Notule

 

 

(A cura di LORENZO L. BORGIA)

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XII – 13 dicembre 2014.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: BREVI INFORMAZIONI]

 

Stimolare la lingua per curare il cervello. Non si tratta dell’impiego di esercizi linguistici, ma della materiale stimolazione elettrica dell’organo del gusto che interviene nelle funzioni di masticazione, deglutizione ed articolazione delle parole. Non tutti hanno presente quanto la lingua sia connessa con il tronco encefalico, la sezione del sistema nervoso centrale che contiene, con i nuclei dei nervi cranici, i maggiori aggregati neuronici per il controllo nervoso delle funzioni vitali. In particolare, la punta della lingua è percorsa da terminazioni nervose sensitive e motorie direttamente connesse con quel segmento, distinto in bulbo, ponte e mesencefalo, che è posto fra diencefalo e midollo spinale, ed è attraversato dalle grandi vie che collegano il cervello con il cervelletto e le altre strutture del nevrasse. Numerose evidenze sperimentali hanno fornito supporto all’idea di stimolare con polsi di corrente al di sotto della soglia del dolore l’apice linguale per incrementare l’efficienza della trasmissione in queste vie nervose centrali.

Yuri Danilov e colleghi della Wisconsin-Madison University hanno sperimentato questa nuova forma di stimolazione elettrica in pazienti affetti da sclerosi multipla e sottoposti a neuroriabilitazione per deficit motori conseguenti alle lesioni della mielina oligodendrocitica tipiche della malattia. Nella sclerosi multipla, lesioni infiammatorie su base autoimmune distruggono il rivestimento mielinico degli assoni, necessario alla rapida conduzione saltatoria, in varie aree circoscritte dell’encefalo e del midollo spinale, dove, alla riparazione cicatriziale gliale, segue un difetto di conduzione che, complessivamente, riduce l’efficienza della comunicazione fra nevrasse e periferia e, dunque, fra cervello e corpo. Un sintomo di questa fisiopatologia è la perdita del controllo muscolare. Danilov e colleghi hanno erogato, durante la terapia neuroriabilitativa, scariche indolori di bassa intensità alla punta della lingua di pazienti con alterazioni dell’andatura e difficoltà deambulatorie dovute a sclerosi multipla, ed hanno posto a confronto gli esiti con quelli di pazienti in trattamento riabilitativo senza stimolazione elettrica. Lo studio, pubblicato su Engineering and Rehabilitation, era focalizzato sulla riabilitazione del passo, ossia del movimento di base della deambulazione spontanea. In un periodo di prova di 14 settimane, i pazienti che avevano ricevuto la stimolazione linguale erano migliorati del doppio nei parametri di stima dell’equilibrio e della fluidità, rispetto ai pazienti trattati senza stimolazione elettrica.

Uno studio, che è stato l’antecedente di riferimento per Danilov e colleghi, aveva mostrato che l’invio di impulsi elettrici alla lingua era in grado di attivare la rete neuronica responsabile della regolazione dell’equilibrio del corpo. Una simile attivazione può spiegare gli effetti positivi sui pazienti affetti da sclerosi multipla. Attualmente il team della Wisconsin-Madison sta sperimentando la stimolazione linguale nel trattamento del Parkinson, del danno da ictus e nella perdita della vista: un esito positivo di questi studi sancirebbe la scoperta di un nuovo metodo riabilitativo.

 

Nella demenza si possono evitare i farmaci antipsicotici. È quanto emerge da studi che hanno dimostrato l’efficacia della musica nel sedare l’agitazione e nell’indurre la rievocazione di ricordi dai contenuti positivi, che possono tenere impegnata la funzione di elaborazione attuale.

 

La deprivazione di sonno facilita le false memorie. La formazione di falsi ricordi che seguono contenuti proposti dai ricercatori o, nella vita reale, influenzati dalle tendenze inconsce o dai desideri delle persone, è favorita dalla perdita di sonno. La riduzione di efficienza dei processi cognitivi per un insufficiente “re-setting” sembra essere la causa. È interessante notare che in alcune persone questa facilitazione non si verifica; non si sa bene il perché, ma è stato osservato che questi individui resistenti hanno un profilo di alto grado di esercizio cognitivo. Il meccanismo di facilitazione potrebbe essere simile a quello che si verifica dopo una crisi delirante nelle persone affette da disturbi mentali o dopo una tempesta elettrica cerebrale, quali quelle che si accompagnano alle gravi crisi epilettiche.

