Il fascicolo occipitale verticale esiste: risolta una controversia durata un secolo

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XII – 29 novembre 2014.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE/AGGIORNAMENTO]

 

In un dipinto di superba bellezza e crudo realismo dal titolo Lezione di anatomia, Rembrandt fa apparire su una tela gli emisferi cerebrali di un cadavere sezionato dal dottor Joan Deyman. È stata resecata la parte superiore del neurocranio o calotta che, asportata, è nelle mani dell’assistente che si scorge nella parte sinistra della scena. La sensazione è che l’operazione di scalottamento sia appena avvenuta e lo spettatore del quadro si trovi, come uno studente in sala settoria, a scoprire le masse grigiastre e circonvolute, abbondantemente irrigate da vasi sanguigni, che costituiscono gli emisferi cerebrali[1].

La fiducia nell’anatomia era totale a quell’epoca, e lo sarà per molto tempo ancora. Due secoli dopo, infatti, la neuroanatomia avrà la sua “età dell’oro”. Meynert e Forel erano neurologi ed anatomisti; Baillarger, che scoprì la stria di sostanza bianca che porta il suo nome e caratterizza la cito- e la mieloarchitettonica della corteccia cerebrale, era psichiatra[2]. Lo stesso Freud condusse studi di anatomia che sperava fornissero sostegno alla tesi reticolarista, secondo la quale il cervello a differenza del midollo spinale non era costituito da cellule distinte, ma da un sincizio reticolare. Si aveva fiducia nella possibilità che la morfologia rivelasse i segreti della fisiologia e della patologia, ovvero delle funzioni e delle disfunzioni del cervello e della mente.

In quel periodo, dopo l’identificazione dell’area motoria del linguaggio da parte di Broca (1861) nel piede della terza circonvoluzione frontale di sinistra, corrispondente all’area 44 di Brodmann, le osservazioni anatomo-cliniche erano numerose e spesso integrate dalla sperimentazione comparata. Fritsch e Hitzig[3] nel 1870 notarono, nel cane, che stimolazioni elettriche nell’area 4 della corteccia provocavano, secondo la posizione, movimenti dell’arto anteriore, dell’arto posteriore o del collo. Nel 1874 Wernicke riconobbe quale causa dell’afasia fluente una lesione in un territorio corticale corrispondente ad una parte dell’area 22 di Brodmann. In quegli anni si andava diffondendo tra i medici la conoscenza delle idee di Charles Darwin; la sua Origine delle specie per selezione naturale, pubblicata nel 1871, introduceva una nuova prospettiva per lo studio del cervello umano, considerato come una evoluzione di quello della scimmia. In questa temperie Wernicke, nel 1881, scoprì e descrisse nella scimmia il fascicolo occipitale verticale. Si ipotizzò subito l’esistenza nell’uomo di un tratto di sostanza bianca equivalente, magari con caratteristiche indicanti un maggior grado di evoluzione.

Nel 1888 Obersteiner individuò nella corteccia cerebrale del lobo occipitale umano un fascicolo verticale analogo a quello descritto da Wernicke nella scimmia.

Si tratta di una formazione che, per dimensioni e posizione anatomica, può essere inclusa fra le connessioni principali, estendendosi dalla corteccia visiva dorsolaterale a quella ventrolaterale, ponendo così in comunicazione tra loro due sistemi legati alla fisiologia della visione, ma bene individuati da ruoli diversi ed apparentemente indipendenti.

A questo punto, interrompendo il filo di questa introduzione storica, si pone la questione problematica attuale: perché la maggior parte di neurologi, neurobiologi, studiosi della visione e cultori di neuroscienze, incluso chi sta leggendo queste parole, non conosce questo fascicolo? La spiegazione sembra avere cause remote.

Subito dopo la scoperta del fascicolo occipitale verticale cominciarono i problemi: fu messa in dubbio la sua individualità e persino la sua esistenza. Prevalendo le tesi degli scettici, ad un certo punto, si abbandonò la ricerca del suo significato fisiologico, con la conseguenza di un’eclissi del fascicolo dal focus degli interessi correnti e la scomparsa dalla materia di insegnamento accademico. La controversia, sia pure in sordina e lontano dall’attualità del dibattito neuroscientifico, è proseguita per un secolo, fino a quando, grazie alle più avanzate tecniche di indagine morfologica e funzionale, il tratto di sostanza bianca del lobo occipitale è riemerso all’attenzione dei ricercatori.

