Depressione, ansia, disturbi cognitivi e del sonno nel tremore essenziale

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XII – 13 dicembre 2014.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Il tremore può essere definito come un movimento oscillatorio ritmico involontario prodotto da contrazioni alterne o irregolarmente sincrone di muscoli a innervazione reciproca. La sua qualità ritmica lo distingue da altri movimenti, e la sua natura oscillatoria lo distingue dal mioclono[1]. Esiste un tremore fisiologico ed un tremore che è indice di danno neurologico; in questo secondo caso può essere un sintomo di un quadro patologico ben definito (lesione del cervelletto, malattia di Parkinson, ecc.) oppure costituire da solo l’emergenza clinica. Quest’ultima evenienza, tutt’altro che rara, è generalmente considerata soltanto in termini di alterazioni motorie, sia nello studio clinico che nell’approccio sperimentale. Recenti evidenze, per la forma più comune di tremore ad eziologia ignota, suggeriscono la necessità di un cambiamento di rotta.

Yildizhan Sengul ed altri sei colleghi turchi, hanno condotto uno studio clinico pubblicato su una delle riviste neurologiche di più antico prestigio, Acta Neurologica Belgica, nel quale hanno indagato i disturbi non motori in 45 giovani pazienti affetti da tremore essenziale.

L’osservazione ha rivelato la presenza di un lieve deficit cognitivo, ansia, sintomi depressivi, disturbi del sonno e affaticamento [Sengul Y., et al., Cognitive functions, fatigue, depression, anxiety, and sleep disturbances: assessment of non motor features in young patients with essential tremor. Acta Neurologica Belgica - Epub ahead of print (December 05, 2014) doi: link.spinger.com/article/10.1007/s13760-014-0369-6, 2014].

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Neurology, Erzurum Regional Training and Research Hospital, Cat Yolu, Palandoken, Erzurum (Turchia); Department of Psychology, Erzurum Regional Training and Research Hospital, Erzurum (Turchia); Department of Neurology, Lutfiye Nuri Burat State Hospital, Istanbul (Turchia); Department of Neurology, D: P. U. Kutahya Evliya Celebi Training and Research Hospital, Kutahya (Turchia); Department of Psychiatry, 18 March University, Gallipoli, Canakkale (Turchia); Department of Neurology, Sisli Hamidiye Eftal Research and Training Hospital, Istanbul (Turchia); Department of Neurology, Medicine Faculty, Ataturk University, Erzurum (Turchia).

Il tremore essenziale, detto anche familiare o ereditario, è il tipo più comune di tremore, caratterizzato da una frequenza bassa (4-8 Hz) e l’assenza di sintomi associati, secondo le descrizioni nosografiche più autorevoli[2]. Ereditato come un carattere autosomico dominante ad alta penetranza, interessa entrambi i sessi e compare più spesso nella seconda decade di vita, ma può manifestarsi nell’infanzia e presenta un secondo picco di comparsa dopo i 35 anni di età. La prevalenza è stimata in 415 casi per 100.000 persone di oltre 40 anni di età, nella popolazione generale. Con l’età, la frequenza delle scosse si riduce lievemente, mentre l’ampiezza aumenta.

Il tremore essenziale comincia praticamente sempre dalle braccia ed è quasi sempre simmetrico. Si è stimato che nel 15% dei pazienti può comparire prima in corrispondenza della mano dominante.

Fra i tipi di tremore essenziale contemplati nella nosografia neurologica è descritta una variante con una più alta frequenza (6-8 Hz) corrispondente a quella del tremore fisiologico accentuato. Il tremore essenziale può peggiorare nel tempo, tanto che la grafia diventa illeggibile e il paziente non può portare alla bocca un cucchiaio o un bicchiere senza versarne il contenuto.

Per ciò che concerne la fisiopatologia del tremore essenziale, bisogna aver presente che solo pochi casi sono stati studiati post-mortem e, se si eccettua il caso di una donna di 90 anni riferito da Louis e colleghi, che presentava un’estesa perdita di neuroni nella corteccia del cervelletto e nel nucleo dentato[3], i reperti sono eterogenei e vari, e non consentono di indicare una probabile sede di origine del sintomo. Se il tremore origina da una struttura che possiede una ritmicità intrinseca o se sia, come la maggior parte dei ricercatori sostiene, espressione di oscillazioni reciproche in sistemi del circuito dentato-tronco encefalico-cervelletto o del circuito talamo-tegmentale, non è dato sapere. In proposito, le tesi bene argomentate di Colebatch e colleghi, Dubinsky e Hallet, e Wills e colleghi, sono dettagliatamente esposte e discusse da Elble nella sua rassegna ormai classica[4].

