SARS-CoV-2: TESTI (08-02-20
al 02-05-20)
Dando
seguito alle numerose richieste, abbiamo raccolto in un unico documento tutti i
testi sul nuovo coronavirus pubblicati su questo sito, come articoli o come “Notule”,
dal 2 di febbraio al 2 di maggio 2020. Per l’ordinamento cronologico, si è adottato
il criterio più frequentemente seguito sul web, ossia una disposizione “a
stack” dal basso verso l’alto, con il testo meno recente riprodotto in
fondo al documento e il più recente, come in cima ad una pila, pubblicato per
primo.
Le tre
comunicazioni seguenti sono state pubblicate come Notule nelle “Note e Notizie”
del 2 maggio 2020.
Entro i 19 giorni, il 100% degli infettati
aveva anticorpi anti-SARS-CoV-2. Quan-Xin Long
e numerosissimi colleghi hanno riportato i dati sulle risposte anticorpali
acute a SARS-CoV-2 in 285 pazienti affetti da COVID-19. Entro 19 giorni dall’esordio
dei sintomi il 100% dei pazienti risultava positivo all’immunoglobulina G (IgG)
antivirale. La sieroconversione per IgG e IgM si verificava simultaneamente o
in successione. I titoli di entrambe le specie anticorpali raggiungevano il plateau
entro 6 giorni dopo la sieroconversione. Su questa base gli autori sostengono
che i test sierologici possono essere di aiuto per la diagnosi di pazienti
sospetti con risultati negativi RT-PCR e per l’identificazione delle infezioni
asintomatiche. [Quan-Xin Long et al. Nature Medicine – AOP doi: 10.1038/s41591-020-0897-1,
2020].
I risultati di test anticorpali indicano
un numero di infetti molto più alto di quello registrato. Mentre l’Organizzazione
Mondiale della Sanità sta conducendo uno studio globale di siero-prevalenza
denominato “Solidarity II”, sono stati pubblicati una quindicina di lavori di
stima della siero-prevalenza, che indicano un numero di persone entrate in
contatto con SARS-CoV-2 più di 50 volte maggiore di quello degli attualmente stimati
positivi al coronavirus con la procedura basata sui test da tamponi dei
sintomatici. Uno di questi studi è particolarmente significativo per il numero
dei soggetti testati, e per noi interessante perché il protocollo sanitario
seguito non si discosta sostanzialmente da quello applicato in Italia. Il
campione di 3300 volontari, sul totale di circa 2 milioni di abitanti della
contea di Santa Clara in California, ha consentito ad Eran Bendavid e colleghi di
sviluppare importanti inferenze e metterle a confronto con i dati pubblici di
prevalenza degli affetti. Il calcolo delle persone “attualmente positive” in
Santa Clara era di circa 1000; il test sierologico ha rivelato che un abitante
su 66 aveva avuto contatto col virus, pertanto le persone ospitanti SARS-CoV-2
sono comprese in un raggio che va da 48.000 a 82.000. [Cfr. Eran Bendavid et
al., COVID-19 Antibody Seroprevalence in Santa Clara
County, California. medRxiv doi:
10.1101/2020.04.14.20062463, 2020].
Lo studio dei processi infiammatori
e immunitari può suggerire terapie più efficaci per COVID-19. Mattew
Zirui Tay e colleghi, dopo aver fornito un quadro della fisiopatologia dell’infezione
da SARS-CoV-2, descrivono l’interazione del virus col sistema immunitario e il conseguente
contributo di risposte immunitarie disfunzionali alla progressione della
malattia. Dai resoconti virologici su SARS-CoV-2, gli autori dello studio hanno
sviluppato inferenze in base ai tratti immunologici e fisiopatologici paralleli
di altri coronavirus umani con tropismo specifico per le basse vie respiratorie,
quali SARS-CoV (il virus dell’epidemia della grave sindrome respiratoria acuta
del 2002-2003) e MERS-CoV (Middle East respiratory syndrome coronavirus).
Gli autori evidenziano le implicazioni delle deduzioni ricavate da questo
approccio, per interventi diretti sia ai processi dell’infezione virale,
sia all’immunoregolazione. [Mattew Zirui Tay et al., Nature Review
Immunology AOP – doi: 10.1038/s41577-020-0311-8, April 28, 2020].
Aggiornamenti sulla protezione da SARS-CoV-2
GIOVANNI ROSSI
NOTE E NOTIZIE - Anno XVII – 25 aprile 2020.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia).
Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società,
la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici
selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste
e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: AGGIORNAMENTO]
Anche se siamo neuroscienziati e fra noi gli esperti di virologia si sono
prevalentemente occupati di patologia virale del sistema nervoso centrale, il
rapporto di fiducia con colleghi, studenti e tanti altri visitatori abituali
del nostro sito, che ci contattano complimentandosi per il rigore della nostra
comunicazione scientifica, ci ha eletto a riferimento in questa pandemia da
SARS-CoV-2. Le continue richieste di spiegazioni, pareri e opinioni su fatti e
problemi di attualità, ci hanno indotto a raccogliere in una risposta
collettiva la sintesi di quanto ciascuno di noi sta proponendo alle domande che
riceve personalmente.
Una prima questione da affrontare è l’effettivo valore delle misure di
prevenzione che stiamo quotidianamente ponendo in atto (distanziamento
interpersonale di almeno un metro, lavarsi le mani frequentemente, ecc.) e,
soprattutto, l’apparente discordanza fra esperti consultati separatamente.
Noi vogliamo sottolineare che le deduzioni che si compiono a partire dai
dati certi sulle modalità di contagio, e le conclusioni che si traggono, si possono
in gran parte riportare a due diversi atteggiamenti mentali:
1) mi pongo di fronte alla questione come se fosse un esercizio
accademico da eseguire attenendosi scrupolosamente ai dati teorici, al fine
di ridurre la possibilità di contagio in circostanze in cui c’è una probabilità
non definita di trovare il virus sulla propria strada;
2) mi pongo di fronte al problema con l’intento di avere la certezza di
evitare il contagio di una malattia potenzialmente mortale, nell’ipotesi
che sicuramente nell’ambiente che frequento è presente il virus.
1. Esercizio accademico su dati teorici presuntivi. Nel primo caso,
si comprende come le misure generiche suggerite dall’OMS per la popolazione
generale[1] siano soddisfacenti e possano
ritenersi sufficienti. Infatti, se consideriamo SARS-CoV-2 un virus
respiratorio che si trasmette solo attraverso l’emissione nell’aria delle
goccioline di Flügge contenenti particelle virali vive attraverso tosse,
starnuti e atti del respiro, e se si ritiene che solo se le mani siano
contaminate da secrezioni ci sia il rischio di portare materiale infettante a
contatto con le mucose vulnerabili, allora basta proteggersi con una mascherina
e dei guanti monouso, tenendosi a un metro di distanza da altre persone come quando,
per esempio, si va al supermercato.
Se si ritiene, come si presumeva dallo studio di altri coronavirus, che il
microrganismo muoia subito nell’ambiente esterno, si deve temere solo il
contatto con oggetti e superfici contaminate di recente da materiale patologico
e se all’ingresso del supermercato sui guanti di ciascuno e sull’impugnatura
del carrello si cosparge il “gel sanificante”, allora si elimina ogni rischio. Sempre
in questa ottica, proteggersi con la mascherina chirurgica può essere
sufficiente, se la si porta tutti. Perché, nell’ipotetico affetto ma inconsapevole
per sintomi lievi, la barriera della mascherina riduce quantitativamente l’emissione
col respiro dei virus che, seppure riuscissero in parte a percorrere un metro,
troverebbero un’altra mascherina sul loro percorso per giungere alle mucose della
persona più prossima esposta al contagio.
E, se per una volta non si sono calzati i guanti o togliendoseli si è
toccata la loro superficie contaminata, c’è il rimedio di lavarsi accuratamente
e frequentemente le mani; cosa che vale ancor di più per chi è risultato positivo
al coronavirus o, presentando sintomi di malattia delle prime vie respiratorie,
teme di essere affetto da COVID-19.
Avendo questa cura igienica delle mani, completata dall’abitudine di cospargerle
con i prodotti sanificanti nell’intervallo fra un lavaggio e l’altro, si riduce
al minimo la possibilità che, toccandosi gli occhi inavvertitamente, si consenta
la penetrazione congiuntivale del virus.
Sempre nel caso del puro esercizio accademico, la frequente pulizia delle
superfici sarebbe decisiva nell’allontanare ogni preoccupazione.
2. Certezza di evitare il contagio di una malattia potenzialmente
mortale. Se mi pongo nell’ottica di raggiungere la certezza di
evitare il contagio in un ambiente in cui sicuramente è presente il
virus, cambia del tutto l’atteggiamento mentale, con conseguenze sui criteri di
giudizio e sulle scelte che si operano. In questo secondo caso includo sia le
circostanze in cui la certezza di incontrare il virus è un fatto, come nei servizi
medici di diagnosi e cura, sia le circostanze in cui la preoccupazione o lo stress
mi possono indurre a ritenere certa una presenza che è solo probabile.
Insomma, considero la preoccupazione, emotiva e razionale allo stesso tempo, di
una persona che sa di appartenere a una categoria a rischio di conseguenze
letali e, per sentirsi del tutto al sicuro e non rischiare nulla, vuol misurare
la bontà delle misure preventive sulla certezza della presenza del virus.
Vediamo subito perché la distanza interpersonale di un metro da una persona
affetta in questa ottica è una misura insoddisfacente. Si tratta del portato di
una deduzione basata su studi condotti per misurare, in particolari condizioni
sperimentali, il raggio coperto dalle goccioline microscopiche. La misura non considera
la possibilità che il virus rimanga nell’aria, tanto più se è densa e umida in
ambienti circoscritti, e si sposti anche per effetto dei movimenti delle
persone, e non considera la persistenza nell’aria di uno spazio occupato in
precedenza da una persona affetta. Se ragioniamo in questi termini, e non semplicemente
nei termini della distanza lineare che può percorrere una gocciolina contenente
il virus, comprendiamo che per ritenere efficace la misura dovremmo supporre che
ciascuno inspiri solo l’aria del metro cubo che lo circonda. La profonda
inspirazione che può precedere un sospiro, di quelli che automaticamente si
compiono in stati di tensione, ansia, preoccupazione o torpore, produce un’aspirazione
d’aria che può andare oltre il metro di distanza.
