Una famiglia con disturbo bipolare rivela elementi di patologia molecolare

 

 

GIOVANNA REZZONI & NICOLE CARDON

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIII – 04 luglio 2015.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

L’angusta restrizione delle riflessioni dello psichiatra alle categorie del DSM e il suo frettoloso ricorso alla prescrizione liberatoria di farmaci che riducano drasticamente le manifestazioni cliniche, sta poco a poco cancellando l’abitudine allo studio del paziente, che ha costituito il patrimonio di documentazione clinica e di conoscenza umana che la psichiatria dell’ultimo mezzo secolo ha fornito alla medicina e alla cultura. Ad esempio, lo studio psicologico e fenomenologico delle persone affette da disturbi che possono dare luogo a quadri di psicopatologia bipolare, costituiva un’esperienza di straordinaria importanza per entrare nelle dinamiche mentali, riconoscere i fattori in grado di peggiorare il funzionamento psichico fino a modalità francamente psicotiche e prevenire o rallentare questa evoluzione con l’aiuto del paziente, fino a quando lo stato della sua coscienza lo avesse consentito.

Nel DSM-5 si legge a proposito del disturbo bipolare I: “I criteri del disturbo bipolare I rappresentano la moderna comprensione del classico disturbo maniaco-depressivo o psicosi affettiva descritta nel diciannovesimo secolo, distinguendosi da quella classica descrizione soltanto per il fatto che né la psicosi né l’esperienza nella vita di un episodio depressivo maggiore sono richieste”[1]. A parte che sulla “moderna comprensione” ci sarebbe molto da dire e da dissentire, anche solo considerando il fatto che i progressi nella genetica e nella psichiatria molecolare indicano un rapporto complesso e poco definito fra basi biologiche e manifestazioni cliniche, mentre il DSM traccia rigidi confini su base comportamentale, come se fossero state scoperte precise corrispondenze fra specifici genotipi o processi patogenetici e categorie del manuale. Ma, soprattutto, si deve rilevare che nessuna affermazione in queste poche righe è corretta. Nel diciannovesimo e nel ventesimo secolo si parlava di psicosi, o tutt’al più di follia maniaco-depressiva, quale forma, peraltro poco frequente con i criteri dell’epoca, di psicosi affettiva; essendo le altre, la psicosi maniacale e la psicosi depressiva. Quest’ultima, poi, era considerata la forma psicotica, espressa nelle persone geneticamente predisposte (depressione endogena), delle sindromi depressive reattive ad eventi o sviluppate come nevrosi (psiconevrosi emozionale) nelle persone prive di quella predisposizione genetica[2]. Completando la critica alle affermazioni del DSM-5, si deve osservare che non è corretto affermare che il disturbo bipolare I equivalga alla psicosi maniaco-depressiva “soltanto che né la psicosi né l’esperienza nella vita di un episodio depressivo maggiore sono richieste”. Tale affermazione sarebbe corretta se fosse riferita alla categoria delle prime edizioni del DSM, ma è assolutamente erronea, come ognuno può verificare leggendo i trattati di psichiatria dell’epoca, inclusi quelli che ancora si pubblicano nelle nuove edizioni che riportano i criteri in auge in passato, se la si riferisce a quella che viene definita nel DSM “psichiatria classica”.

Quella psichiatria, sviluppata in ambito medico-scientifico e non psicologico-statistico come ormai il DSM, conservava una prudenza di classificazione ed una fedeltà di osservazione che la tenevano lontana da una rigida definizione di una categoria diagnostica in assenza di evidenze certe, quali quelle, ad esempio, che le differenti sedi di lesioni cerebrali conferivano alla neurologia. Troviamo, infatti, descrizioni di “crisi ad evoluzione periodica della psicosi maniaco-depressiva”, come osservate nel dettaglio da vari psichiatri in differenti nazioni e contesti, proposte nella loro successione detta periodica o intermittente, sia dello stesso tipo, e perciò detta unipolare, sia dei due tipi, e per questo definita bipolare, secondo 8 tipi di profili di esperienza[3]. La necessità che sia presente la “psicosi” – soprattutto se gli autori del DSM-5 la intendono secondo il modello della schizofrenia (allucinazioni, deliri e deficit cognitivo) – non era una conditio sine qua non per l’inclusione in un ambito nosografico che era realisticamente concepito in modo molto più flessibile e indefinito di quello artificialmente costruito nel DSM.

Nel celebre manuale di psichiatria clinica di Kolb si possono leggere spunti interessanti, che trovano ancora oggi riscontro nell’esperienza di chi osserva ed ascolta le persone con questo genere di problemi: “Le anomalie dell’attività, dell’affettività e del pensiero mostrano spesso, ad un osservatore occasionale, di avere una plausibile relazione con l’ambiente sociale che circonda direttamente il paziente”[4]. L’elaborazione noetica, pur partendo spesso da un bisogno affettivo, da una frustrazione, da uno stato d’animo che induce esaltazione o rivendicazione, si sviluppa secondo una plausibilità razionale. Infatti, uno psicologo che non abbia formazione ed esperienza psichiatrica, spesso stenta a riconoscere come deliri le produzioni di pensiero di queste persone, soprattutto se ne assume il punto di vista. La distanza dalla realtà spesso è difficile da misurarsi, al contrario di quanto accade con i deliri dello schizofrenico, per l’abile spostamento dell’asse di senso dal rapporto con la realtà oggettiva alla condivisibile soggettività del registro affettivo. Sempre nel manuale di Kolb, ma anche nei paragrafi psicodinamici del trattato dell’American Psychiatric Association diretto da Silvano Arieti, si leggeva una nozione che, pur superata nel fondamento teorico psicoanalitico, trova ancora riscontro nella realtà comportamentale: le maggiori difese contro la depressione sono costituite da negazione e proiezione[5], intese come atteggiamento mentale che tende a negare la realtà e ad attribuire ad altri propri sentimenti o responsabilità.