Una raccolta di dati in continua crescita documenta una sintomatologia non motoria nei pazienti affetti da tremore essenziale e, in particolare, difetti cognitivi e disturbi di chiaro interesse psichiatrico, quali sindromi depressive ed alterazioni del sonno.

Yildizhan Sengul e colleghi si sono prefissi lo scopo di rilevare e analizzare, in giovani affetti da tremore essenziale, segni e sintomi non motori, valutandone l’impatto sulla qualità della vita.

Lo studio si è basato su un campione di 45 volontari affetti da tremore essenziale di età 24.55±7.16, e su un gruppo di controllo costituito da 35 volontari non affetti dal disturbo neurologico ed in apparente buona salute. Tutti i partecipanti sono stati valutati per la funzione del sonno mediante il Pittsburg Sleep Quality Index, la Epworth Sleepiness Scale. Lo stato affettivo di fondo, il tono dell’umore, la presenza di ansia e l’affaticamento sono stati valutati mediante test di frequente impiego (Beck Depression Inventory, Beck Anxiety Scale, Fatigue Severity Scale, e Short Form-36). Le funzioni cognitive dei pazienti sono state studiate mediante una versione turca della Montreal Cognitive Assessment Battery (MoCA). Sengul e colleghi hanno poi eseguito un’accurata indagine diagnostica differenziale per escludere altre cause di tremore.

L’entità e tutte le principali caratteristiche del tremore sono state valutate mediante la Fahn-Tolosa-Marin Tremor Rating Scale.

Un bilancio comparativo degli esiti delle valutazioni dei pazienti e dei volontari sani, ha fatto registrare una maggiore frequenza negli affetti da tremore essenziale di qualità scadente del sonno, affaticamento, ansia e sintomi depressivi. Il punteggio totale al MoCA, per la valutazione della cognizione, era sensibilmente più basso nel gruppo dei pazienti. Sengul e colleghi hanno rilevato degli effetti negativi complessivi sulla salute fisica e mentale da parte di alti livelli di ansia, sintomi depressivi e affaticamento, probabilmente per lo stabilirsi di circoli viziosi di potenziamento reciproco. È stato anche specificamente rilevato che l’eccessiva sonnolenza rilevata nei pazienti durante le ore del giorno aveva un’influenza negativa sulla salute fisica.

I dati emersi dallo studio, per il cui dettaglio si rimanda alla lettura integrale del testo del lavoro originale, fanno rilevare la presenza e l’importanza di elementi clinici non motori e di prevalente interesse psichiatrico, associati al classico profilo sindromico descritto in neurologia. Come osservano gli autori, gli elementi clinici non motori che compromettono la qualità della vita, sono presenti già nei pazienti più giovani, suggerendo che i processi patologici da cui derivano potrebbero essere parte della malattia stessa, fin dagli stadi più precoci del suo sviluppo.

L’interesse maggiore di studi come questo, a nostro avviso, consiste nell’aver dimostrato l’esistenza di una base patologica più estesa dell’alterazione che causa il sintomo più evidente, indicando alla ricerca un’area da indagare.

L’aspetto di un interessamento cerebrale più esteso in una manifestazione clinica come il tremore, considerata in neurologia, per molti versi, alla stregua di un sintomo da danno focale, suggerisce riflessioni più generali sull’evoluzione recente e i cambiamenti in atto in questo settore della medicina.

La pratica medica è profondamente cambiata negli ultimi decenni, e la clinica neurologica è andata incontro ad una evoluzione difficilmente paragonabile a quella delle altre branche della medicina. Non è in questione lo sviluppo tecnologico delle metodiche diagnostiche o l’innovazione delle terapie genetiche o con cellule staminali, ma l’identità della neurologia che, negli ultimi due secoli, non è stata soltanto un ambito di esercizio specialistico della professione medica, ma ha rappresentato una vera e propria branca di conoscenza scientifica ed interpretazione culturale del sapere sull’uomo. Se andiamo indietro nel tempo, ritroviamo nel campo neurologico, che ha dato luogo a discipline pratico-applicative come la neurochirurgia e scientifico-sperimentali come la neurofisiologia, anche la casa madre della psicopatologia, della psichiatria e di molte branche della psicologia, dalla neuropsicologia a vari indirizzi della psicologia sperimentale. Lo sviluppo ha seguito, fino a un certo punto, una semplice logica di diramazione e specializzazione, dalla quale sono nati ambiti nuovi che si sono emancipati come materie e pratiche indipendenti.