La possibilità che il virus viaggi nell’aria, implicitamente esclusa dagli
assunti teorici su cui abbiamo basato il punto “1”, è stata provata da alcuni
studi pubblicati già durante la fase acuta a Wuhan, dove si è proceduto
immediatamente con potenti e imponenti misure di bonifica ambientale, ed è stata
poi confermata successivamente, in particolare da un autorevole studio da noi
recensito[2].
Un severo commento sul modo in cui è stata da alcuni intesa la misura della
distanza interpersonale: “Un’interpretazione puerilmente rigida della distanza
interpersonale di un metro, derivata da vecchi studi sul raggio coperto dalle
goccioline di Flügge in particolari condizioni di prova, ha portato alla
ridicola misura di prenotare in teatro i posti a poltrone alternate e a continuare
ad ignorare il pericolo costituito dall’aria condizionata che può preservare il
virus in sospensione, come abbiamo fatto notare e segnalato inascoltati per
settimane”[3].
Ancora, sulla distanza sociale, è stato proposto un esempio da un collega
con un video di una ragazza dai capelli lunghi che esulta durante una partita
di calcio, facendo ruotare i capelli tinti dei colori della sua squadra del
cuore e ricoperti di brillantini: dopo poco è inquadrato un signore a tre posti
di distanza che si toglie i brillantini dagli occhi. E se quei capelli fossero
stati contaminati da uno starnuto? Certo, si è considerata per altri
microrganismi la possibilità dei capelli di estendere con il movimento l’area
di trasmissione; d’altra parte è noto che i capelli possono ospitare agenti patogeni,
per questo ordinariamente chirurghi e medici che devono agire in asepsi
adoperano cuffie chirurgiche.
Un parametro generalmente trascurato è il tempo. Immaginiamo di
essere entrati in un supermercato, protetti dai guanti e da una semplice mascherina
chirurgica, e di aver individuato una persona senza mascherina che di tanto in
tanto tossisce, anche se è a molti metri di distanza. La dimostrazione della
possibilità del virus di diffondersi nell’aria e la sua persistenza sulle superfici
ci preoccupano; per evitare ulteriori ansie possiamo rapidamente avviarci alle casse,
abbreviando il tempo di permanenza. In tal modo, si riduce la quantità d’aria
potenzialmente contaminata che può entrare nelle nostre vie respiratorie,
naturalmente filtrata dalla mascherina.
Più in generale, si può considerare il tempo di esposizione, ossia la
durata della permanenza in un luogo in cui si sospetti la presenza del virus,
come un fattore che accresce la probabilità statistica di incontrarlo.
Proseguendo le riflessioni nell’ottica della certezza assoluta, le
mascherine chirurgiche possono considerarsi del tutto inadeguate per proteggersi
dal rischio di inalare SARS-CoV-2: le N95 e tutti gli altri tipi di mascherine
specificamente concepite per impedire il passaggio dei virus sono
indispensabili.
Le misure continuamente reiterate dalle emittenti televisive indicano l’uso
di mascherine e guanti, ma degli occhi non si parla. La penetrazione attraverso
la congiuntiva oculare e la mucosa palpebrale sembra certa, così come è stata
provata la presenza del virus nelle lacrime delle persone affette da COVID-19. Dunque
le lacrime, come altre secrezioni e le deiezioni, eliminano il virus in
quantità sufficienti a propagare il contagio. Ne consegue che, se è presente
una persona affetta nell’ambiente, dobbiamo proteggere anche gli occhi. Ma anche
che, per l’assoluta certezza, gli speciali occhiali trasparenti che aderiscono
alla superficie perioculare e possono impedire di diffondere il contagio con le
secrezioni oculari dovrebbero portarli tutti.
Consideriamo ora la raccomandazione di lavare frequentemente le mani.
In proposito, ecco cosa è risultato da un’osservazione comportamentale
condotta con un video su quattro medici in una pizzeria prima del lock down:
uno si è stropicciato un occhio; un altro, mentre mangiava, ha portato il dito
su una gengiva, subito scusandosi e ricorrendo a uno stuzzicadenti; il terzo ha
introdotto furtivamente il mignolo nel meato acustico esterno per prurito. Con
dita contaminate, almeno i primi due comportamenti sarebbero stati sufficienti
a contagiarsi.
Lavarsi le mani con i detergenti usati nelle sale operatorie, adoperando lo
spazzolino per l’igiene chirurgica, ripassandolo più volte accuratamente in
tutte le direzioni sotto un getto d’acqua calda per 3-5 minuti è stato
dimostrato che può eliminare tutti i batteri e anche qualche virus. Non
che elimini tutti i virus; sempre ammesso che siano presenti sulla cute delle mani
per contaminazione. Il gel disinfettante è batteriostatico, nemmeno battericida,
e non ha di per sé efficacia virucida, ma sembra che, oltre ad agire sul materiale
organico che circonda e preserva il virus, possa contribuire all’azione meccanica
di asportazione e possa impedire ulteriori passaggi nell’aria (aerosolizzazione)
del microrganismo.
Pur rimanendo valido il concetto che il virus non sopravvive a lungo nell’ambiente
esterno[4], lo studio condotto da Neeltje van Doremalen
e colleghi coordinati dal virologo Vincent Munster ha rilevato la presenza del
virus in sospensione aerea (aerosol) fino a tre ore dopo l’emissione, su
superfici di rame fino a quattro ore, sul cartone fino a 24 ore e, su plastica
e acciaio inossidabile, fino a due o tre giorni dopo[5].
Prese insieme, tutte queste considerazioni, per raggiungere la certezza
di evitare il contagio in un ambiente in cui sicuramente è presente il
virus, non resta che adottare mezzi e strumenti di protezione impiegati dagli
infettivologi. In proposito, si osservava nella già più volte citata recensione
dell’11 aprile a proposito dell’Ospedale Cotugno, dove nessun medico si è
contagiato: “Perché gli infettivologi di quel nosocomio di eccellenza hanno
considerato fin dall’inizio la possibilità di altre vie di contagio, oltre l’inalazione
diretta di goccioline emesse con tosse e starnuti da persone ammalate, e si
sono protetti con tute, caschi e ogni altro dispositivo previsto dagli standard
per le più insidiose e gravi possibilità di infezione. La loro scientifica prudenza
li ha portati ad usare protocolli di vestizione e svestizione controllata:
ciascun sanitario sia nel vestire tute e dispositivi protettivi sia nel dismetterli
nella specifica camera dedicata e isolata, segue una procedura per passi
definita ed è sempre controllato da un collega che ha la responsabilità di
garantire che ogni passo sia eseguito correttamente”[6].
Per concludere questo secondo punto possiamo osservare che, non potendo
raggiungere la certezza di non contagiarsi in presenza del virus senza una
protezione infettivologica professionale, non resta che cercare la massima
sicurezza riducendo al minimo le probabilità di avvicinamento a fonti di contagio
e rimanendo in questi casi protetti, non solo dai presidi che materialmente
ostacolano l’entrata dei virus, ma anche da queste conoscenze che possono ottimizzare
i nostri comportamenti in funzione preventiva.
3. Cambiamenti nelle misure preventive per i risultati della ricerca.
Si sente la mancanza nel nostro paese di quegli ospedali specializzati nel
trattamento delle malattie infettive che erano stati in passato un fiore all’occhiello
della nostra sanità, e che consentivano il trattamento in isolamento di un gran
numero di pazienti contagiosi. La stessa cultura medica della prevenzione del
contagio si è indebolita negli ultimi decenni.
Il confinamento a casa delle persone affette che non necessitano di cure
ospedaliere è una misura di protezione della “società dei sani” ma, come si è
già rilevato in altre circostanze, costringe al contagio i conviventi e, in
alcuni casi, i vicini di casa. Pura follia rilevare la positività di un ospite
di una residenza per anziani e rinviarlo, perché asintomatico, presso la sua
dimora, dove potrà infettare tutti gli altri ospiti, in età ad altissimo
rischio di morte.
Una domanda che riceviamo di frequente riguarda il perché di una mortalità
così alta in Italia, tanto più alta, ad esempio, di quella rilevata in Germania
e non spiegata dall’età media più avanzata dei colpiti. Non abbiamo ancora una
risposta, nonostante siano stati avviati studi secondo varie ipotesi di lavoro,
inclusa quella di varianti più aggressive sviluppate per mutazioni avvenute in
Italia del virus arrivato dalla Germania. Una spiegazione di carattere clinico
è stata proposta da un ex-primario di patologia toraco-polmonare del Forlanini:
in Germania ricoverano in terapia intensiva anche prima di quando il paziente
ne abbia bisogno assoluto, perché dispongono di 28.000 posti assistiti di
intensiva-rianimazione; in Italia spesso sono rimasti fuori della terapia intensiva
anche quelli che ne avevano assoluto bisogno, perché disponiamo solo di 5.000
posti. Se così fosse, vi graverebbe una pesante responsabilità morale su coloro
che hanno deciso di ridurre i posti dei reparti di terapia intensiva per diminuire
i costi delle “aziende ospedaliere”.
Consideriamo ora, brevemente, il mancato aggiornamento delle comunicazioni ai
cittadini.
Le nuove conoscenze ottenute dalla ricerca su SARS-CoV-2 durante questa pandemia
sono state di fondamentale importanza, ma la comunicazione mediatica non ha rispecchiato
fedelmente i cambiamenti di atteggiamento suggeriti dalle nuove acquisizioni.
Era necessario che si dicesse: scusate, ci siamo sbagliati nel dire (presuntivamente)
che SARS-CoV-2 fosse diverso dal primo virus della SARS[7] e assomigliasse più al virus
influenzale; ci siamo sbagliati nel dire che il contagio potesse essere solo
interpersonale; ci siamo sbagliati nel considerare contagiose solo le persone clinicamente
ammalate (criterio della temperatura); ci siamo sbagliati nel considerare contagiose
le persone positive solo per due settimane dopo l’esordio clinico.
Comunicando con chiarezza e tempestività le correzioni indotte dalla
conoscenza sperimentale, non si sarebbero create tutte quelle incertezze e quei
dubbi che hanno assalito non solo tanti semplici cittadini relegati in casa davanti
a schermi televisivi e di computer, ma anche tanti amministratori locali che
hanno preso decisioni autonome, talvolta dettate da buon senso, talaltra da
paura e in qualche caso, fortunatamente raro, da sfiduciata imprudenza.
