La rievocazione di memorie positive può promuovere il benessere

 

 

LORENZO L. BORGIA

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XII – 29 novembre 2014.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Ciò che caratterizza l’uomo è la memoria. Viene al mondo come un bambino freudiano:

in apparenza affetto da amnesia, reprime nel subconscio tutte le proprie ferite. Cresce

come un giovane bergsoniano: la memoria serve all’azione, è preminentemente pratica e

rivolta al futuro. Come Baudelaire, ritrova il passato in un profumo, una musica e lo riscopre

attraverso i cinque sensi. Divenuto proustiano, con l’avanzare degli anni, estasi di memoria

involontaria gli fanno rivivere il passato, fino, forse, a farlo sfuggire al tempo.

[Jean-Yves Tadié e Marc Tadié, Il senso della memoria]

 

 

Se le “estasi di memoria involontaria” proustiana possono aiutare a vivere l’illusione di sfuggire al tempo, certamente è grazie al potere della dimensione immaginaria della nostra mente: dimensione che per sua natura si sottrae all’indagine scientifica, ma che oggi deve arrendersi alla possibilità di misura dei suoi effetti.

La ricerca neuroscientifica sulla memoria ha indagato i meccanismi molecolari, cellulari e dei sistemi neuronici per la formazione, il consolidamento e la rievocazione delle memorie. Il massimo sforzo è stato compiuto per trovare i correlati neurali e i processi necessari al costituirsi, consolidarsi ed estinguersi di memorie di risposte semplici (reazioni acquisite, basate sui riflessi innati), di memorie cognitive (es.: memoria spaziale), di memorie emozionali (es.: paura condizionata). Se è vero che in questa ricerca neurobiologica è stato analizzato il riutilizzo delle memorie, è pur vero che il processo studiato negli animali è molto distante dalla rievocazione umana dei ricordi.

La rievocazione è rimasta in questi anni dominio della psicoterapia, che l’ha impiegata in tutte le forme necessarie a conoscere, ricostruire, rielaborare, ma anche in funzione dell’evocazione di stati psicofisici opposti a quelli che si determinano nell’ansia e nello stress, come nel caso delle tecniche di rilassamento associate ad induzione mentale dell’assetto psico-somatico desiderato.

Il rievocare, ad esempio, ricordi positivi, intesi come esperienze gratificanti del passato, vuol dire riportare al presente con fatti, luoghi, persone, pensieri e parole, lo stato psichico di fondo che a questi era associato, con gli affetti di compiacimento, piacere o gioia che lo avevano caratterizzato. In questo senso, lo studio scientifico della rievocazione è solo agli inizi: si dovrebbe conoscere un preciso pattern funzionale indicante il processo rievocativo nel cervello, per cimentarlo con i quadri di attività in esame.

Anche se siamo ancora lontani dalla possibilità di definire la configurazione di attività cerebrale che contraddistingue la rievocazione, Speer, Bhanji e Delgado della Rutgers University hanno indagato il correlato neurofunzionale dell’attività immaginaria di richiamo di memorie autobiografiche positive e ne hanno verificato gli effetti, dimostrandone la natura di “valore” neurale e reale in grado di generare stati funzionali positivi (Speer M. E., et al. Savoring the Past: Positive Memories Evoke Value Representations in the Striatum. Neuron – Epub ahead of print doi: http://dx.doi.org/10.1016/j.neuron.2014.09.028, 2014).

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Psychology, Rutgers University, Newark, NJ (USA).

Quando non si analizza scientificamente un fenomeno materiale ma un processo mentale per comprenderne le basi materiali, è necessario cercare di definirne con la maggiore approssimazione possibile l’identità. Tale profilo, inevitabilmente, risente delle opinioni prevalenti in quel campo di studi e delle personali convinzioni dei ricercatori che, direttamente o indirettamente, sono influenzate dalla cultura generale. Durante il secolo appena trascorso sono prevalse tra filosofi, pensatori e uomini di lettere in grado di influenzare la mentalità corrente, due posizioni estreme: la convinzione che la memoria umana registri ogni cosa o che, al contrario, sia solo una debole e incompiuta traccia da trascurare o sulla quale elaborare, a seconda delle necessità del presente.

