Evidenze di un sostrato neurobiologico comune per le malattie mentali

 

 

GIOVANNA REZZONI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIII – 07 marzo 2015.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Anche gli psichiatri che privilegiano il livello psicologico per l’esame e il trattamento dei disturbi mentali e fondano la propria pratica su basi culturali che prescindono dallo studio neurobiologico del cervello e dalla ricerca di cause ed effetti dei disturbi nella neurofisiologia e nella neuropatologia, non dovrebbero trascurare gli studi che, cercando correlazioni fra dati morfo-funzionali e quadri clinici, ottengono risultati che possono aprire nuovi orizzonti di riflessioni. O possono, in alcuni casi, mettere in crisi il valore assoluto dei paradigmi sui quali si basano i principali sistemi diagnostici e classificativi correnti, primo fra tutti quello adottato dall’American Psychiatric Association nel DSM-5. Per chi, invece, ha familiarità con le varie branche della psichiatria biologica del terzo millennio, uno studio come quello che qui di seguito recensiamo e che dichiara nel titolo l’identificazione di un comune substrato neurobiologico per la malattia mentale, è molto più di una provocazione o di uno stimolo per mettere in discussione l’attuale “cultura di transizione” in psichiatria: è una nuova tessera in un mosaico che comincia a comporsi, e che quando sarà completo ridefinirà le basi patologiche dei disturbi mentali (Goodkind M., et al., Identification of a Common Neurobiological Substrate for Mental Illness. JAMA Psychiatry -  Epub ahead of print 2015, Feb 4. Doi: 10.1001/jamapsychiatry.2014.2206, 2015).

La provenienza prevalente degli autori dello studio è la seguente: Veterans Affairs Palo Alto Healthcare System and the Sierra Pacific Mental Illness, Research Education, and Clinical Center (MIRECC), Palo Alto, California (USA); California Department of Psychiatry and Behavioral Sciences, Stanford University School of Medicine, Stanford, California (USA); Institute for Neuroscience and Medicine, Research Center Jülich, Jülich (Germania); Germany Institute for Clinical Neuroscience and Medical Psychology, Heinrich-Heine University, Düsseldorf, Düsseldorf (Germania); Sydney Translational Imaging Laboratory, Sydney Medical School, University of Sydney, Sydney (Australia); Research Imaging Institute, University of Texas Health Science Center at San Antonio, San Antonio, Texas (USA); University of Hong Kong, State Key Laboratory for Brain and Cognitive Sciences, Hong Kong (Cina); Department of Psychiatry, New York University, New York (USA).

Le diagnosi psichiatriche sono attualmente formulate sulla base di set di sintomi che compongono, nell’insieme, un quadro corrispondente a uno dei disturbi definiti e riconosciuti dalla nosografia corrente. In tal modo, nella clinica psichiatrica si tende a procedere come nella clinica medica; tuttavia, sussiste una differenza importante: l’identità delle malattie in medicina si basa sulla corrispondenza fra la patologia (eziologia, patogenesi, anatomia patologica, ecc.) e il quadro clinico, mentre in psichiatria, se si eccettuano i disturbi neurologici con sintomi psichiatrici (demenze neurodegenerative, encefaliti, tumori, ecc.) questo non accade. Le ragioni di questa particolarità sono solo in parte di carattere medico-scientifico, perché la quota maggiore di disturbi psichiatrici non è costituita da malattie intese in senso tradizionale, ma da forme di sofferenza[1] o di particolare fisiologia mentale[2], che in una data epoca storica sono state equiparate alle malattie del corpo, come quelle derivanti da processi infiammatori, degenerativi e tumorali, e sono poi rimaste all’interno del paradigma medico per varie ragioni, non ultima la possibilità di conoscerle in forma scientifica[3]. D’altra parte, come ha dimostrato soprattutto nell’ultimo mezzo secolo la psichiatria, tali condizioni si prestano ad essere studiate, diagnosticate e curate come le malattie fisiche.

Ricordare quanto sopra, aiuta ad avere ben presente che l’identità e i limiti che possono caratterizzare un quadro clinico, ad esempio una psicosi, e distinguerlo da un altro, ad esempio un disturbo dello spettro dell’ansia, non sono gli stessi che caratterizzano, ad esempio il diabete, e lo distinguono da un’infezione virale delle prime vie aeree come il raffreddore comune. Non meraviglia, perciò, che analisi genetiche e studi psicopatologici non influenzati dai criteri della nosografia psichiatrica tradizionale, abbiano rilevato similarità fra un numero molto esteso di quadri clinici, anche lontani fra loro in termini nosografici. Tali elementi comuni hanno suscitato riflessioni e dibattiti circa la loro interpretazione, che non rimane univoca, ma hanno anche promosso l’idea che un sostrato neurobiologico comune possa esistere per la malattia mentale generalmente intesa.