Non tutti i risultati forniti dalla ricerca in questi giorni sono stati
chiari e decisivi. Un esempio importante è quello di uno studio condotto da
ricercatori di autorevolissimi istituti internazionali per lo studio della
patologia infettiva degli animali e che, dalla pubblicazione preliminare
avvenuta l’8 di aprile, ci ha tenuti impegnati in discussioni e dibattiti sull’opportunità
di diffonderne i risultati. Jianzhong Shi e colleghi, che stanno studiando l’ospite
intermedio fra pipistrelli e uomo di SARS-CoV-2, hanno rilevato che il nuovo
coronavirus si replica scarsamente nel cane, nel maiale, nelle anatre e nel
pollame, ma che il gatto, al pari del furetto, può infettarsi e trasmettere il
virus; in particolare, è risultato che il felino può contagiarsi per via aerea.
I ricercatori, per l’aggressività dei gatti, che a zampate impedivano l’effettuazione
dei prelievi mediante tampone, hanno deciso di rinunciare allo studio del
materiale proveniente dalle mucose accessibili delle prime vie aeree,
limitandosi a raccogliere le feci per lo studio delle cellule intestinali, che peraltro
ritenevano indenni. Con sorpresa, hanno trovato un’impressionante densità di
SARS-CoV-2 nelle cellule dell’intestino e hanno verificato l’abbondante eliminazione
del virus con le feci[8]. I limiti dello studio sono dati
dal basso numero di esemplari osservati e dalla possibilità di una diversa
risposta immunologica da parte di razze diverse di Felis silvestris catus[9].
Le indagini sull’animale ospite intermedio proseguono. Come è noto, le
specie ittiche dei mercati cinesi, insieme con tanti altri animali ammassati in
condizioni di promiscuità e scarsa igiene in quelle popolate sedi di vendita
alimentare, sono stati sospettati; sospetti anche i serpenti adoperati nella medicina
popolare cinese e praticamente tutti gli animali che in quella realtà possono
entrare in contatto con i pipistrelli, ossia gli ospiti per eccellenza dei
coronavirus, storicamente studiati come fonte di questo genere virale. Sono attivi
per questi studi anche i laboratori delle più prestigiose istituzioni di ricerca
veterinaria, primo fra tutti lo State Key Laboratory of Veterinary
Biotechnology, dell’Istituto di Ricerca Veterinaria di Harbin, dell’Accademia
Cinese delle Scienze dell’Agricoltura, in collaborazione col Laboratorio
Nazionale per il Controllo e la Prevenzione della Patologia Animale e l’Istituto
Nazionale per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie Virali di Pechino,
seguiti dall’NIH negli USA e dai maggiori laboratori di ricerca virologica di
tutto il mondo.
Tuttavia, l’origine naturale del nuovo coronavirus è stata messa in dubbio
da studiosi di genetica virale in Francia, Stati Uniti e, successivamente, in
altri paesi. Un posto speciale spetta in questo campo al virologo, Premio Nobel
per gli studi sull’HIV, Luc Montagnier.
Montagnier ha identificato sequenze di basi apparentemente ingegnerizzate, concentrate
nello spazio di meno di 1000 nucleotidi sui 30.000 totali dell’RNA del virus, e
le ha studiate, rilevando una notevole somiglianza con un tratto di sequenza
dell’HIV. Su questa base, ha escluso che il virus possa essere di origine
naturale[10] e ha ipotizzato che sia il prodotto
di una manipolazione finalizzata all’ottenimento di un vaccino anti-AIDS. La
sequenza artificiale specificherebbe un segmento di una proteina che viene
riconosciuta dal sistema immunitario umano come HIV e, dunque, potrebbe indurre
la produzione di Ig anti-HIV. La brevità delle sequenze estranee ai coronavirus
induce la maggior parte dei biologi molecolari a ritenere altamente improbabile
che costituiscano un ricombinante, e possibile che derivino da mutazioni
naturali accumulate nel tempo.
Ma questo non convince Montagnier, che si chiede: come mai queste mutazioni
casuali esprimono proprio un tratto di codice riconoscibile come quello di una
proteina dell’HIV? Un precedente studio indiano che era giunto a conclusioni
simili è stato poi ritirato dalla rivista, ufficialmente in quanto non
soddisfaceva i requisiti di scientificità, ma secondo Montagnier per pressioni
esercitate sulla commissione dei referee. Il Premio Nobel sfida i suoi
detrattori sostenendo che il tratto artificiale, in quanto tale, va incontro a
mutazioni, e in particolare delezioni, più frequenti del resto dell’RNA, e dunque
andrà incontro ad una progressiva perdita di potere patogeno molto maggiore di
quella che avrebbe un mutante naturale, sostenuto da un armonico sviluppo
assente nel virus artificiale. A Seattle sono già state osservate mutazioni che
hanno determinato una minore aggressività di SARS-CoV-2.
Per verificare indirettamente se la sua ipotesi sia corretta, si dovrebbero
studiare le sequenze RNA dei SARS-CoV-2 isolati a campione nei pazienti di
tutto il mondo e calcolare se realmente esista un tasso di mutazioni più
elevato della media nella sede delle sostituzioni di nucleotidi e se tali
mutazioni vadano di pari passo con la riduzione del potere patogeno del virus.
In realtà, una parte delle sequenze nucleotidiche identificate da Montagnier
e Perez, considerate secondo i criteri correnti della biologia molecolare e non
seguendo il loro metodo matematico, non risultano “criticamente diverse”, ma sono
parte di successioni che si possono trovare in molti altri virus e sono simili
a quelle riscontrate nel DNA di batteri e organismi superiori. La pessima fama che
accompagna Montagnier da quando un documento firmato da oltre 100 accademici
francesi[11] ha preso le distanze da lui per le
affermazioni erronee sui vaccini, il suo sostegno ideologico a idee prive di
fondamento scientifico e ancor più il discredito in cui è piombato presso la
comunità neuroscientifica da quando ha parlato di eziologia dell’autismo,
mostrando una totale ignoranza dei processi di sviluppo del sistema nervoso
centrale e della ricerca sulla loro patologia, ha indotto molti ricercatori a liquidare
la sua ipotesi come “una boutade di quelle che fa da quando il Nobel gli ha
dato alla testa”.
L’opinione di chi scrive e dei soci della nostra società scientifica non si
discosta molto da quella della massima parte dei biologi molecolari; tuttavia, si
è scelto, indipendentemente dalle conclusioni cui giunge, di non ignorare del
tutto le comunicazioni di Montagnier alla comunità scientifica per due ragioni:
1) il metodo di calcolo impiegato per l’analisi delle basi è correntemente
impiegato e considerato affidabile per altri studi; 2) il paragone per il
giudizio sulla possibilità non casuale delle piccole sequenze individuate
dovrebbe essere ristretto ai virus a RNA e non esteso alle sequenze di DNA di
altri organismi.
Intanto, altri progressi nello studio dei meccanismi dell’infezione da
coronavirus sono stati compiuti.
Le cellule umane, come quelle delle altre specie soggette a infezione, sono
dotate di specifici sensori per il rilievo di virus con capacità invasiva.
I coronavirus, come altre specie virali, hanno evoluto una risposta molecolare
che consente loro di eludere il riconoscimento. In particolare, esprimono
proteine capaci di interferire con le vie di rilevazione del sistema
immunitario dell’organismo infettato: alcuni studi hanno accertato che una endoribonucleasi
(EndoU) dei coronavirus specificamente ritarda l’attivazione del sistema
di sensori delle cellule dell’organismo ospitante.
EndoU facilita l’elusione del riconoscimento da parte del recettore MDA5 (HPRR,
da host pattern recognition receptor) ma lo specifico bersaglio
molecolare dell’attività di EndoU fino ad oggi è rimasto sconosciuto. Matthew Hackbart,
Xufang Deng e Susan C. Baker hanno scoperto che EndoU scinde le 5-poliuridine
dall’RNA virale di senso negativo, definito PUN RNA, che è il prodotto della
sintesi di RNA con poli-A per template. In altri termini, l’endonucleasi
scinde una sequenza di poliuridina virale che, se integra, viene riconosciuta
dai sensori immunitari della cellula ospite, precludendo l’infezione. Dunque,
inattivando EndoU si può consentire all’organismo di riconoscere ed eliminare i
virus. I ricercatori hanno inibito con successo l’endonucleasi, ma lo sviluppo
di un farmaco non tossico ed efficace in tal senso richiederà tempi lunghi[12].
Nel mese di marzo abbiamo comunicato l’ottenimento dell’anticorpo monoclonale
neutralizzante SARS-CoV-2 da parte di Frank
Grosveld e colleghi[13] e del primo
vaccino, in preparazione da parte di Sarah Gilbert, Andrew Pollard e colleghi
dell’Università di Oxford[14], che
hanno avuto per prima volontaria all’inizio della sperimentazione umana Jennifer
Haller. Ora siamo all’avvio di questa fase anche in Italia, dove, anche per
quanto riguarda i test sierologici, cominciamo un po’ dopo coloro che sono
partiti per primi.
In Germania, Olanda e vari stati degli USA sono
stati attuati programmi di rilevazione della presenza di anticorpi anti-SARS-CoV-2
nella popolazione generale. Il 9 aprile Hendrick Streeck, virologo dell’Università
di Bonn, ha comunicato i risultati preliminari[15] di una cittadina
di 12.000 abitanti nella zona rossa di Heinsberg, duramente colpita dal virus:
sui 500 volontari testati solo il 14% possedeva anticorpi anti-SARS-CoV-2 e si
è calcolato che il tasso di mortalità era dello 0.37% delle persone infettate,
ossia quasi quattro volte quello dell’influenza. Il test adoperato ha rivelato
alle verifiche più del 99% della specificità. L’analogo test adoperato in uno
studio danese ha fatto riscontrare invece 3 falsi positivi su 82 volontari, con
una specificità del 96%.
Complessivamente, tutti gli studi Americani ed
Europei condotti finora hanno rilevato percentuali che variano dal 2% al 30% di
persone infettate dal virus in una popolazione. Secondo queste stime, i casi di
COVID-19, come frazione del totale degli infetti, dovrebbero rappresentare una quota
molto più bassa di quanto previsto dalle stime di inizio pandemia. Questi dati
confermerebbero la tesi sostenuta da alcuni – e noi fra questi – di un numero
notevolmente più alto di ammalati lievi, rispetto a quelli gravi, responsabile
dell’impressionante diffusione del contagio in tutto il mondo.
Varie obiezioni e critiche sono state mosse a
questi dati, in particolare è stato osservato che sono stati comunicati
oralmente a giornalisti scientifici o ricercatori addetti alla comunicazione,
ma non sono stati ancora riportati in testi sottoposti a peer-review da parte
di referee-scientists.
