Antiossidanti per il cervello degli intolleranti al fruttosio

 

 

ROBERTO COLONNA

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XII – 06 dicembre 2014.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Descritta scientificamente per la prima volta nel 1956, l’intolleranza ereditaria al fruttosio è una malattia trasmessa come un carattere mendeliano autosomico recessivo, con un’incidenza media di 1:40.000 nuovi nati, dovuta al deficit di aldolasi B (EC 4.1.2.13), un enzima responsabile del metabolismo del fruttosio in fegato, rene e intestino tenue. Caratterizzata dall’accumulo di fruttosio e fruttosio-1-fosfato nei tessuti e nei fluidi delle persone affette, si presenta principalmente con ipoglicemia, vomito, ittero, epatomegalia, insufficienza epatica, acidosi metabolica e crisi convulsive, potendo talvolta portare al coma e alla morte[1].

Si ritiene che l’accumulo di fruttosio si renda responsabile del danno encefalopatico, verosimilmente attraverso lo stress ossidativo e processi neuroinfiammatori. Per verificare questa ipotesi, Abigail Lopes e colleghi hanno studiato, nella corteccia cerebrale di ratti Wistar di 30 giorni di età, gli effetti della somministrazione acuta di fruttosio su indici di stress ossidativo e parametri neuroinfiammatori. I risultati suggeriscono un nuovo tipo di terapia adiuvante per le persone affette da intolleranza ereditaria al fruttosio (Lopes A., et al., Evaluation of the Effects of Fructose on Oxidative Stress and Inflammatory Parameters in Rat Brain. Molecular Neurobiology 50: 1124-1130, 2014).

La provenienza degli autori è la seguente: Laboratorio di Errori Innati del Metabolismo, Programma Post-universitario in Scienze della Salute, Unità Accademica di Scienze della Salute, Università dell’Estremo Sud Catarinense, Criciuma, SC (Brasile); Laboratorio di Fisiopatologia Sperimentale e Laboratorio di Bioenergetica, Programma Post-universitario in Scienze della Salute, Unità Accademica di Scienze della Salute, Università dell’Estremo Sud Catarinense, Criciuma, SC (Brasile); Laboratorio di Fisiopatologia Clinica e Sperimentale, Programma Post-universitario in Scienze della Salute, Unità Accademica di Scienze della Salute, Università del Sud di Santa Catarina, Tubarao, SC (Brasile); Università Federale di Rio de Janeiro, Istituto di Biofisica Carlos Chagas Filho, Isola di Fundao (Brasile).

Gli effetti di una concentrazione di fruttosio che simulasse quella della patologia umana, sono stati sperimentati nei ratti Wistar iniettando una soluzione del monosaccaride alla concentrazione di 5 μmol/g. Al gruppo di roditori di controllo è stata iniettata una soluzione salina di NaCl allo 0,9%. Dopo un’ora è stata studiata la corteccia cerebrale dei ratti.

La valutazione dello stress ossidativo ha previsto lo studio dei seguenti parametri: 1) livelli di sostanze reattive all’acido tiobarbiturico (TBA-RS); 2) contenuto carbonilico; 3) livelli di nitriti e nitrati; 4) ossidazione di 2’,7’-diidrodiclorofluoresceina (DCFH); 5) livelli di glutatione (GSH); 6) attività della catalasi (CAT); 7) attività della superossidodismutasi (SOD).

La valutazione dei processi neuroinfiammatori ha previsto lo studio dei seguenti parametri: 1) livelli di TNFα; 2) livelli di IL-1β; 3) livelli di IL-6; 4) attività della mieloperossidasi (MPO).

La somministrazione acuta di fruttosio aumentava i livelli di TBA-RS e contenuto carbonilico, indicando la perossidazione dei lipidi e il danno delle proteine. Inoltre, l’attività di SOD era decisamente accresciuta, mentre l’attività di CAT era apprezzabilmente ridotta. I livelli di GSH, nitriti, nitrati e l’ossidazione di DCFH non sono stati alterati dalla somministrazione acuta di fruttosio. Infine, i livelli delle citochine IL-1β e IL-6, e di TNFα, così come l’attività di MPO, non erano modificati, suggerendo assenza di neuroinfiammazione.

I risultati di questo studio, per il cui dettaglio si rimanda alla lettura integrale del testo del lavoro originale, indicano che una concentrazione di fruttosio comparabile con quella che si determina nei tessuti e nei fluidi dei pazienti affetti da intolleranza ereditaria al fruttosio, causa nella corteccia cerebrale uno stress ossidativo che induce l’ossidazione di lipidi e proteine, e modifica le attività di CAT e SOD.

In attesa che studi indipendenti confermino o eventualmente confutino questi dati, appare più che fondata la proposta degli autori di introdurre nella terapia di questa malattia genetica un trattamento adiuvante con antiossidanti, da aggiungere alla dieta e agli altri presidi attualmente impiegati per far fronte alle varie manifestazioni cliniche.

 

L’autore della nota invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Roberto Colonna

BM&L-06 dicembre 2014

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Prima dell’attuale definizione patologica, era soprattutto conosciuta in pediatria per episodi ipoglicemici associati a sintomatologia gastroenterica acuta, grave e protratta, spesso a seguito di ingestione di succhi di frutta o alimenti contenenti il comune saccarosio (disaccaride costituito da glucosio e fruttosio). Gli esiti più gravi e fatali per il bambino si avevano nei casi non diagnosticati, tipicamente nei primogeniti, in cui per inconsapevolezza continuava l’assunzione di fruttosio.