Alla luce delle acquisizioni più recenti, che dimostrano un’alta ereditabilità a fronte di una gamma vasta ed eterogenea di genotipi associati ad aumentato rischio, l’osservazione delle persone affette da disturbo bipolare allo scopo di stabilire una relazione terapeutica efficace, dovrebbe essere sempre sistematicamente associata allo studio della loro famiglia.

Per la ricerca psicopatologica il problema principale è la definizione delle basi fisiopatologiche del disturbo, che costituirebbero un punto di partenza per scoprire i meccanismi dell’eziopatogenesi. Un nuovo approccio, quello che impiega le cellule staminali pluripotenti indotte, sembra estremamente promettente in tal senso. Madison e numerosi colleghi del MIT e di Harvard, impiegando questo paradigma, hanno ottenuto risultati di notevole interesse, che suggeriscono un impiego più esteso di questo approccio allo studio delle basi biologiche dei disturbi mentali (Madison J. M., et al., Characterization of bipolar disorder patient-specific induced pluripotent stem cells from a family reveals Neurodevelopmental and mRNA expression abnormalities. Molecular Psychiatry – 20 (6): 703-717, 2015).

La provenienza degli autori dello studio è la seguente: Stanley Center for Psychiatric Research, Broad Institute of MIT and Harvard, Cambridge, Massachusetts (USA); Psychiatric and Neurodevelopmental Genetics Unit, Center for Human Genetics Research, Massachusetts General Hospital, Boston, MA (USA); Department of Psychiatry, Massachusetts General Hospital, Boston, MA (USA).

Per sviluppare nuovi strumenti per indagare le basi cellulari e molecolari del disturbo bipolare, i ricercatori hanno applicato un paradigma basato sulla famiglia per ottenere un set di 12 linee di cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC, da induced pluripotent stem cell) da un quartetto costituito da due fratelli affetti dalla psicopatologia ricorrente e dai loro genitori clinicamente sani.

Inizialmente, nessuna significativa differenza fenotipica è stata osservata fra le cellule iPSC originate dai quattro membri della famiglia. Ma poi, nel corso di differenziazione neurale diretta, Madison e colleghi hanno osservato che le cellule progenitrici neurali (NPC) del sistema nervoso centrale esprimenti CXCR4 (CXC chemokine receptor 4) provenienti dai due fratelli ammalati, rispetto a quelle dei genitori sani, presentavano numerose differenze fenotipiche al livello di neurogenesi ed espressione di geni critici per la neuroplasticità, inclusi costituenti della via WNT e subunità di canali ionici.

I ricercatori hanno allora sperimentato il trattamento delle cellule progenitrici NPC positive a CXCR4 [CXCR4 (+)-NPCs] con una molecola interferente con la regolazione della via WNT. In particolare, hanno impiegato l’inibizione farmacologica della glicogeno-sintetasi chinasi 3, un noto regolatore della segnalazione WNT. Con questo trattamento inibitorio hanno ottenuto il recupero funzionale di un difetto di proliferazione presente nelle cellule NPC dei due figli affetti dalle canoniche manifestazioni cliniche del disturbo bipolare.

La lettura integrale del testo dell’articolo rende evidente che questo lavoro ha fornito nuovi strumenti cellulari per la dissezione della fisiopatologia del disturbo bipolare, ed evidenze di un’alterata regolazione di vie di importanza cruciale per lo sviluppo del sistema nervoso e per la neuroplasticità. Non si può non concordare con gli autori che la generazione di future iPSC, secondo un paradigma familiare, insieme con un’approfondita definizione di fenotipo, promette di fornire nuove conoscenze sui sostrati fisiopatologici del disturbo bipolare e potrà forse guidare la ricerca verso strumenti terapeutici veramente specifici e orientare in maniera mirata le misure di prevenzione.

 

Le autrici della nota ringraziano la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invitano alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanna Rezzoni & Nicole Cardon

BM&L-04 luglio 2015

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] AAVV., Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, DSM-5, p. 123 (traduzione delle autrici) American Psychiatric Publishing, Washington, DC, 2013.

[2] Alla luce degli studi degli ultimi 20-30 anni, questo criterio si è rivelato più prossimo alla realtà di quello adottato dal DSM. Le sindromi depressive e i disturbi da stress, infatti, nella massima parte dei casi riconoscono cause in grado di determinare un complesso squilibrio neuroendocrino e fra i sistemi neuronici mediatori delle emozioni, che però solo in persone con particolari profili genetici e fenotipi cerebrali possono generare quadri quali una depressione con deliri, disturbi cognitivi gravi e negativismo assoluto, oppure, fra le sindromi da stress, un PTSD.

[3] Cfr. Henry Ey, P. Bernard, Ch. Brisset, Manuale di Psichiatria, pp. 301-313, Masson, Milano 1983.

[4] Kolb, Psichiatria Clinica, p. 583, Idelson, 1979.

[5] Cfr. Kolb, op. cit., ibidem.