Attendendo con fiducia gli sviluppi della ricerca, auguriamo a tutta l’umanità
i tempi più brevi possibili per la fine di quest’incubo.
L’autore della
nota ringrazia
la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla
lettura delle recensioni di studi di
argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare
il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanni Rossi
BM&L-25 aprile 2020
Trasmissibilità aerea e persistenza del nuovo coronavirus sulle superfici
ROBERTO
COLONNA & DIANE RICHMOND
NOTE E NOTIZIE - Anno XVII – 11 aprile 2020.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia).
Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società,
la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici
selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste
e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Fin dalle prime fasi dell’epidemia da SARS-CoV-2 in Italia, i soci della nostra
società scientifica, per competenze mediche curricolari e talvolta per diretta
esperienza con SARS-CoV-1, hanno ammonito coloro che sostenevano misure di
prevenzione del contagio generiche o palesemente insufficienti, richiamando alla
prudenza sulla base delle evidenze emerse dall’epidemia cinese del 2002-2003
che costò la vita a Carlo Urbani[16].
Misure sufficienti a prevenire un contagio da meningococco, come evitare
semplicemente i contatti con gli ammalati e la permanenza in luoghi chiusi e
affollati, erano state diffuse in ambienti sportivi in Spagna, Inghilterra, Francia
e altri paesi durante il mese di gennaio, inducendo molti dirigenti di società
di calcio a ritenere che gli stadi, come luoghi aperti, potessero impunemente
essere riempiti. Poi le misure, corrette ma generiche per le infezioni virali a
trasmissione aerea interpersonale diffuse dall’OMS, hanno indotto molti – ma non
tutti – ad aggiustare il tiro, anche se, evidentemente, troppo tardi.
Un’interpretazione puerilmente rigida della distanza interpersonale di un
metro, derivata da vecchi studi sul raggio coperto dalle goccioline di Flügge
in particolari condizioni di prova, ha portato alla ridicola misura di
prenotare in teatro i posti a poltrone alternate e a continuare ad ignorare il
pericolo costituito dall’aria condizionata che può preservare il virus in sospensione,
come abbiamo fatto notare e segnalato inascoltati per settimane.
Il nostro presidente, consultato informalmente il 26 di gennaio circa la
sua posizione come medico ed ex ricercatore di immunologia in materia di
prevenzione del contagio, ebbe a dire che era necessario “non incontrare il
virus per essere sicuri di non rischiare la polmonite fatale”. Quella prudenza
fu ritenuta eccessiva da molti e qualcuno commentò: “Menomale che fa il
neuroscienziato e non il virologo, sennò questo ci avrebbe fatti chiudere tutti
in casa come i cinesi!”.
In quei giorni e nelle settimane successive, alcuni virologi mediatici
insistevano nel ripetere che si trattava di una “influenza solo un po’ più forte”
che poteva avere esiti gravi solo in anziani portatori di patologie croniche o in
pazienti affetti da malattie oncologiche o immunodepressi. In altri termini, lo
schema dei fattori di rischio per le complicanze delle affezioni influenzali.
Noi ricordavamo che il virus SARS-CoV-1 è in grado di attraversare la
barriera ematoencefalica e penetrare nel SNC, così, appena è stato proposto in
pre-pubblicazione uno studio su questa possibilità di SARS-CoV-2, lo abbiamo
recensito[17].
I numeri della vertiginosa ed estesa diffusione in Italia, poi divenuta pandemia
con un tasso di mortalità molto più elevato del previsto, non potevano
spiegarsi sulla base della nozione di un virus a stretta trasmissione interpersonale,
senza rischio di contagio da oggetti contaminati o per trasporto aereo.
Perché nessun medico dell’Ospedale Cotugno di Napoli, specializzato nella
diagnosi e cura delle malattie infettive, si è contagiato? Perché gli
infettivologi di quel nosocomio di eccellenza hanno considerato fin dall’inizio
la possibilità di altre vie di contagio, oltre l’inalazione diretta di
goccioline emesse con tosse e starnuti da persone ammalate, e si sono protetti con
tute, caschi e ogni altro dispositivo previsto dagli standard per le più insidiose
e gravi possibilità di infezione. La loro scientifica prudenza li ha portati ad
usare protocolli di vestizione e svestizione controllata: ciascun sanitario sia
nel vestire tute e dispositivi protettivi sia nel dismetterli nella specifica
camera dedicata e isolata, segue una procedura per passi definita ed è sempre
controllato da un collega che ha la responsabilità di garantire che ogni passo
sia eseguito correttamente.
Se nei paesi di iniziale e maggiore diffusione la popolazione è stata
blindata, come è potuta avvenire una propagazione così estesa e capillare in
tutto il mondo? Quali sono le ragioni?
Sicuramente perché le persone che trasmettono il virus non sono solo quelle
che appaiono ammalate per febbre alta ed altri sintomi ben evidenti, perché il
periodo di incubazione e latenza paucisintomatica è variabile e può essere
molto più lungo di quanto inizialmente ipotizzato, ma anche perché il virus
evidentemente non passa solo da ammalato ad ammalato: deve necessariamente
viaggiare nell’aria ed essere trasportato a distanza.
Ora, uno studio autorevolmente presentato da Antony S. Fauci, direttore del
NIAID (NIH), condotto da Neeltje van Doremalen e colleghi coordinati dal virologo
Vincent Munster, ha accertato la capacità di SARS-CoV-2 di rimanere stabile da
varie ore in sospensione aerea fino ad alcuni giorni sulle superfici.
(Neeltje van Doremalen et
al., Aerosol and surface stability of HCoV-19 (SARS-CoV-2), compared to SARS-CoV-2.
The New England Journal of Medicine –
Epub ahead of print doi: 10.1056/NEJMc2004973, 2020).
La provenienza degli autori è la
seguente: National Institute of Allergy and Infectious Diseases, Hamilton, MT
(USA); University of California at Los Angeles (UCLA), Los Angeles, California
(USA); Center for Diseases Control and Prevention, Atlanta, GA (USA); Princeton
University, Princeton, NJ (USA); National Institutes of Health (NIH), Bethesda,
MD (USA).
I ricercatori hanno riprodotto delle condizioni reali di contaminazione
dell’aria e di oggetti presenti negli ambienti ospedalieri e casalinghi, attraverso
la simulazione dell’emissione di flussi con tosse e starnuti.
Il lavoro, realizzato grazie a un progetto di collaborazione fra National
Institutes of Health (NIH), CDC, University of California Los Angeles (UCLA) e
Princeton University, ha rilevato la presenza del virus in sospensione aerea (aerosol)
fino a tre ore dopo l’emissione, su superfici di rame fino a quattro ore, sul cartone
fino a 24 ore e, su plastica e acciaio inossidabile, fino a due o tre giorni
dopo.
Questi dati forniscono indicazioni di grande rilievo sulla stabilità del
nuovo coronavirus umano e suggeriscono che il contagio possa avvenire attraverso
l’aria e il contatto con oggetti contaminati.
I ricercatori hanno poi posto a confronto il comportamento ambientale di SARS-CoV-2
e SARS-CoV-1, ossia il virus della grave infezione respiratoria acuta già menzionata,
che emerse in Cina nel 2002 e fino al 2003 infettò più di 8000 persone. Si ricorda
che 17 anni fa le autorità sanitarie cinesi misero in atto un piano con
altissima efficienza operativa per rintracciare tutti i contatti degli
infettati, prelevarli anche con azioni di forza, e condurli in completo
isolamento infettivologico[18].
Lo studio di stabilità dei due virus ha dato risultati molto significativi:
il comportamento era del tutto simile. Se da un canto questo esito sperimentale
è deludente rispetto alla domanda sul perché il secondo coronavirus abbia dato
luogo ad una pandemia che costituisce una minaccia per la vita in tutto il
mondo e non si riesce a circoscrivere con le misure poste in atto, dall’altro sgombra
definitivamente il campo dall’illazione secondo cui SARS-CoV-2 sarebbe stato
diverso da SARS-CoV-1 e più simile a un virus influenzale.
La discussione dei dati, per il cui dettaglio si rinvia alla lettura del
testo integrale del lavoro originale, ha indotto gli autori a dedurre quanto da
noi supposto dai dati epidemiologici quotidiani da oltre un mese e mezzo –
quando indicavamo come insufficiente la rilevazione della temperatura per
stabilire se una persona eliminasse o meno il virus – ossia che molte persone
portatrici di infezione da SARS-CoV-2 hanno diffuso e stanno diffondendo il
contagio senza essere clinicamente ammalate.
I risultati di questo studio confermano che le misure profilattiche concepite
quando si ipotizzavano contagi esclusivamente interpersonali devono
assolutamente essere integrate con quelle che tengono conto della trasmissione aerea
e mediante oggetti contaminati, come prudenzialmente era stato previsto nel
piano disposto dalle autorità sanitarie di Wuhan.
Gli autori della nota ringraziano
la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invitano alla lettura delle recensioni di studi di argomento connesso che appaiono nella sezione
“NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Roberto Colonna & Diane Richmond
BM&L-11 aprile 2020
Le due
comunicazioni seguenti sono state pubblicate fra le Notule nelle “Note e Notizie”
del 4 aprile 2020.
Realizzato un efficace test
sierologico per rilevare l’immunità a SARS-CoV-2. Sabato
scorso, 28 marzo, abbiamo diffuso il testo che qui segue; due giorni dopo l’Istituto
Superiore di Sanità ha annunciato l’adozione dei test sierologici. Attualmente,
il test rapido (vedi dopo) è già in uso sperimentale allo Spallanzani e nelle
prossime ore sarà disponibile su tutto il territorio nazionale. L’impiego,
parte di un protocollo internazionale di validazione clinica, oltre all’utilità
immediata (sensibilità e specificità non sono in discussione) contribuirà anche
al completamento dell’iter necessario per un uso pratico ordinario.
Attualmente si dispone di saggi molecolari per
rilevare direttamente il materiale del virus SARS-CoV-2 a scopo diagnostico,
come continuamente si fa nell’analisi delle migliaia di prelievi effettuati mediante
tampone ogni giorno, ma non si dispone ancora di un saggio sierologico per l’identificazione
degli anticorpi specifici contro SARS-CoV-2. Florian Krammer con sedici
colleghi della Icahn School of Medicine del Mount Sinai Hospital (New York) e
delle Università di Helsinki (Finlandia) e Melbourne (Australia) hanno
realizzato un test di questo tipo, che ha rivelato una sensibilità tale da mostrare
sieroconversione già dopo tre giorni di sintomi aspecifici.