Jason D. Yeatman e colleghi hanno studiato la storia della diatriba sul fascicolo occipitale verticale, ripercorrendo le fasi che si sono succedute nel corso di un secolo e giungendo alla conclusione che il basso numero di lavori condotti su questo insieme di assoni telencefalici è conseguenza di questo disaccordo che ha avuto inizio già nel 1881 al tempo della prima identificazione in un primate non umano da parte di Wernicke. I ricercatori hanno allora deciso di verificare le misure classiche post-mortem su cui, da Obersteiner in poi, si erano basati i sostenitori dell’esistenza del fascio. Introducendo metodi moderni per lo studio in vivo, hanno caratterizzato con precisione le terminazioni corticali del raggruppamento di cilindrassi e le particolari proprietà “tissutali” della compagine che costituisce la struttura di sostanza bianca.

Yeatman e colleghi fanno notare che le nuove misure da loro fornite costituiscono nuovi elementi di conoscenza circa la comunicazione fra le regioni del flusso ventrale di informazioni, implicate nella percezione della forma, e le regioni del flusso dorsale implicate nel movimento degli occhi e nell’attenzione (Yeatman J. D., et al., The vertical occipital fasciculus: A century of controversy resolved by in vivo measurements. Proceedings of the National Academy of Sciences USA – Epub ahead of print doi:10.1073/pnas.1418503111, 2014).

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Psychology and Center for Cognitive and Neurobiological Imaging, Stanford University, Stanford, California (USA); Institute for Learning and Brain Sciences, University of Washington, Seattle, Washington State (USA).

[contributed by Brian A. Wandell (Oct. 14), reviewed by Charles Gross, Jon H. Kaas, and Karl Zilles].

La XXXIX edizione del Gray’s Anatomy, l’ultima in ordine di tempo, ottima nei suoi capitoli di neuroanatomia per molte ragioni, prima fra tutte l’aver avuto come Editor-in-Chief  Susan Standring, professoressa di neurobiologia sperimentale e neuroanatomista, rappresenta un importante punto di riferimento per la morfologia del sistema nervoso in tutte le facoltà mediche del mondo. Ebbene, come si può verificare leggendo il sottoparagrafo sulle fibre di associazione nel paragrafo dedicato alla sostanza bianca degli emisferi cerebrali, il fascicolo occipitale verticale è assente[4].

Al contrario, il celebre trattato di anatomia di Testut-Latarjet, al quinto libro del terzo tomo, nella trattazione delle “Fibre di associazione proprie del lobo occipitale” indica quattro fasci così ripartiti: α) Strato calcarino; β) Fascicolo occipitale verticale; γ) Fascicolo occipitale trasverso del cuneo (di Sachs); δ) Fascicolo occipitale traverso del lobulo linguale (di Vialet). Si riportano, qui di seguito, le righe dedicate all’argomento di nostro interesse:

“β) Fascicolo occipitale verticale (detto anche fascio occipitale perpendicolare di Wernicke), collega il margine superiore del lobo occipitale alla sua faccia inferiore. Forma una specie di setto verticale teso dalla estremità del cuneo alla terminazione della scissura di Silvio. Tale parete è, necessariamente, attraversata dai fasci longitudinali che abbiamo già visto e dai fasci trasversali”[5].

Gli studi recenti che hanno esaminato l’anatomia del fascicolo occipitale verticale e il suo ruolo in rapporto alla cognizione del cervello umano in vivo, durante l’esecuzione di compiti sperimentali, sono pochissimi. Ma, sulla base di quanto emerso da queste osservazioni, si può affermare che il fascicolo occipitale verticale è l’unico fascio di fibre che connette la regione dorsolaterale della corteccia visiva con la regione ventrolaterale e, conseguentemente, i due diversi ordini di funzioni che sono sotto il dominio delle due aree della corteccia.

