, in particolare nell’ambito della specie umana. In altri termini, la rilevazione e il gradimento della consonanza sarebbe un epifenomeno derivato da apprendimenti della specie legati alle frequenze acustiche delle vocalizzazioni modulate a scopo comunicativo.

Ricordando che da molto tempo era stato osservato che la voce di una madre e quella del suo figlio lattante compongono un intervallo consonante di quinta perfetta[12], si invita alla lettura del testo integrale del lavoro originale per una dettagliata esposizione delle ragioni a sostegno del valore biologico della consonanza.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-12 settembre 2015

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] È la qualità omogenea la base percettiva della consonanza e non, come si legge in Wikipedia, l’effetto morbido. All’opposto, la capacità universale di percepire l’eterogeneità di due suoni è alla base del concetto di dissonanza. Il riferimento a note e suoni tonali (es.: do, re, mi, fa, sol, la, si, della scala diatonica naturale) rende l’idea con maggiore efficacia di un rapporto con la frequenza, perché ciascuna nota, così come sappiamo riconoscerla, non corrisponde ad una singola frequenza di onde sonore, ma a più spettri di frequenze ristretti ai quali il nostro apparato di percezione - dall’orecchio all’area 41 della corteccia temporale - conferisce l’identità della nota corrispondente. Ad esempio, il La centrale o di mezzo è percepito e riconosciuto anche a frequenze di poco più basse e più alte dell’optimum di 440 Hz, allo stesso modo di quanto accade per i La più bassi (110, 220 Hz) e per quelli più alti (880, 1760, 3520).

[2] Ossia il paradigma armonico della composizione indicato nel titolo dello spartito: Re maggiore, Si bemolle minore, Fa diesis maggiore, La minore, ecc.

[3] Cfr. Hermann von Helmholtz, On the sensation of tone (tr. ingl. A. J. Ellis dall’originale del 1877). Dover, New York 1954. Conosciuto in Italia come Ermanno Luigi Ferdinando von Helmholtz, il fisiologo e fisico tedesco (1821-1894) studiò i fenomeni della risonanza acustica e spiegò la causa fisica del timbro dei suoni, ossia la caratteristica acustica conferita al suono da ciascuno strumento (il timbro del flauto, il timbro del’arpa, ecc.) e al canto da ciascuna voce (il timbro che consente di riconoscere l’identità della persona). Hermann von Helmholtz fu anche l’ideatore della teoria delle pile reversibili.

[4] L’ampiezza dell’intervallo compreso fra il valore di partenza e la fine della gamma dissonante è stato paragonato allo spettro di frequenze corrispondente alla parte centrale della tastiera di un pianoforte, ed è risultata un po’ più piccola di una terza minore temperata.

[5] Con questo termine von Helmholtz indica l’aumento e la diminuzione periodica di intensità tonale determinati dalla sovrapposizione di due suoni con frequenze fra loro vicine [Cfr. Hermann von Helmholtz, Teoria fisiologica della musica fondata sullo studio delle sensazioni uditive, 1863; qui si è consultata la versione francese di G. Guéroult (Masson, Parigi 1868)].

[6] A chi voglia approfondire l’argomento si consigliano gli articoli e i saggi di Andrea Frova per la loro chiarezza espositiva.

[7] Di passaggio, si ricorda che Felix Krüger attribuisce consonanza e dissonanza alla percezione di suoni di differenza, la cui frequenza è uguale alla differenza delle frequenze dei suoni principali. Carl Stumpf, invece, rinuncia all’analisi fisico-acustica, proponendo il concetto di “fusione” per una spiegazione psicologica della consonanza. In un’analisi rigorosamente critica a fondamento estetico, Arnold Schönberg dimostra l’impossibilità di una distinzione essenziale fra consonanza e dissonanza. Dello stesso parere è Igor Stravinskij, che critica anche la distinzione secondo la teoria tonale. Infine, Roman Vlad ritiene che questi concetti abbiano solo un valore storico. Cfr. la voce consonanza nel volume “I Concetti” del Grande Dizionario Enciclopedico UTET, Torino 1985.

[8] Si veda Andrea  Frova, Fisica nella musica. Zanichelli, Bologna 2003.

[9] Il gruppo (Rita Cadoni, Patrizio Perrella, Maria Daniele, Annalisa Lo Brutto, Roberta Carnesecchi, Gloria Gambacciani, ecc.), che ha tenuto incontri aperti al pubblico in Firenze presso il Caffè Storico Gilli nel periodo 2006-2007, era stato inizialmente costituito per studiare la felicità da un punto di vista neuroscientifico. Le presentazioni, dense di informazioni e corredate da centinaia di immagini, sono a disposizione dei soci.

[10] Blood e Zatorre hanno anche studiato il cervello di musicisti durante esperienze di euforia o commozione, rilevando l’attivazione di aree dei sistemi a ricompensa che intervengono nell’alimentazione, nell’attività sessuale e nella mediazione degli effetti di sostanze psicotrope che generano dipendenza. Un resoconto dettagliato di tutti questi studi si può leggere in Peretz I. & Zatorre R. J., The Cognitive Neuroscience of Music. Oxford University Press, 2003.

[11] L’articolo sarà oggetto di una recensione del dottor Lorenzo L. Borgia.

[12] Si vedano le rassegne incluse nel citato lavoro del gruppo di studio del 2007.