I ricercatori hanno allestito dei classici ELISA
(enzyme-linked immunosorbent assays) usando antigeni ricombinanti
derivati dalla proteina spike di SARS-CoV-2. I saggi sono stati sviluppati
con campioni di controllo negativo rappresentati il background di
immunità pre-COVID-19 nella popolazione generale e con campioni ottenuti da
pazienti affetti da COVID-19.
I risultati hanno mostrato sensibilità e specificità
dei saggi su plasma/siero umano, che consentono screening e identificazione
di persone con sieroconversione per SARS-CoV-2 già a tre giorni dai primi
sintomi.
Importante sottolineare che questo tipo di saggi non
richiede che si entri in contatto con il virus, rischiando il contagio, come
purtroppo è avvenuto nei prelievi di materiale patologico mediante tampone, da
parte di operatori sanitari non adeguatamente protetti. Un altro pregio di
questi saggi è che possono essere adattati per rilevare tipi differenti di
anticorpi.
I saggi sierologici hanno un’importanza critica
per determinare la sieroprevalenza in una data popolazione, definire l’entità
dell’esposizione pregressa al virus e identificare donatori umani altamente
reattivi per generare siero di convalescente come mezzo terapeutico. L’identificazione
sensibile e specifica del titolo anticorpale per il coronavirus SARS-CoV-2
potrà consentire lo screening di medici e infermieri che abbiano già
sviluppato immunità e possano così dedicarsi alle cure di pazienti infetti
senza alcun rischio personale e minimizzando il pericolo di diffusione virale a
colleghi e pazienti non infetti. [Amanat F. et al. A serological assay to detect SARS-CoV-2
seroconversion in humans medRxiv – “preprint” doi: 10.1101/2020.03.17.20037713,
2020].
L’azienda biotecnologica Alpha Pharma di Bari ha
messo a punto un test rapido (VivaDiag Covid-19, prodotto da VivaCheck Biotech
di Hangzhou, Cina) che può essere eseguito su una goccia di sangue prelevabile
anche dal polpastrello, e richiede solo 15 minuti per la determinazione
quantitativa degli anticorpi. Il kit originario dell’azienda cinese, che
include pungidito e reagenti, è impiegato secondo un protocollo di validazione
clinica [BM&L-Italia 03-04-20].
Per l’impiego di idrossi-clorochina
e clorochina nel trattamento dei pazienti di COVID-19 è opportuno che
tutti i clinici leggano l’articolo qui sotto indicato:
Jinoos
Yazdany & Alfred H. J. Kim, Use of Hydroxychloroquine and Chloroquine
During the CODID-19 Pandemic: What Every Clinician Should Know – Annals of
Internal Medicine - Annals.org 31 March 2020.
Gli autori, rispettivamente del Zuckerberg San
Francisco General Hospital, University of California, San Francisco, CA (USA) e
Washington University School of Medicine, St. Louis, Missouri (USA), hanno
affrontato argomenti di comune interesse per coloro che stanno intervenendo
sulle persone affette dalla malattia causata da SARS-CoV-2; l’articolo, sul
sito indicato di Annals of Internal Medicine, è ad accesso gratuito. [BM&L-Italia
31-03-20].
Scoperto il meccanismo dei coronavirus per eludere la sorveglianza
immunitaria
ROBERTO
COLONNA
NOTE E NOTIZIE - Anno XVII – 28 marzo 2020.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della
Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia”
(BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi
rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente
lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di
pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei
soci componenti lo staff dei
recensori della Commissione Scientifica
della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
I coronavirus (CoV) sono virus a RNA che possono emergere da riserve
endemiche animali e infettare come zoonosi l’uomo, causando patologie con
significativi tassi di mortalità. I CoV adottano strategie molecolari molto
efficaci per invadere le cellule dell’organismo che li ospita, eludendo i
dispositivi molecolari di sorveglianza, e questo spiega la facile diffusione
del raffreddore comune causato da coronavirus[19]. Le migliaia di morti causati da
SARS-CoV-2 rendono conto di quanto sia importante conoscere con precisione i
meccanismi molecolari della capacità elusiva dei coronavirus al fine di trovare
molecole in grado di disattivarli, agendo come farmaci efficaci nel prevenire o
bloccare un’infezione in atto.
Le cellule umane, come quelle delle altre specie soggette a infezione, sono
dotate di specifici sensori per il rilievo di virus con capacità
invasiva. I coronavirus, come altre specie virali, hanno evoluto una risposta
molecolare che consente loro di eludere il riconoscimento. In particolare,
esprimono proteine capaci di interferire con le vie di rilevazione del sistema
immunitario dell’organismo infettato: alcuni studi hanno accertato che una endoribonucleasi
(EndoU) dei coronavirus specificamente ritarda l’attivazione del sistema
di sensori delle cellule dell’organismo ospitante. Il particolare
meccanismo adottato da questi virus, ossia lo specifico target della EndoU, era
rimasto ignoto fino allo studio condotto da Matthew Hackbart, Xufang Deng e
Susan C. Baker e proposto online prima della versione definitiva per la stampa
lo scorso 20 marzo sul sito di Proceedings of the National Academy of
Sciences of United States of America.
È superfluo sottolineare che questo meccanismo molecolare interessa anche per
l’invasione del sistema nervoso centrale[20].
(Matthew Hackbart, Xufang
Deng, Susan C. Baker, Coronavirus endoribonuclease targets viral polyuridine
sequences to evade activating host sensors. Proceedings of the National Academy of Science USA – Epub ahead
of print doi: 10.1073/pnas.1921485117,
2020).
La provenienza degli autori è la
seguente: Department of Microbiology and Immunology, Stritch School of
Medicine, Loyola University Chicago, Illinois (USA).
[Edited by Stanley Perlman,
University of Iowa, Iowa City, IA (USA)].
Quando SARS-CoV-2 è stato isolato per la prima volta nella città di Wuhan
in Cina, nel dicembre 2019, nessun virologo, nemmeno il più pessimista, poteva
immaginare lo sviluppo della più grave pandemia degli anni recenti; e nessuno
qui in Italia, quando si sono registrati i primi casi di COVID-19 dopo quelli
cinesi, avrebbe immaginato che tre mesi dopo ci saremmo ritrovati reclusi in
casa ad ascoltare notiziari quotidiani con numeri impressionanti di contagiati
e morti.
L’OMS aveva dichiarato l’epidemia “un’emergenza di salute pubblica di estensione
internazionale” il 30 gennaio del 2020. L’11 febbraio ha ufficialmente denominato
la polmonite causata da questo virus con l’acronimo COVID-19 (dove “D” sta per disease);
l’11 marzo, quando i dati pervenuti da tutto il mondo soddisfacevano i criteri,
ha dichiarato pandemia l’infezione del 2020 da SARS-CoV-2. Fra gli
elementi che hanno creato imprevedibilità, c’è che mai in precedenza un’infezione
da coronavirus era diventata pandemica.
Oggi sappiamo che SARS-CoV-2 presenta una condivisione di sequenza ad
elevata omologia con il virus dell’epidemia 2002/2003, ossia SARS-CoV, ed è noto
che il virus va incontro a continue mutazioni e la polmonite acuta altamente
letale che causa presenta sintomi simili a quelli riportati per la malattia da
SARS-CoV e per l’epidemia da coronavirus sviluppata in Medioriente (MERS). Non
sorprende la diffusione del contagio, ma l’alta percentuale di ammalati gravi e
gravissimi con un tasso di mortalità altissimo fra anziani e affetti da altre
patologie croniche o neoplastiche.
Gli sforzi terapeutici che si stanno compiendo, adoperando farmaci di
parziale efficacia come il vecchio antimalarico clorochina e le associazioni di
antivirali classici (lopinavir/ritonavir) o sperimentando l’anticorpo
monoclonale tocilizumab, non sembrano costituire in questi giorni un argine
sufficiente a contenere il dilagare impressionante della mortalità, per questo si
attendono con impazienza i risultati della ricerca, anche se i tempi per
giungere a farmaci e vaccini di impiego clinico non consentono di farsi troppe illusioni
per il presente.
Circa due settimane fa è stato ottenuto l’anticorpo monoclonale
neutralizzante SARS-CoV-2 da parte di Frank
Grosveld e colleghi (vedi nelle Notule del 21-03-20) e questa settimana diamo
notizia del vaccino (v. “Candidato vaccino contro SARS-CoV-2 realizzato dal
gruppo del vaccino anti-MERS” in Notule del 28-03-20), in preparazione
da parte di Sarah Gilbert, Andrew Pollard e colleghi dell’Università di Oxford,
e presentiamo questo studio dal quale si evince la strategia di blocco della
endonucleasi che impedisce il riconoscimento, purtroppo consapevoli che la produzione
di farmaci basati su questa scoperta non riguarderà questa pandemia.
I CoV codificano una endoribonucleasi denominata EndoU che facilita l’evasione
del riconoscimento da parte del recettore MDA5 (HPRR, da host pattern
recognition receptor) ma, come si è detto in precedenza, lo specifico
bersaglio molecolare dell’attività di EndoU fino ad oggi è rimasto sconosciuto.
Matthew Hackbart, Xufang Deng e Susan C. Baker hanno scoperto che EndoU scinde
le 5-poliuridine dall’RNA virale di senso negativo, definito PUN RNA, che è il
prodotto della sintesi di RNA con poli-A per template. In altri termini,
l’endonucleasi scinde una sequenza di poliuridina virale che, se integra, viene
riconosciuta dai sensori immunitari della cellula ospite, precludendo l’infezione.
I tre ricercatori, impiegando un virus contenente una mutazione EndoU
catalitica-inattiva, hanno rilevato una notevole abbondanza di PUN RNA
citoplasmatico, in proporzioni rilevantemente maggiori di quelle reperite nel
citoplasma delle cellule infettate da virus naturali.
In specifici esperimenti, la trasfezione di PUN RNA nelle cellule stimolava
un’intensa risposta interferonica MDA5-dipendente, e la rimozione dell’estensione
di poliuridina sull’RNA riduceva la risposta.
Nel loro insieme, i risultati di questo studio, per il cui dettaglio si
rimanda alla lettura integrale del testo del lavoro originale, rivelano che il
PUN RNA è un pattern molecolare associato a patogeno (PAMP, da pathogen-associated
molecular pattern) CoV MDA5-dipendente, e stabiliscono per l’attività di
EndoU un meccanismo di scissione e limitazione di questo PAMP. Poiché l’attività
di EndoU è altamente conservata in tutti i coronavirus, la sua inibizione potrebbe
costituire un’efficace strategia terapeutica per la pandemia in atto e, in
generale, per tutte le infezioni da questo tipo di ribovirus.