Yeatman e colleghi, in persone offertesi volontariamente alla sperimentazione, hanno introdotto un algoritmo per l’identificazione in vivo del fascicolo occipitale verticale mediante DWI (diffusion weighted imaging) e trattografia. In tal modo è stato possibile riconoscere il fascio di sostanza bianca occipitale in tutti i cervelli esaminati (n = 74). Le immagini prodotte mediante risonanza magnetica nucleare hanno consentito uno studio con misure quantitative sulle incidenze rilevate al tempo di rilassamento T1. Tali stime hanno inequivocabilmente dimostrato che alcune proprietà della struttura costituente l’aggregato di assoni studiato, come la mielinizzazione, differiscono da quelle degli altri tratti di sostanza bianca circostante, consentendo un’agevole discriminazione.

Un altro rilievo notevolmente significativo è costituito dal modo in cui sono disposte le estremità terminali delle fibre del fascicolo occipitale verticale nella corteccia del lobo occipitale: la morfologia delle terminazioni, ossia le posizioni assunte dalle parti sinaptiche degli assoni, è coerente con le configurazioni corticali, cioè con i cortical folding patterns delle vie dei flussi di informazione dorsale e ventrale. Tale osservazione assume una particolare importanza alla luce di recenti esiti sperimentali, secondo i quali queste localizzazioni anatomiche indicano, e perciò contrassegnano, anche la transizione citoarchitettonica e funzionale tra corteccia visiva dorsale e ventrale.

Il complesso dei dati raccolti, per il cui dettaglio si rinvia alla lettura integrale del testo del lavoro originale, consente a Yeatman e colleghi di concludere che il fascicolo occipitale verticale probabilmente svolge lo specifico ruolo di porre in comunicazione i segnali di regioni della superficie ventrale importanti per la percezione di categorie visive quali parole, volti umani, corpi in movimento, e così via, e segnali delle regioni situate sulla superficie dorsale, che intervengono nel controllo dei movimenti oculari, nell’attenzione e nella percezione del movimento.

 

L’autore della nota ringrazia il presidente della Società, con il quale ha discusso l’argomento trattato, e la professoressa Monica Lanfredini per la collaborazione. Inoltre, invita alla lettura di tutti gli scritti di neuroanatomia funzionale che compaiono su questo sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-29 novembre 2014

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Il quadro, opera della maturità, è noto anche come La lezione di anatomia del dottor Joan Deyman (1656). Harmenszoon van Rijn, noto col nome di battesimo di Rembrandt, ebbe il suo esordito di fama con la Lezione di anatomia del professor Tulp, a soli 26 anni, nel 1632.

[2] Baillarger (1840) era alienista presso l’ospizio di Charenton, ed esaminò con una lente di ingrandimento sottili sezioni di corteccia cerebrale post-mortem di 30 suoi pazienti, nella speranza di individuare la causa dei disturbi. Nel 1867 Meynert dimostra che la disposizione stratificata osservata ad occhio nudo da Baillarger corrisponde ai 6 strati di neuroni corticali visibili al microscopio e separati dalle strie di sostanza bianca (s. di Baillarger e s. di Gennari).

[3] Erano due medici berlinesi trentaduenni che confutarono le tesi spiritualiste di Flourens, Magendie e Matteucci con esperimenti condotti sul cane in un laboratorio improvvisato in casa. La stimolazione elettrica della corteccia provocante risposte motorie collegava le tesi di Galvani sull’elettricità animale alle tesi di Broca sulla localizzazione.

[4] Cfr. Gray’s Anatomy – The Anatomical Basis of Clinical Practice (Susan Standring, Editor-in-Chief), p. 411 (in “Association Fibres”), Elsevier (Churchill-Livingstone), 2005.

[5] L. Testut e A. Latarjet, Trattato di Anatomia Umana – Anatomia descrittiva e microscopica – Organogenesi (in 6 tomi e 12 voll.) III volume: Sistema Nervoso Centrale - Ghiandole a Secrezione Interna, p. 519, UTET, Torino 1972 (e seguenti).