Basi molecolari di alterazioni strutturali e funzionali nella schizofrenia

 

 

NICOLE CARDON

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIII – 02 maggio 2015.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Un notevole interesse psichiatrico è stato suscitato dai portatori della delezione 22q11.2 che, oltre a presentare specifici deficit cognitivi, in circa il 30% dei casi sviluppa schizofrenia, ossia la forma di psicosi con la più grave alterazione dell’integrazione psichica e dell’efficienza cognitiva. Uno dei geni interessati dalla delezione è ZDHHC8, che codifica una palmitoil-trasferasi.

Jun Mukai e colleghi, sperimentando su topi con deficit di Zdhhc8 e su modelli murini di schizofrenia per delezione 22q11.2, hanno individuato i sostrati molecolari delle alterazioni della crescita degli assoni e della connettività, che costituiscono una delle basi neuropatologiche del funzionamento psicotico. Lo studio, che sarà pubblicato su Neuron, è stato proposto online lo scorso 23 aprile come bozza in corso di correzione (Mukai J., et al., Molecular Substrates of Altered Axonal Growth and Brain Connectivity in a Mouse Model of Schizophrenia. Neuron – Epub ahead of print Doi: http: //dx.doi.org/10.1016/j.neuron.2015.04.003, 2015).

La provenienza degli autori dello studio è la seguente: Department of Physiology and Cellular Biophysics, College of Physicians and Surgeons, Columbia University, New York (USA); Depertment of Psychiatry, New York State Psychiatry Institute, New York (USA); Pharmacology Research Laboratories I, Mitsubishi Tanabe Pharma Corporation, Yokohama, Kanagawa (Giappone); Department of Psychiatry, University of British Columbia, Vancouver, BC (Canada); Department of Neuroscience, College of Physicians and Surgeons, Columbia University, New York (USA).

Studi condotti su gemelli, figli adottati e intere famiglie durante l’ultimo mezzo secolo, hanno fornito evidenze indiscutibili dell’ereditabilità della schizofrenia[1]. La meta-analisi degli studi sui gemelli ha indicato una concordanza del 50% se uno di due gemelli monovulari è affetto, il che vuol dire un tasso di concordanza cinque volte maggiore di quello riscontrato fra fratelli e gemelli non identici. L’assenza di una concordanza completa indica l’importanza di fattori epigenetici che possono trasformare il genotipo in fenotipo. Cause di patologia perinatale, come infezioni virali del secondo trimestre ed anossia alla nascita, sembrano costituire i fattori ambientali più rilevanti nell’aumentare il rischio di sviluppare la psicosi. La ricerca scientifica recente ha decisamente spazzato via ipotesi, come quelle della scuola di Palo Alto[2], secondo cui deviazioni nello stile della comunicazione da parte di genitori ed altri adulti sarebbero state all’origine dello sviluppo della psicosi nelle età successive della vita. I numerosi studi condotti su persone che sono state allevate da genitori adottivi hanno ampiamente dimostrato che il rischio rimane legato alla famiglia naturale. Ad esempio, il rischio di schizofrenia in figli di schizofrenici (cioè parenti di primo grado) è immutato per un soggetto adottato da una famiglia senza alcun membro nell’albero genealogico affetto da schizofrenia o altre forme di psicosi. L’influenza dell’ambiente di vita e di relazione è stata documentata nei termini di un peggioramento nei pazienti già sintomatici, quando esposti a circostanze caratterizzate da un elevato grado di espressione emozionale.

Da tempo è noto che la schizofrenia e le sindromi psichiatriche correlate non possono essere attribuite all’alterazione di un singolo gene e non seguono uno schema di eredità mendeliana semplice, ma riconoscono alla loro origine una genetica complessa, in cui molti geni con effetti limitati interagiscono, determinando il fenotipo caratterizzato da deliri, allucinazioni, sintomi negativi e difetti cognitivi. Questa genetica complessa è coerente con gli esiti di studi recenti sulla distribuzione della concordanza: 60% fra gemelli monovulari (identici); 10% fra gemelli non identici, fratelli ed altri parenti di primo grado; 3% parenti di secondo grado[3].