L’autore della nota ringrazia
la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di studi di argomento connesso che appaiono nella sezione
“NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Roberto Colonna
BM&L-28 marzo 2020
La
comunicazione del candidato vaccino contro SARS-CoV-2 realizzato dal gruppo di
Sarah Gilbert e Andrew Pollard, di cui fa parte anche l’immunologo italiano
Giacomo Gorini, è stata pubblicata fra le Notule nelle “Note e Notizie” del 28 marzo
2020.
Candidato vaccino contro SARS-CoV-2 realizzato
dal gruppo del vaccino anti-MERS. Sarah Gilbert, Andrew Pollard e colleghi del Vaccine
Group della Oxford University e del Jenner Institute della Oxford University,
che in precedenza avevano realizzato un vaccino per l’immunizzazione attiva contro
il coronavirus della MERS (Middle-East Respiratory Syndrome), hanno
messo a punto un “vaccino candidato” per la protezione da SARS-CoV-2, che
impiega un vettore vaccinico adenovirale di scimpanzé (ChAdOx1), ossia un mezzo
ad elevata sicurezza adottato per altri vaccini, in più di dieci differenti
patologie infettive, su pazienti con patologie croniche come il diabete mellito,
e in tutte le fasce di età, da bambini di una settimana di vita a novantenni.
Il team è attualmente impegnato in un
febbrile lavoro per lo sviluppo del vaccino, al termine del quale si potrà
entrare nella Fase I dei clinical trials; pertanto, chiede di non essere
contattato in questa fase che precede il reclutamento dei volontari. Se tutto
procede ad elevato ritmo per la produzione, si prevede l’inizio della
sperimentazione clinica in tarda primavera. Naturalmente, si comprende che le
speranze di poter ridurre i tempi per intervenire in questa drammatica fase di
emergenza, inducano molti responsabili sanitari a tentare l’ampliamento della
base di ricercatori e tecnici impegnati nello sviluppo del vaccino. [Source:
Oxford University & Neuroscience News, March 21, 2020].
La
comunicazione dell’ottenimento del primo anticorpo monoclonale in grado di
precludere a SARS-CoV-2 l’accesso alle cellule è stata pubblicata fra le Notule
nelle “Note e Notizie” del 21 marzo 2020.
Dall’Università di Utrecht l’anticorpo
monoclonale che neutralizza SARS-CoV-2. La scorsa settimana non abbiamo fatto in tempo a
trasmettere per la pubblicazione di sabato la buona notizia che viene dal
gruppo di Frank Grosveld dell’Università di Utrecht che, in collaborazione con
l’Erasmus Medical Center, ha ottenuto un anticorpo monoclonale in grado di
bloccare il meccanismo molecolare del coronavirus SARS-CoV-2. In una
comunicazione a commento del risultato Grosveld ha scritto che se fosse stato
più giovane si sarebbe messo a ballare sui tavoli dalla gioia.
Lo studio è in corso di peer review da
parte della commissione della rivista Nature ed è condiviso sulla
piattaforma online BioRxiv. A differenza degli anticorpi monoclonali come il
tocilizumab, che bloccano l’interleuchina 6 riducendo i danni prodotti dal
processo infiammatorio patologico che si sviluppa nel contesto della polmonite
interstiziale, o degli altri farmaci che si sono rivelati in grado di favorire
la guarigione riducendo i sintomi (v. qui sotto) con un meccanismo non bene
definito, questo anticorpo monoclonale sembra in grado di impedire l’entrata
del virus nelle cellule, precludendone la replicazione e decretandone la morte.
Sembra siano in corso di sviluppo sinergie
necessarie a proseguire la sperimentazione e lo sviluppo come prodotto farmaceutico
secondo un iter i cui tempi potrebbero essere abbreviati dal reclutamento del
maggior numero possibile di laboratori e dall’estensione della base di trial
necessari per l’uso clinico. [BM&L-Italia news 14 marzo-20 marzo 2020].
SARS-CoV-2 può invadere il sistema nervoso centrale
ROBERTO
COLONNA
NOTE E NOTIZIE - Anno XVII – 14 marzo 2020.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia”
(BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti
per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori
neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione
sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci
componenti lo staff dei recensori
della Commissione Scientifica della
Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Dopo il SARS-CoV e il MERS-CoV, il nuovo coronavirus altamente patogeno
emerso nel dicembre dello scorso anno a Wuhan (Cina), ossia il SARS-CoV-2 o
2019-nCoV o COVID-19 (secondo l’OMS), si sta rapidamente diffondendo in tutto
il mondo, rendendo urgente l’acquisizione di conoscenza sui meccanismi della
sua azione patogena.
Dopo l’isolamento, la necessità di affrontare il problema della diffusione
vertiginosa e dell’estrema gravità che porta a morte una quota di pazienti, limitata
in percentuale ma purtroppo rilevante in valore assoluto, ha indotto la
formulazione di ipotesi sulla base dei dati microbiologici ed epidemiologici relativi
agli altri coronavirus patogeni per l’uomo, accostabili a COVID-19. Le prime
proiezioni, tramesse dai virologi anche all’OMS, sono state presto smentite dai
rilevi effettuati giorno per giorno nei reparti medici di infettivologia e
terapia intensiva. Alcuni aspetti della realtà clinica non trovano
giustificazione nelle proprietà biologiche presunte del nuovo virus, e dunque
la necessità di moltiplicare gli studi e accrescere il numero dei ricercatori
impegnati per accelerare i passi della conoscenza si fa sempre più pressante.
Presso la Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia è stata
subito avanzata l’ipotesi di una capacità neuroinvasiva di SARS-CoV-2 da
verificare sperimentalmente; la risposta è venuta da uno studio condotto in
questi giorni dai Cinesi Yan-Chao Li e Wan-Zhu Bai, rispettivamente
dell’Università di Jilin e dell’Accademia Cinese delle Scienze Mediche di
Pechino, e dal Giapponese Tsutomu Hashikawa del RIKEN Brain Science di Saitama.
Li e colleghi, come noi del resto, hanno considerato la possibile origine
neurologica di sintomi quali cefalea, nausea e vomito, con i quali giunge
all’osservazione medica una parte non trascurabile dei pazienti positivi al
coronavirus e, per verificare se vi fossero basi biologiche per una simile
ipotesi, hanno condotto un’accurata revisione di tutto quanto è stato
sperimentato e pubblicato di recente in questo campo.
(Li Yan-Chao, et al. The Neuroinvasive Potential of SARS-CoV2 May Be at Least Partially
Responsible for the Respiratory Failure of COVID-19 Patients. Journal of Medical Virology – Epub ahead of print
https://doi.org/10.1038/s41593-020-0598-6,
2020).
La provenienza degli autori è la
seguente: Norman Bethune college of Medicine, Jilin University, Changchun,
Jilin Province (Cina); China Academy of Chinese Medical Science, Beijing (Cina);
Advanced Technology Development Group, RIKEN Brain Science Institute, Saitama (Giappone).
SARS-CoV-2 presenta una condivisione di sequenza ad elevata omologia con il
virus dell’epidemia 2002/2003, ossia SARS-CoV, e causa una polmonite acuta,
altamente letale, indicata con l’acronimo COVID-19 (dove “D” sta per disease)
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS, WHO), con sintomi simili a
quelli riportati per la malattia da SARS-CoV e MERS-CoV.
Il più caratteristico sintomo della sindrome COVID-19 è il distress
respiratorio, e la maggior parte dei pazienti che necessitano di terapia
intensiva non sono in grado di respirare spontaneamente. Come si è già
accennato, alcuni ammalati presentano sintomi che indicano un interessamento
neurologico, quali cefalea, nausea e vomito. Crescenti evidenze mostrano che i
coronavirus non sono sempre confinati al tratto respiratorio, e che possono
invadere il sistema nervoso centrale (SNC), inducendo patologia neurologica. È stato
riportato che l’infezione di SARS-CoV interessa il cervello sia dei pazienti
che degli animali da esperimento, nei quali è stata documentata una massiccia
invasione del tronco encefalico da parte del virus.
Studi su altri coronavirus hanno rilevato e dimostrato la capacità di propagarsi
da meccanorecettori e chemorecettori del polmone e delle basse vie respiratorie,
lungo rotte di diffusione costituite da linee di connessioni sinaptiche, al
centro cardiorespiratorio del midollo spinale.
Alla luce dell’elevata somiglianza biologica e patologica fra SARS-CoV e SARS-CoV-2,
si può dedurre un’elevata probabilità che il secondo virus, come il primo,
invada il SNC, raggiungendo i nuclei neuronici responsabili del controllo
automatico della funzione respiratoria. Tale invasione con distruzione di cellule
nervose, che inevitabilmente si traduce in un’azione deprimente dei nuclei
midollari che inviano l’impulso per l’automatismo respiratorio, può contribuire
alla grave insufficienza respiratoria dei pazienti affetti da COVID-19. Yan
Chao Li e colleghi sostengono che la consapevolezza di questo potenziale meccanismo
dovuto alla neuroinvasività del virus potrà avere un importante significato nel
guidare prevenzione e trattamento della gravissima sindrome respiratoria.
L’autore della nota ringrazia
la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di studi di argomento connesso che appaiono nella sezione
“NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Roberto Colonna
BM&L-14 marzo 2020
Le tre brevi
su tocilizumab, clorochina (che poi ha rivelato problemi di tossicità) e
Lopinavir/Ritonavir, sono state pubblicate fra le Notule nelle “Note e Notizie”
del 14 marzo 2020.
Aggiornamento COVID-19: l’anticorpo
monoclonale tocilizumab efficace in pazienti gravi. Dopo la
sperimentazione effettuata in Cina, l’anticorpo monoclonale tocilizumab (o
atlizumab) che agisce sull’interleuchina 6 risultando efficace in vari processi
infiammatori e alterazioni patologiche, è stato somministrato anche in Italia
agli affetti da COVID-19 in terapia intensiva. A Napoli, Paolo Ascierto,
oncologo esperto nella terapia del melanoma dell’Istituto Senatore Pascale di
Napoli e direttore della sezione “Terapie Innovative”, lo ha impiegato con
successo nel trattamento di 4 pazienti (al momento in cui scriviamo è stato
somministrato a 6 pazienti, tra cui un medico) e, con colleghi dell’Ospedale Cotugno,
ha proposto l’adozione del tocilizumab in tutti i presidi ospedalieri italiani secondo
un protocollo di trattamento sperimentale denominato “Tocivid-19”.
