Dal rossore da alcool a una scoperta sul dolore

 

 

LUDOVICA R. POGGI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIII – 18 aprile 2015.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: BREVE AGGIORNAMENTO]

 

In occasioni conviviali o nelle tipiche uscite serali fra amici, non di rado accade di notare che, bevendo vino, birra o superalcolici, qualcuno abbia un immediato rossore delle guance e, pur essendo propenso al riso, avverta un lieve disturbo. Se la compagnia è numerosa e fra i presenti vi sono ragazze orientali, è quasi certo che si possa osservare questa reazione, detta negli Stati Uniti Asian glow, proprio perché estremamente comune fra le persone di quel continente. La ragione del flusso ematico con rossore cutaneo, e di altri sintomi a volte associati, quali capogiri e nausea, è un accumulo acuto di aldeidi derivate dall’alcol etilico, normalmente eliminate dall’azione enzimatica dell’aldeide deidrogenasi (ALDH2) che, nell’Asian glow, è inattivata da una mutazione genetica. I portatori di questo difetto sono presenti in tutto il mondo e in tutte le etnie, ma sembra che la maggioranza dei Cinesi Han ne sia affetto.

In senso stretto, Han è il nome di una dinastia che si fa risalire al II secolo a.C., ma in senso più ampio designa i Cinesi di origine autoctona e non provenienti dalla Mongolia. Secondo stime epidemiologiche recenti, la mutazione genetica che impedisce all’ALDH2 di metabolizzare i composti aldeidici dell’etanolo, è presente in oltre mezzo miliardo di persone al mondo.

Fino ad alcuni mesi fa, queste nozioni sembravano non avere un valore di molto superiore a quello della curiosità biochimica, che spiega le ragioni di un fenomeno temporaneo, in genere ben tollerato ed evitabile con l’astensione dalle bevande alcooliche. Un nuovo studio, condotto da un team della Stanford University, guidato da Daria Mochly-Rosen, ha invece dimostrato, in topi portatori della mutazione genetica umana che disattiva l’enzima ALDH2, una diminuita capacità di tollerare il dolore.

Infatti, i topi portatori della mutazione umana che causa Asian glow, quando ricevevano l’iniezione di un composto dolorifico sulla zampa, mostravano una reazione molto più marcata di topi di controllo con una ALDH2 normale. I ricercatori hanno allora sperimentato l’efficacia di un nuovo farmaco, l’Alda-1, che ha la proprietà di accrescere l’attività enzimatica dell’ALDH2. L’esito è stato rilevante: le manifestazioni oggettive e i segni comportamentali del dolore erano drasticamente ridotti, sia nei roditori portatori della mutazione umana nel gene della ALDH2, sia in quelli fungenti da controllo, portatori dell’enzima normale. Ma l’aspetto di maggiore interesse è dato dal fatto che i ricercatori hanno trovato, con grande sorpresa, aldeidi nel sito dell’infiammazione, anche se i topi non erano stati esposti all’alcool. Si sono così resi conto di aver scoperto l’intervento di aldeidi nei meccanismi fisiologici del dolore, almeno quello legato all’infiammazione. In altre parole, è verosimile che le aldeidi naturali, prodotte dal corpo, contribuiscano in maniera significativa alla genesi del dolore infiammatorio e che, in condizioni fisiologiche, tali composti siano tenuti sotto controllo dall’ALDH2.

L’importanza di questa scoperta dovrà essere valutata e verificata sperimentalmente dai ricercatori più esperti nello studio dei meccanismi molecolari del dolore. Intanto, il gruppo di Daria Mochly-Rosen sta allestendo esperimenti secondo una nuova ipotesi di lavoro basata su questa evidenza, ossia che le persone portatrici della mutazione genetica che invalida la funzione di ALDH2 abbiano un’esperienza soggettiva del dolore diversa da quella della maggioranza. Potrebbero - si suppone - avere sensazioni negative molto attenuate. I ricercatori di Stanford hanno collegato la loro scoperta con resoconti aneddotici di una più bassa soglia del dolore nei discendenti della dinastia Han.

Una questione decisamente più rilevante è l’importanza di ALDH2 nella percezione del dolore. Perché, se si proverà un ruolo rilevante nell’uomo e se Alda-1 attiva nella nostra specie, come nei roditori, l’enzima in portatori e non portatori della mutazione, si potrà disporre di una nuova possibilità di trattamento analgesico dei pazienti resistenti agli oppioidi.

 

L’autrice della nota invita alla lettura degli scritti di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Ludovica R. Poggi

BM&L-18 aprile 2015

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