Nella ricerca genetica sulla schizofrenia, fra le ipotesi di lavoro recentemente ha acquisito molto seguito la possibilità che rare mutazioni di alta penetranza possano essere alla base del rischio ereditato. Coerentemente con questa ipotesi, vari studi di associazione estesi all’intero genoma (GWAS)[4] hanno rivelato rare CNV (copy number variant) associate al rischio di schizofrenia. Le CNV sono varianti genomiche strutturali di dimensioni che variano da centinaia di coppie di basi a vari milioni, e consistono di microinserzioni, microdelezioni e trasposizioni nel genoma umano. Rare delezioni sono state trovate in 1q21.1, in 15q13.3 e, appunto, in 22q11. Da rilevare che alcune di queste varianti sono associate con disturbi dello spettro dell’autismo e disabilità evolutiva, ed è stato accertato che spesso si verificano de novo[5].

Attualmente si ritiene che, con ogni probabilità, i geni contenuti nelle CNV conferiscono il rischio, e perciò comprenderne la funzione potrebbe rivelare la “via finale comune alla vulnerabilità”, da studiare per futuri interventi terapeutici mirati.

Per i numerosi rapporti rilevati fra quadri neuropatologici associati alle manifestazioni cliniche di schizofrenia e dati genetici, si rimanda alle trattazioni specialistiche più aggiornate e agli articoli di rassegna più recenti, qui ci limitiamo a proporre alcuni esiti di un interessante studio condotto due anni fa alla Columbia University da un numeroso team che includeva Jun Mukai[6].

I ricercatori hanno impiegato, come modello di una condizione cerebrale predisponente alla schizofrenia, proprio il genotipo murino della microdelezione 22q11.2, allo scopo di valutare come questa “lesione genetica” possa interessare i circuiti neurali della corteccia cerebrale ai livelli sinaptico, cellulare e molecolare. Guidati dai deficit cognitivi, i ricercatori hanno accertato e dimostrato che questi animali presentano forti deficienze nella trasmissione sinaptica di alta frequenza e nella plasticità a breve termine (depressione e potenziamento sinaptico), così come alterazioni nella plasticità a lungo termine e nella stabilità delle spine dendritiche. A parte la riduzione di complessità dendritica dei neuroni piramidali del V strato della corteccia, riportata in precedenza, alterazioni della plasticità sinaptica si verificano nel contesto di cambiamenti citoarchitettonici relativamente circoscritti e spesso poco evidenti nella densità neuronica e nel numero dei neuroni inibitori GABA-ergici. In questo studio i ricercatori hanno confermato i pronunciati deficit dipendenti dalla regione critica 8 di DiGeorge (Dgcr8) nell’elaborazione primaria di micro-RNA, ed hanno identificato altre variazioni nell’espressione genica che possono essere alla base degli effetti di questa mutazione.

Il lavoro qui recensito di Mukai e colleghi, ha innanzitutto dimostrato che i topi con deficit di Zdhhc8 presentano una ridotta palmitoilazione di proteine che regolano la crescita degli assoni e lo sviluppo delle diramazioni. Poi ha provveduto a studiare i neuriti delle cellule piramidali nel cervello di topi col difetto selettivo o col genotipo di delezione, per verificare le conseguenze specifiche del deficit dell’enzima e confrontarle con quelle della delezione 22q11.2.

In particolare, l’analisi delle proiezioni assoniche piramidali sia nei topi con deficit di Zdhhc8, sia nei topi Df(16)A+/– che riproducono la delezione 22q11.2, ha rivelato un iposviluppo degli assoni, evidente come disturbo difettuale della crescita e dell’arborizzazione terminale. Tale difetto di sviluppo poteva essere prevenuto, in entrambi i genotipi, mediante l’introduzione della palmitoil-trasferasi mancante, ossia della proteina ZDHHC8 integra.