Ai sei pazienti in terapia intensiva a Napoli, uomini
di età compresa fra i 51 e i 67 anni, giovedi se ne sono aggiunti altri due. La
molecola è già impiegata nella terapia dell’artrite reumatoide, nell’artrite
idiopatica giovanile, nell’encefalite limbica con anticorpi anti-CASPR2, nell’arterite
di Takayashu con associata coronaropatia, e in altre patologie. Il protocollo, previsto
per una sperimentazione su almeno 250 pazienti, è stato inviato da Paolo
Ascierto, Enzo Montesarchio, Franco Perrone e Roberto Parrella all’Aifa per l’approvazione.
I medici napoletani stanno condividendo la loro esperienza con i colleghi di
Milano, Bergamo, Fano, Piacenza, Modena, Conigliano veneto, Roma, Bari e Lecce.
In tutta Italia sono già stati trattati più di
dieci pazienti (non abbiamo ricevuto conferma sul numero esatto dei pazienti in
Lombardia), seguendo il modello della sperimentazione condotta con successo all’Ospedale
della University of Science and Technology of China su 21 pazienti. Come da
dati pubblicati, Wang Dong-Xiang ha riferito anche direttamente ai colleghi
italiani la guarigione di 20 su 21 dei trattati. Questo dato incoraggiante e la
più che decennale esperienza nell’immunoterapia oncologica presso l’Istituto
Pascale hanno indotto all’uso del tocilizumab Ascierto e colleghi, che già
avevano usato farmaci anti-interleuchina 6 per la sindrome da rilascio di
citochine che segue il trattamento con cellule Cart-T di alcune neoplasie. [BM&L-Italia
13-03-2020].
Aggiornamento COVID-19: la clorochina
fosfato risultata efficace nella polmonite. La clorochina
fosfato, un vecchio farmaco impiegato per il trattamento della malaria, ha
mostrato efficacia, con un accettabile grado di sicurezza, in una sessione di
trattamento sperimentale multicentrico della polmonite associata a SARS-CoV-2 (COVID-19),
in Cina.
La clorochina sarà inclusa nella prossima
versione delle Linee-Guida del NHC della Repubblica Popolare Cinese per
prevenzione, diagnosi e trattamento della polmonite causata dal nuovo
coronavirus. [Gao J., et al. Biosci Trends. AOP – doi:
10.5582/bst.2020.01047, 2020].
Aggiornamento COVID-19: efficacia di
Lopinavir/Ritonavir in un paziente coreano. Il terzo
paziente diagnosticato in Corea di infezione da COVID-19, un uomo di 54 anni
impiegato nel settore dell’abbigliamento, è stato trattato secondo un
protocollo di associazione Lopinavir/Ritonavir (Kaletra, AbbVie) da Lim e
colleghi in Corea del Sud. Il trattamento ha ridotto significativamente il carico
di β-coronavirus e ha fatto registrare titoli bassi o nulli del virus. [Lim J. et al. Journal of Korean Medical
Sciences. AOP – doi: 10.3346/jkms.2020.35.e79, 2020].
I due testi,
su effetto nocebo e mascherine N95, sono stati pubblicati fra le Notule nelle “Note
e Notizie” del 29 febbraio 2020.
Epidemia
da coronavirus: effetto nocebo da full-immersion in notizie e programmi
televisivi. Una parte rilevante della popolazione
italiana sta subendo gli effetti della cassa di risonanza mediatica delle misure
precauzionali volte alla circoscrizione del contagio da 2019-nCoV (o COVID-2019
secondo la denominazione dell’OMS), soprattutto ora che si è giunti al rinvio
di manifestazioni sportive, e segnatamente delle partite di calcio che creano interesse
di massa più della chiusura delle università. Il condizionamento psicologico
con sviluppo di preoccupazioni ipocondriache sta portando molti cittadini a contattarci,
sia per chiedere informazioni a scopo di rassicurazione generale, sia per sapere
se con i sintomi che avverte sia giustificato il recarsi presso i centri medici
di screening.
Nonostante la buona volontà e il
corretto atteggiamento di vari conduttori televisivi e responsabili di testate
giornalistiche online e a stampa, e soprattutto nonostante la corretta
informazione fornita direttamente da virologi e medici infettivologi, la
rappresentazione che si evince è quella di una situazione critica di rischio,
che induce le persone più esposte alla comunicazione ed emotivamente più
reattive a sviluppare una sintomatologia da stress.
Abbiamo ricevuto dall’Austria, la
scorsa domenica 23 febbraio, allarmate richieste di informazioni, prima che il
governo austriaco decidesse la chiusura dell’accesso alle stazioni ferroviarie
dei convogli provenienti dall’Italia. Il dato trasmesso in tutto il mondo della
positività ai test per il COVID-2019 effettuati sui tamponi di screening,
che presenta un numero di contagiati nel nostro paese straordinariamente più
elevato di quello delle altre nazioni europee, si spiega probabilmente con il
fatto che tali accertamenti a tappeto non sono stati effettuati in altri paesi
o, in alcuni casi, sono solo all’inizio. Al momento in cui scriviamo, in Italia
si sono superati i 4000 test già ufficialmente registrati, mentre in Francia ne
sono stati eseguiti circa 400.
Se è vero che non si possono
offrire attualmente dati di certezza sulle proporzioni che avrà l’epidemia nel
nostro paese, perché tutte le stime epidemiologiche per un nuovo virus, incluso
il tasso di mortalità, sono dedotte post hoc al termine dell’epidemia, è
pur vero che le inferenze sulla base dei dati relativi agli altri coronavirus
patogeni per l’uomo - e in particolare l’agente eziologico dell’epidemia di
SARS del 2003 - insieme con l’attuazione delle misure di screening dei
contatti e quarantena degli affetti, consentono di prevedere uno sviluppo molto
contenuto con un basso tasso di mortalità.
Il COVID-2019 o 2019-nCoV, detto
anche SARS-CoV-2 (severe acute respiratory syndrome coronavirus 2) o
coronavirus di Wuhan, dal nome della città della Cina dove è stato isolato per
la prima volta, è un Ribovirus dell’Ordine delle Nidovirales,
della famiglia delle Coronaviridae, del genere β-Coronavirus,
per il quale non esiste ancora un farmaco antivirale specifico, né esiste la
possibilità di immunoprofilassi vaccinica, pertanto le misure volte a limitare
e prevenire la diffusione del contagio, raccomandate dall’OMS e poste in essere
in Italia, costituiscono l’unica possibilità per difendersi dai rischi che
sembrano riguardare meno del 20% dei contagiati.
Ora, dopo aver trasmesso anche
tutti i giorni l’elenco delle raccomandazioni igienico-profilattiche – cosa che
richiede non più di qualche minuto – e aver aggiornato sull’attualità attraverso
i notiziari, un’emittente televisiva ha esaurito il suo compito informativo nell’interesse
dei cittadini. Giornate intere fino a notte fonda con i palinsesti modificati e
l’introduzione dell’«emergenza coronavirus» in tutti i programmi da studio, si spiega
solo con la ricerca di record di ascolti. Molte trasmissioni, condotte utilizzando
sapientemente tutti gli strumenti del mestiere, dalle esche introduttive a
ospiti celebri, finiscono per tenere incollati al video gli spettatori per ore,
invadendo il loro spazio psichico cosciente con il martellante insistere su una
malattia che, seppure in una bassa percentuale, espone al rischio di morte. Non
meraviglia che si producano danni per “effetto nocebo”.
Abbiamo fatto presente, a coloro
che si sono rivolti a noi allarmati da questo eccesso di esposizione alle
notizie e preoccupati per sintomi verosimilmente prodotti dall’attivazione dei
sistemi dello stress, l’utilità in termini di igiene mentale di allontanarsi
dalle fonti di preoccupazione e impegnarsi in attività stimolanti e salutari. Spiegando
loro di essere vittime dell’effetto nocebo, abbiamo ricevuto in tutti i
casi una domanda su cosa fosse questo effetto, sconosciuto a tutti i nostri
richiedenti. Allora abbiamo ritenuto utile riportare, come già fatto il 10-02-2018,
il contenuto di una “Notula” pubblicata il 2 maggio 2015:
«Non tutti conoscono l’effetto “nocebo”. L’effetto placebo è
comunemente noto come un’azione positiva sulla salute o sullo stato funzionale
di un organismo, attribuita ad un agente in realtà inerte, e dovuta a processi
fisiologici intrinseci dell’organismo - come quelli di cui si occupa la psiconeuroimmunologia
– i cui meccanismi molecolari includono l’attivazione dei recettori degli
oppioidi. L’effetto placebo può anche costituire una parte dell’effetto di
molecole farmacologicamente attive, ossia in grado di produrre “una o più
variazioni misurabili in un organismo vivente”, e perciò definite correttamente
“farmaci”. Un tempo si attribuiva questo effetto alla suggestione, intesa come uno stato psichico influenzato da un’informazione
recepita coscientemente, ma poi si è scoperto che le cose sono più complesse.
Sperimentalmente si induce l’effetto placebo con un finto farmaco, come una
compressa di talco o di zucchero, per misurare di quanto l’effetto di una nuova
molecola terapeutica superi quello evocato spontaneamente nell’organismo.
Proprio gli studi sull’effetto placebo stanno gettando luce sul suo contrario:
l’effetto nocebo. Con questa
espressione si definiscono i processi fisiopatologici innescati dalle
aspettative negative nell’organismo, a partire dal cervello.
Il problema è noto da tempo e, in
Italia, è stato particolarmente studiato da Giuseppe Perrella, all’inizio degli
anni Ottanta, nei pazienti a regime terapeutico cronico. Attualmente si dispone
di conoscenze e strumenti per indagare in dettaglio le sue basi
neurobiologiche. Alcuni sintomi indotti per effetto
nocebo sono particolarmente studiati:
-
Dolore – temere di
poter provare un dolore che confermerebbe una diagnosi infausta, o sapere che
una determinata circostanza o un dato agente provocano sofferenza, causa un
abbassamento della soglia di percezione del dolore;
-
Cefalea – sapere che
una determinata condizione può provocarla, talvolta determina il suo insorgere
anche in persone che non ne soffrono abitualmente;
-
Risposte allergiche – anche solo
vedere in un video ciò a cui si è allergici, o venire in contatto con un
allergene comune, ma non tale per il soggetto, può generare reazioni cutanee,
starnuti, secrezione nasale e asma;
-
Prurito – il prurito
può essere innescato anche dal semplice vedere persone grattarsi ripetutamente
o sentire nominare acari, pidocchi, scabbia, tigna, orticaria, sostanze
urticanti, polveri pruriginose, eccetera;
-
Disfunzione
erettile e frigidità – questi disturbi si sono manifestati in persone
che non ne avevano mai sofferto, dopo averne sentito parlare o aver creduto di
essere a rischio di svilupparli.