La convinzione di un’assoluta persistenza della memoria si ritrova in Bergson: “Credo che la nostra vita passata continui ad esserci, custodita fin nei minimi dettagli, e che non si dimentichi niente, che tutto quello che abbiamo percepito, pensato, voluto, a partire dal primo risveglio della nostra coscienza, persista all’infinito”[1]. In perfetta consonanza con Bergson appare Baudelaire quando, facendo il proprio caso personale, afferma di avere più ricordi di quanti ne avrebbe se avesse avuto mille anni[2]. Marcel Proust, invece, pur nella complessità delle sue riflessioni, sostiene l’esatto opposto quando spiega che la memoria “è piuttosto un nulla da cui di tanto in tanto una similitudine attuale ci permette di far riemergere, resuscitati, i ricordi morti…”[3].

Attualmente, sulla base della grande messe di dati proveniente dalla ricerca, possiamo supporre che, seppure tutto ciò che è percepito fosse conservato, lo sarebbe in registri fra loro diversi e, comunque, non tutto sarebbe disponibile per la rievocazione cosciente.

“La memoria è una sinfonia in quattro movimenti: acquisizione, conservazione, trasformazione ed espressione. Era già la concezione di Cartesio secondo cui è possibile incidere una tavoletta di cera che conserverà l’impronta e potrà quindi essere letta in un secondo momento. Al contempo, ci si rende velocemente conto che la memoria non restituisce sempre esattamente ciò che le viene affidato: la tavoletta di cera, lasciata al sole, ha incominciato a sciogliersi e alcuni caratteri si sono cancellati: sarà quindi necessario ricostruire, immaginare in parte quello che vi era scritto.”[4].

Non siamo tutti uguali nell’esercizio dell’abilità ricostruttiva ma, tralasciando i casi eccezionali riportati dalla fantasia narrativa, dalla realtà aneddotica e anche dalla rigorosa documentazione scientifica[5], consideriamo la maggioranza nella quale rientra, oltre chi scrive, quasi certamente anche chi legge queste parole. Per noi, che abbiamo una memoria episodica ordinaria, quali sono le possibilità di rendere presente uno stato mentale associato ad un’esperienza passata? E poi: la sensazione cosciente di aver ricordato è un indice affidabile di rievocazione? Questi interrogativi dovranno attendere, per una risposta esaustiva, gli sviluppi della ricerca cui si è in precedenza accennato.

Lo sforzo di ricostruzione come essenza del processo rievocativo, che riguarda sicuramente i contenuti della memoria episodica autobiografica e le nozioni della cosiddetta memoria semantica, è ormai un concetto consolidato della cultura neuroscientifica, mentre meno esplorato e definito è ciò che porta l’ambiente mentale associato a quelle memorie a ritornare presente ed attivo. Sia pure non direttamente, lo studio qui recensito affronta questo tema perché indaga effetti della rievocazione che dipendono dal “valore” degli elementi rievocati, dallo stato mentale che sono capaci di indurre.

Megane E. Speer e colleghi hanno dimostrato che memorie autobiografiche positive possono manifestare il loro intrinseco valore riemergendo alla coscienza, che il loro richiamo consente di rivivere emozioni positive, reclutare i neuroni del sistema a ricompensa e mostrare inequivocabilmente il grado di importanza per il soggetto nel rapporto col valore materiale di una quota di denaro.

Il punto di partenza degli autori dello studio è stato l’effetto degli evocatori di ricordi felici: sembra che riescano a far ritornare sentimenti piacevoli e sensazioni positive legate all’esperienza originaria, suggerendo l’esistenza di un valore intrinseco nella reminiscenza del passato positivo. Lo studio della base neurale dell’effetto degli evocatori positivi è di notevole interesse, in quanto il circuito neurale sottostante le esperienze gratificanti derivate dai ricordi autobiografici non è stato ancora definito con precisione, sebbene sia stato messo in relazione con il sistema a ricompensa.