Su questa base, psichiatri e ricercatori provenienti da nazioni che vanno dagli USA alla Germania, dall’Australia alla Cina, si sono uniti su un progetto consistente in 1) una meta-analisi di studi di neuroimmagine strutturale del cervello di persone con le più varie diagnosi psichiatriche; 2) un’analisi parallela di 3 raccolte di dati di vasta scala ottenuti da partecipanti in buono stato di salute, da utilizzare per l’interpretazione dei dati strutturali oggetto della meta-analisi.

Le fonti dei dati sono costituiti da articoli trovati mediante PudMed e relativi a studi di morfometria basati sul voxel, in cui pazienti psichiatrici erano stati messi a confronto con individui mentalmente sani e non affetti da alcuna patologia nota. I tre set di dati ottenuti da volontari sani che hanno partecipato alla parte sperimentale dello studio condotto da Goodkind e colleghi, erano così costituiti: a) immagini in risonanza magnetica funzionale dello stato di riposo (fMRI resting state); b) una banca-dati di foci di attivazione basata sugli esiti di migliaia di esperimenti di neuroimaging; c) un set di dati con immagini strutturali del cervello durante i compiti sperimentali assegnati ai volontari e la stima delle prestazioni mediante i punteggi riportati nell’esecuzione.

Basandosi sulla meta-analisi della morfometria di 193 studi comprendenti 15892 individui appartenenti a 6 diversi gruppi diagnostici (schizofrenia, disturbo bipolare, depressione, dipendenza da sostanze, disturbo ossessivo-compulsivo e disturbi d’ansia), i ricercatori hanno trovato che la perdita di materia grigia convergeva fra le diagnosi in tre regioni: la corteccia dorsale anteriore del giro del cingolo, l’insula (di Reil) di destra e quella di sinistra.

Al contrario, sono stati rilevati solo pochi effetti specifici per la diagnosi: soltanto la schizofrenia e la depressione hanno trovato elementi morfo-funzionali caratterizzanti e, dunque, coerenti con la rigida e netta distinzione nosografico-clinica.

Nelle analisi di follow-up delle tre sezioni indipendenti di dati ottenuti da partecipanti in buona salute, i ricercatori hanno rilevato che la parte di cervello comune nella perdita (o volume minore) di materia grigia formava una rete strettamente interconnessa durante i compiti sperimentali ed anche nello stato di riposo, e che il grado più basso di materia grigia in questa rete di regioni cerebrali era associato con le prestazioni più scadenti e, quindi, con una funzionalità esecutiva di minore efficacia ed efficienza.

Gli autori dello studio hanno avuto conferma dell’ipotesi di lavoro sposata da ricercatori di quattro continenti, rilevando una concordanza fra diagnosi psichiatriche in termini di integrità o alterazione di una rete basata bilateralmente sulla porzione anteriore dell’insula e sulla parte dorsale anteriore del giro del cingolo, la quale sembra essere in relazione con i deficit di funzioni esecutive che accomunano i pazienti con le diagnosi più disparate, ricadenti nei sei grandi gruppi precedentemente indicati. Goodkind e colleghi sostengono che questa concordanza fornisce un modello di organizzazione che enfatizza l’importanza di substrati neurali condivisi fra le diverse forme psicopatologiche, a dispetto della probabili differenti eziologie che - sottolineano gli autori dello studio – non sono attualmente una componente esplicita della nosografia psichiatrica.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la revisione del testo e invita alla lettura delle numerose recensioni di interesse psicopatologico e psichiatrico che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanna Rezzoni

BM&L-07 marzo 2015

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Si pensi agli scompensi da stress, dolore morale, trauma psichico, ecc. Oggi la sofferenza derivante dalla perdita di persone care, da pene d’amore, litigi in famiglia o gravi problemi di lavoro è  ragione frequente di consultazione dello psichiatra o di uno psicologo psicoterapeuta, mentre in passato questi problemi non venivano “medicalizzati” e si affrontavano secondo varie e consolidate tradizioni culturali, con un posto privilegiato per l’approccio spirituale.

[2] Si pensi ai disturbi dell’identità sessuale, al travestitismo, alle parafilie come la pedofilia, il feticismo, ecc.

[3] Questi argomenti sono analizzati in profondità con un approccio multidisciplinare dal nostro presidente, ai cui scritti si rimanda per una disamina delle problematiche in campo nella fondazione culturale della psichiatria contemporanea, che va dalle ragioni del sapere umanistico a quelle delle neuroscienze.