Trentacinque anni fa, all’incirca, con il superamento in Italia delle scuole di specializzazione in “malattie nervose e mentali” e lo stabilirsi della regola di corsi di studi separati in psichiatria, sembrava sancirsi non solo una definitiva separazione fra l’oggetto neurologico e l’oggetto psichiatrico, ma anche il costituirsi di una chiara e coerente base scientifica e culturale per due identità professionali distinte. Se gli psichiatri non dovevano più occuparsi di paralisi, epilessie e tumori, e i neurologi non dovevano più occuparsi di disturbi mentali, ciò non era conseguenza di un semplice convenuto razionale come quello che fissava i limiti fra nefrologia e urologia o fra cardiologia e angiologia, ma aveva la sua ragione nell’assunzione di un paradigma diverso nell’approccio alla persona. E tale diversità era giustificata e rappresentata dalla semeiotica: quella neurologica rimaneva una semeiotica medica, quella psichiatrica era ormai fondata su presupposti, ipotesi, teorie e modelli di tipo psicologico che, spaziando dalla psicoanalisi alla fenomenologia e in parte alle nascenti scienze neurocognitive, avevano definito una “mente” e un “mentale” di fatto disgiunte dal “cervello” e dal “cerebrale” della neurologia.

Ampiamente giustificata dalla mancanza di nozioni neurobiologiche e ponti di conoscenza neurofunzionale che ponessero in collegamento i dati acquisiti sul cervello con la dimensione psichica dell’esperienza umana, questa separazione ha di fatto favorito una mutazione di genere degli studi e della pratica di ambito psicopatologico che ha indotto, a più riprese e in diversi paesi, degli studiosi a farsi paladini e sostenitori di una “psichiatria non-medica”, e dei gruppi a dare luogo a vere e proprie scuole di pensiero, come quella dell’antipsichiatria, che contestavano l’idea stessa di considerare i disturbi mentali come malattie. Intanto, lo studio delle origini dei sintomi psichiatrici, così come la semeiotica e la diagnostica psicopatologica, cercava il primum movens nell’inconscio, mentre le cause delle malattie neurologiche erano indagate con mezzi, criteri e procedure della ricerca biomedica di base e clinica.

Nei due decenni successivi, il progresso delle conoscenze di base ha facilitato l’affermarsi in tutto il mondo della convinzione che i tempi fossero ormai maturi per un nuovo tentativo di approccio scientifico ai problemi della mente, lontani ormai da quel peccato di riduzionismo rigido e grossolano alla base di una concezione etichettata come “organicismo in psichiatria”, ed associata, a torto o a ragione, agli internamenti disumani dei malati di mente, alla leucotomia prefrontale (lobotomia), all’elettroshock, al coma insulinico, ecc.

Con il costituirsi delle neuroscienze quale categoria concettuale e dimensione istituzionale della ricerca e dei saperi che vanno dalla chimica del neurale alla psicologia del mentale, si è creata una nuova e più ampia casa comune, all’interno della quale sono ammesse tutte le distinzioni utili a caratterizzare le conoscenze, ma sono bandite separazioni originate da preconcetti o finalizzate all’esclusione di realtà non omogenee ad una visione precostituita. L’esistenza delle neuroscienze come un unico campo di sapere, riflesso dalla stessa organizzazione del lavoro didattico e sperimentale, ha ampliato i confini della consapevolezza dei ricercatori, rendendo più difficile la possibilità di conservare i paraocchi a chi non voglia sapere e considerare quanto accade nel comparto sperimentale o clinico confinante con il proprio.

Oggi, forse proprio grazie all’apertura culturale tipica dei maggiori protagonisti e delle maggiori scuole nel campo delle neuroscienze, non c’è più timore nel giovane medico tirocinante di proporre lo studio psichiatrico di un paziente neurologico o lo studio neurologico di un paziente psichiatrico. A chi non ha vissuto i trascorsi cinquant’anni della medicina del sistema nervoso centrale come esperienza personale, potrà sembrare poco; a chi invece li ha vissuti giorno per giorno, come l’autore di questa recensione, sembra già un soddisfacente primo passo sulla lunga strada che porterà a una virtuosa “wholistic medicine”, l’approccio medico alla globalità della persona, basato sull’integrazione di tutte le competenze specialistiche necessarie, auspicato da Linda Faye Lehman e fatto proprio dalla nostra società scientifica.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la collaborazione e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-13 dicembre 2014

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Cfr. Ropper, Samuels, Klein (eds) Adams and Victor’s Principles of Neurology, 10th ed., p. 92, McGraw Hill, 2014. La natura oscillatoria lo distingue anche dal disturbo del movimento noto come asterixi o asterissi (ampie scosse aritmiche delle mani a battito di ali di farfalla, in genere per encefalopatia epatica o insufficienza renale).

[2] Cfr. Ropper, et al., op. cit., p. 94, e bibliografia citata nell’opera.

[3] Louis E. D., et al., Essential tremor associated with pathologic changes in the cerebellum. Arch Neurol 63: 1189, 2006

[4] Elble R. J., Origins of tremor. Lancet 355: 1113, 2000.