Speer e colleghi hanno impiegato la metodica della risonanza magnetica funzionale (fMRI) per valutare, al confronto, le risposte cerebrali a memorie autobiografiche di esperienze caratterizzate da affetti espansivi legati ad uno stato d’animo desiderabile e piacevole, con le risposte a ricordi poco rilevanti e sicuramente privi di connotazione positiva, così da poter essere considerati “neutri”. L’osservazione è stata focalizzata sulle vie nervose dei circuiti cortico-striati, cioè i tratti che collegano la corteccia cerebrale con i nuclei della base encefalica appartenenti al “corpo striato” (principalmente nucleo caudato e nucleo lenticolare, distinto in putamen e pallido). Tali circuiti rispondono in maniera evidente e inequivocabile alla ricompensa materiale costituita da un valore in denaro.

Lo sviluppo e l’accrescersi di emozioni positive durante la rievocazione si accompagnava ad un’accentuazione dell’attività nella corteccia prefrontale mediale e nell’area corrispondente ai nuclei dello striato. Inoltre, si è rilevato che l’impegno delle popolazioni neuroniche dello striato era strettamente correlato con le misure individuali della capacità di recupero delle memorie.

Un rilievo molto significativo è costituito dal fatto che la risposta dello striato alla rievocazione delle memorie positive, era notevolmente maggiore nei partecipanti all’esperimento che, all’esame psicologico eseguito dopo l’esperienza di rievocazione, facevano registrare un miglioramento del tono dell’umore.

Un aspetto di notevole rilievo per l’interpretazione dei risultati riguarda l’esito del confronto con un valore materiale messo in gioco dai ricercatori: i partecipanti sono risultati ben disposti a sacrificare un apprezzabile premio in denaro pur di ottenere la ricompensa affettiva determinata dall’evocazione delle memorie positive del passato. In altri termini, preferivano la gratificazione della rievocazione a quella monetaria.

L’incremento di attività nell’area dello striato durante lo sviluppo di emozioni positive in corso di rievocazione e, ancor di più, la maggiore attività striatale in chi mostrava un miglioramento del tono dell’umore, tendendo all’allegria e all’ottimismo dopo l’esperienza, identificano la principale sede di elaborazione degli effetti positivi ed indicano che il cervello attribuisce all’esperienza positiva ricordata, attraverso il collegamento con i sistemi neuronici specificamente preposti al rinforzo, un valore in sé. Valore intrinseco per il quale è giustificato supporre un’importanza nell’adattamento psicologico alla realtà e nel favorire un equilibrio salutare di tutto l’organismo, attraverso una regolazione delle emozioni positive ed una promozione del benessere.

La registrazione di questi effetti positivi conferma il potere della dimensione immaginaria impiegata in funzione della realtà materiale della fisiologia umana.

In conclusione, se questo genere di studi, basato sull’osservazione mediante fMRI in vivo, non consente di compiere passi in avanti nella definizione esatta di sistemi e processi alla base della rievocazione autobiografica, si rivela però utile nel fornire elementi a supporto dell’impiego terapeutico del richiamo alla coscienza di episodi e circostanze felici, e nel renderci il senso fisiologico attribuito naturalmente a queste memorie in rapporto all’intero organismo.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la collaborazione e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Lorenzo L. Borgia

BM&L-29 novembre 2014

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Cfr. H. Bergson, Opere (1889-1896), Mondadori, Milano 1986.

[2] Cfr. C. Baudelaire, “Spleen” ne I fiori del male, Mondadori, Milano 1989.

[3] M. Proust, Alla ricerca del tempo perduto, tomo II, p. 445, Einaudi, Torino 1981.

[4] Jean-Yves Tadié e Marc Tadié, Il senso della memoria. Dedalo, Bari 2000 (ed. orig.: Gallimard, Paris, 1999).

[5] Mi riferisco al personaggio di Funes, narrato da Borges, ai casi di prodigi mnemonici riferiti nella letteratura psicologica e, infine, alla realtà che supera la fantasia: il paziente S.V. studiato da Luria che ricordava ogni cosa.