 

Si cominciano a comprendere le cause della debolezza cognitiva nei difetti del ciclo dell’urea. Le donne portatrici apparentemente asintomatiche del difetto di ornitina transcarbamilasi (OTCD) legato al cromosoma X, la forma più comune di difetto del ciclo dell’urea, presentano carenze nella destrezza dei movimenti fini e nella velocità di esecuzione, ma lievi e poco significativi limiti nell’intelligenza non-verbale, nella memoria visiva, nelle abilità attentivo-esecutive e nella matematica. Si è rilevata una diminuzione del mioinositolo cerebrale ed un aumento della glutammina; quest’ultimo è dovuto all’eccessivo passaggio di NH3 dal sangue agli astrociti, sede della reazione della glutammina-sintetasi. L’accumulo di glutammina gliale favorisce il rigonfiamento cellulare e il rilascio di mioinositolo nel tentativo di ristabilire l’equilibrio idrico.

 

Esiste la metacognizione negli animali? La capacità di riflettere sui propri contenuti mentali, formulare giudizi e prendere delle decisioni sulla base di queste riflessioni, sembra essere un’abilità propriamente umana, ma l’esistenza di una simile facoltà negli animali è stata ipotizzata da tempo da molti ricercatori, pertanto le domande che abbiamo ricevuto in proposito non ci trovano impreparati. Anzi, proprio in prosieguo della “breve” inviata con l’alert settimanale riservato ai soci del 15 novembre (Cfr. Notule del 6 dicembre), Giovanna Rezzoni ha sinteticamente trattato l’argomento. Qui di seguito riportiamo il brano dell’alert del 22 novembre.

“La scorsa settimana abbiamo parlato degli studi nel campo della «metacognizione», ossia della capacità umana di rendersi conto dei propri contenuti mentali, giudicare il proprio pensiero e riflettere su idee e convinzioni appena elaborate o formate in precedenza. È lecito chiedersi se una tale abilità, sia pure in una forma appena abbozzata, esista negli animali. Essendo privi di linguaggio verbale, gli animali, inclusi quelli con il grado più elevato di evoluzione cerebrale e sviluppo neocorticale, non hanno un «discorso interno» paragonabile al pensiero verbale umano, fatto di elaborazioni che, in alcune persone, superano di gran lunga in qualità e contenuti le conversazioni della vita quotidiana. Molte osservazioni suggeriscono che, nei mammiferi, la riflessione intesa come elaborazione che precede una scelta non immediata, esiste e può avere un ruolo importante in alcune decisioni, ma la dimostrazione dell’esistenza di processi mentali accostabili alla metacognizione è ancora oggetto di ricerca. Uno dei primi esperimenti in questo campo fu condotto da David Smith dell’Università di Buffalo con un delfino chiamato Natua. Il cetaceo era stato addestrato a nuotare verso due leve mentre veniva emesso un suono di alta o bassa frequenza: una leva era associata al primo tipo di suono, l’altra al secondo tipo. Quando il delfino sceglieva la leva giusta, premendola otteneva un pesce in premio. David Smith sperimentò allora dei suoni di frequenze intermedie, così che fosse difficile decidere a quale dei due tipi appartenessero, creando a Natua un problema nella scelta della leva. Introdusse poi anche una terza leva, per un gioco a ricompensa più semplice. Il delfino imparò a ricorrere a questa leva solo nei casi di massima difficoltà. In altri termini, quando Natua non riusciva a risolvere il dubbio su come considerare il suono, si arrendeva ed azionava la terza leva, per avere comunque il suo pesciolino. Si vide che maggiore era la durata dell’esitazione e il numero delle oscillazioni fra le due leve, tanto più elevata era la probabilità che fosse azionata la terza leva. Da ciò Smith dedusse che, per scegliere la terza leva, Natua doveva riconoscere di «non sapere», facendo una riflessione su ciò che «sapeva». A simili esperimenti sono state sottoposte varie specie di scimmie. È interessante notare che, se i macachi hanno fatto registrare un comportamento simile al delfino, confermando la possibilità di processi metacognitivi, le scimmie cappuccine non hanno dato alcun segno di «riflessione». La ricerca prosegue. La possibilità di rilevare metacognizione negli animali è complicata dal fatto che il concetto di metacognizione è stato elaborato sul modello umano della riflessione cosciente e, dunque, in assenza di una coscienza come la nostra, si dovrebbe ipotizzare l’esistenza di una metacognizione automatica e, pertanto, più veloce e difficile da rilevare e documentare.” (Giovanna Rezzoni).

 

Notule

BM&L-13 dicembre 2014

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