L’effetto nocebo ci ricorda l’importanza
di evitare e/o contrastare l’azione negativa di informazioni recepite in
particolari stati psichici, perché tale azione può generare veri effetti
fisiologici in tutti noi, e non solo, come si credeva un tempo, “malattie
immaginarie” nella mente di persone deboli, depresse e tendenti all’ipocondria».
I “respiratori N95” (N95 respirators) avrebbero
salvato la vita di molti sanitari e contribuito a limitare la diffusione di
SARS-CoV-2 (COVID 19). Le speciali mascherine realizzate per filtrare
particelle virali, dette “respiratori N95” perché filtrano almeno il 95% delle
particelle entro la scala di 0,3 micron di diametro (FDA), avrebbero fornito
una protezione sicura ai sanitari cinesi, come si legge in uno studio postato
lo scorso 19 febbraio (medRvix). Prima dell’identificazione del nuovo virus, il
personale del Wuhan University Hospital non portava alcuna mascherina nell’interazione
con i pazienti febbrili che si credevano affetti dalla comune influenza, ha scritto
in una e-mail professionale Xinghuan Wang direttore del Dipartimento di Urologia
del Wuhan University Hospital. Secondo dati ufficiali aggiornati allo scorso 14
febbraio, in Cina sono stati contagiati 1716 fra medici, infermieri e personale
paramedico, e 6 dei contagiati sono deceduti. [BM&L-Italia
26-02-2020].
Pubblicato fra
le Notule delle “Note e Notizie” dell’8 febbraio 2020 quando si era già
rilevata l’enorme capacità diffusiva ma si sperava ancora di evitare la
pandemia.
La diffusione del coronavirus 2019-nCoV
è rapida come nel caso dei virus pandemici ma sarà possibile circoscriverla. Numerosi
esperti al lavoro in tutto il mondo, e particolarmente i ricercatori che stanno
analizzando i dati dei 565 Giapponesi rimpatriati dalla Cina un paio di
settimane fa, stanno cercando di stabilire quali reali potenzialità e rischi
materiali di diffusione pandemica esistono per il 2019-nCoV. I Giapponesi sono
stati sottoposti a screening clinico durante il viaggio di ritorno e, dopo
l’atterraggio, sia i sintomatici sia quelli apparentemente sani sono stati sottoposti
ad accertamenti di laboratorio con esami microbiologici specifici per l’identificazione
del virus. Solo 8 sono risultati positivi al 2019-nCoV: 4 presentavano sintomi
e 4 erano del tutto privi di manifestazioni rilevabili. Hiroshi Nishiura, epidemiologo
dell’Università di Hokkaido, ha attratto l’attenzione sui quattro casi asintomatici
sottolineando che, se la proporzione sulla popolazione generale venuta in
contatto col virus è la stessa, le misure profilattiche da adottare non possono
essere ordinarie, e richiederanno un notevole impegno delle autorità sanitarie
nazionali.
Due mesi dopo l’individuazione di 2019-nCoV e con
oltre 20.000 casi e 427 morti registrate entro lo scorso martedì 4 febbraio,
gli epidemiologi specializzati nella realizzazione di modelli matematici stanno
cercando di calcolare le dimensioni che potrà assumere l’epidemia e tentano di
prevedere se isolare i pazienti e limitare i viaggi potrà essere sufficiente ad
evitare la pandemia.
Anche se l’OMS ha dichiarato l’Emergenza di Interesse
Internazionale, il suo direttore generale, Tedros Adhanom Ghebreyesus, è
fiducioso che la messa in atto di misure come quelle adottate con Ebola, ossia
la focalizzazione sull’epicentro con una capillare opera di diagnosi e
isolamento, potrà consentire il contenimento. Tutti ricordiamo cosa accadde nel
2003 con la SARS, ossia la grave sindrome respiratoria acuta che sembrava
destinata a causare una pandemia catastrofica, quando la messa in atto
sistematica e scrupolosa delle misure di difesa sanitaria arrestarono l’epidemia
prima che raggiungesse le novemila vittime.
L’isolamento delle persone asintomatiche non è
attualmente programmabile, perché richiederebbe screening a tappeto su decine
o centinaia di milioni di persone in Cina; tuttavia, è possibile l’isolamento
precauzionale per due settimane (l’incubazione si ritiene sia di 10-12 giorni) delle
persone che sono entrate in contatto con coloro che hanno ricevuto la diagnosi,
anche se una tale misura richiede responsabilità e cooperazione dei cittadini.
D’altra parte, uno studio tedesco ancora in atto e del quale sono stati comunicati
i risultati preliminari, sembra escludere la reale possibilità di portatori
sani.
Joseph Wu dell’Università di Hong Kong, che lavora
a modelli della diffusione del virus nel tempo e nello spazio, sta verificando
se sia fondata l’ipotesi di un contenimento spontaneo con l’arrivo della
primavera, come sostenuto da Marion Koopmans dell’Erasmus Medical Center e da
vari altri epidemiologi.
Molto dipenderà – a nostro avviso – dall’efficienza
dell’intervento sanitario in Cina e negli altri paesi dove sono stati segnalati
gli oltre duecento casi originati localmente, perché anche se la diffusibilità di
2019-nCoV è potenzialmente molto elevata, la sua trasmissibilità appare bassa.
________________________________________________________________________________
La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International
Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze,
Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come
organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Naturalmente, sono diverse le
misure protettive per il personale sanitario che deve entrare in contatto con
pazienti affetti da COVID-19; misure codificate e adottate da tempo per le
gravi malattie contagiose.
[2] Note e Notizie 11-04-20 Trasmissibilità
aerea e persistenza del nuovo coronavirus sulle superfici.
[3] Si veda in Note e Notizie
11-04-20 Trasmissibilità aerea e persistenza del nuovo coronavirus sulle
superfici. Rimane difficile condurre una sperimentazione decisiva sul ruolo
dell’aria condizionata nella diffusione del contagio; tuttavia, le prove indirette
della sua pericolosità sembrano molto convincenti.
[4] Questo può voler dire che dopo 4
giorni un luogo di degenza per COVID-19, anche se non sanificato (ma non
visitato da alcun altro positivo al test), non ci si può più contagiare. All’inizio
dell’epidemia, prima degli studi specifici, in via presuntiva o deduttiva,
molti virologi ritenevano che l’integrità del virus fuori dal corpo dell’ammalato
durasse minuti o al massimo un’ora.
[5] Note e Notizie 11-04-20
Trasmissibilità aerea e persistenza del nuovo coronavirus sulle superfici.
[6] Note e Notizie 11-04-20
Trasmissibilità aerea e persistenza del nuovo coronavirus sulle superfici.
[7] È stato infatti dimostrato un
comportamento del tutto simile dei due virus.
[8] Shi J., et al. Susceptibility of ferrets, cats, dogs, and
other domesticated animals to SARS-coronavirus-2. Science – Epub ahead of print doi:
10.1126/science.abb7015, 08 Apr, 2020.
[9] Anche se sono state descritte
oltre 50 razze del felino, le differenze immunologiche legate alla razza
potrebbero non essere rilevanti per la permissività all’infezione da
SARS-CoV-2.
[10] La provenienza dal mercato del
pesce di Wuhan fatta circolare dai media cinesi in tutto il mondo sarebbe,
secondo i ricercatori del laboratorio di Montagnier, un depistaggio per coprire
la grave negligenza che avrebbe causato la fuoriuscita da un laboratorio cinese
di questo virus manipolato.
[11] Sostanzialmente come facemmo in
Italia per Giulio Tarro.
[12] Note e Notizie 28-03-20
Scoperto il meccanismo dei coronavirus per evadere la sorveglianza immunitaria.
[13] Note e Notizie 21-03-20 Notule.
[14] Note e Notizie 28-03-20 Notule (v. Candidato vaccino contro SARS-CoV-2 realizzato dal
gruppo del vaccino anti-MERS). Del gruppo di lavoro fa parte anche Giacomo Gorini, immunologo del
Jenner Institute.
[15]
V. Gretchen Vogel, Science (Sciencemag Apr 21, 2020, 6:30 PM).
[16] In Italia vi furono solo quattro
casi registrati, di cui due diagnosticamente verificati e due confermati in via
presuntiva. Nel mondo, dal 2004, non sono più stati rilevati casi di SARS-CoV-1.
[17] Note e Notizie 14-03-20
COVID-19 può invadere il sistema nervoso centrale.
[18] Una condotta sanitaria diversa da
quella decisa in Italia, basata sull’invio dei contagiati che non hanno bisogno
immediato di cure ospedaliere e dei contatti risultati positivi al proprio domicilio,
presso il quale dovrebbero rimanere in “quarantena volontaria”. A parte le
trasgressioni, questa procedura comporta la sistematica trasmissione a tutti i conviventi
e la possibilità elevata di contagio dei vicini, i quali, fino ad esecuzione di
un tampone positivo, possono diffondere in giro il virus, anche semplicemente
facendo la spesa alimentare quotidiana. Per il lettore non medico si precisa
che l’isolamento viene effettuato presso istituti infettivologici
specificamente dotati di stanze speciali per questo fine - alle quali si accede
attraverso percorsi protetti e costantemente sottoposti a disinfezione - equipaggiate
con tutti i mezzi idonei ad impedire la fuoriuscita di microrganismi (dei quali
può essere monitorata la densità per m3 d’aria) e frequentate
soltanto da personale sanitario munito di protezione integrale e specializzato
nei protocolli di assistenza ai pazienti infettivi.
[19] Tra gli agenti eziologici più
frequenti del raffreddore e di altre affezioni delle vie aeree superiori (URI,
da upper respiratory infections), oltre i menzionati coronavirus,
vi sono rinovirus, togavirus, arbovirus e adenovirus
(particolarmente in età pediatrica). Si ricorda che il temuto virus
respiratorio sinciziale (SRV), che causa una gravissima polmonite e
bronchiolite nei primi anni di vita e talvolta polmonite nell’anziano, nell’adulto
può determinare un semplice raffreddore.
[20] Si veda in proposito la nota di
recensione pubblicata lo scorso 14-03-20.