La riduzione della telodendria assonica dei neuroni piramidali cerebrali esaminati, non era priva di conseguenze. Infatti, le analisi effettuate dai ricercatori hanno registrato una diminuzione della forza sinaptica in connessioni cruciali per il funzionamento cerebrale ed anche un’alterazione dei normali schemi di connettività funzionale, sia nelle connessioni a breve che a lungo raggio. Lo studio funzionale e comportamentale degli animali ha consentito di stabilire, quale precisa correlazione cognitiva di questo quadro di deficit di sviluppo, l’esistenza di un danno alla memoria di funzionamento (working memory).

L’effetto di ZDHHC8 è mediato in parte attraverso la modulazione Cdc42-dipendente della segnalazione Akt/Gsk3β all’estremità dell’assone, ed esprime reversibilità se si interviene riducendo farmacologicamente l’attività Gsk3β durante lo sviluppo post-natale del cervello.

L’insieme dei dati emergenti da questo studio, per il cui dettaglio si rinvia alla lettura integrale del testo del lavoro originale, fornisce elementi di conoscenza utili e suggestivi per la comprensione dei meccanismi molecolari responsabili delle alterazioni strutturali e funzionali alla base di sintomi cognitivi e psicopatologici associati con una mutazione predisponente alla schizofrenia.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Nicole Cardon

BM&L-02 maggio 2015

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Tiwari A. K., et al., Genetics in Schizophrenia: Where are we and what next? Dialogues Clinical Neuroscience 12, 289-303, 2010. Confronta, anche per le altre affermazioni proposte in questa recensione, Coyle T. C. & Konopaske G. T., The Neurochemistry of Schizofrenia, pp. 1000-1011 in Basic Neurochemistry (Brady, Siegel, Albers, Price), Academic Press, Elsevier, 2012.

[2] L’ipotesi di una comunicazione contraddittoria in famiglia come causa della schizofrenia, propugnata dalla scuola dei comportamentisti del linguaggio di Palo Alto, ebbe notevole popolarità ed ha goduto di un discreto seguito presso scuole psicologiche della costa dell’Ovest degli Stati Uniti e, nel nostro Paese, negli ambienti psicologici e psichiatrici di più basso livello scientifico e culturale.

[3] Cfr. Coyle J. T. & Konopaske G. T., op. cit., p. 1001, 2012. Per gemelli non identici, fratelli ed altri parenti di primo grado, altri studi hanno riscontrato concordanza fino al 15%.

[4] Genome Wide Association Studies, sui quali si è basato il lavoro di una specifica commissione che ha coordinato i risultati ottenuti, esponendone gli esiti in un documento che ha costituito un riferimento per gli studi successivi (Psychiatric GWAS Consortium Coordinating Committee, 2009); si veda: Gershon E. S., et al. After GWAS: Searching for genetic risk for schizophrenia and bipolar disorder. The American Journal of Psychiatry 168, 253-256, 2011.

[5] Nel genoma degli schizofrenici è stato rilevato un numero più elevato di CNV rispetto ai soggetti sani di controllo, al contrario di quanto accade nel disturbo bipolare, in cui la densità di CNV è identica a quella dei controlli sani. Questa differenza di densità potrebbe interagire con gli alleli di rischio condivisi (fra schizofrenia e disturbo bipolare) determinando la differenza fra i due fenotipi patologici [Cfr. Perrella G., Schizofrenia e Disturbo Bipolare: appunti di aggiornamento. BM&L, Firenze 2012 (relazione per un incontro con il gruppo strutturale di psicopatologia)].

[6] Fenelon K., et al. The pattern of cortical dysfunction in a mouse model of a schizophrenia-related microdeletion. Journal of Neuroscience (Sep 11) 33 (37): 14825-14839, 2013.