VBP15 è efficace nella Sclerosi Multipla inibendo fattori proinfiammatori

 

 

SIMONE WERNER

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XII – 22 novembre 2014.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

La sclerosi multipla, malattia demielinizzante del sistema nervoso centrale che ha il suo nucleo patogenetico in una infiammazione autoimmune che porta ad aree di distruzione della mielina assonica con danno tessutale, risponde bene ai trattamenti di fase acuta che caratterizzano l’esordio clinico e le fasi di riaccensione della frequente forma remittente-recidivante. I cortisonici come il prednisolone devono in gran parte la loro efficacia nella sclerosi multipla alla capacità di inibire le vie molecolari pro-infiammatorie (ad es.: NFkB) ma, nonostante l’azione farmacologica e l’efficacia terapeutica si conservino negli anni, il trattamento di lungo termine è fortemente limitato dagli effetti collaterali indesiderati.

Nella terapia della sclerosi multipla si distingue la gestione dei sintomi dagli interventi volti a rallentare il corso della malattia. In alcuni manuali i cortisonici non sono più nemmeno menzionati[1], perché l’attenzione è focalizzata sui farmaci che si ritiene possano “modificare la malattia”.

I β-interferoni approvati per questa indicazione hanno molti effetti immunomodulatori, ma il meccanismo che riduce le recidive è sconosciuto. Il glatiramer acetato, polimero composto di alanina, glutammato, lisina e tirosina, si ritiene blocchi la presentazione dell’antigene e promuova risposte Th2 anti-infiammatorie. Il mitoxantrone causa immunosoppressione inibendo la proliferazione di linfociti B, T e macrofagi, ma presenta il rischio di cardiotossicità e leucemia secondaria. Il natalizumab, anticorpo monoclonale umanizzato diretto contro l’α 4-integrina di cui blocca la funzione, riduce recidive e comparsa di nuove lesioni, ma può essere causa, come altri anticorpi monoclonali interferenti con la funzione leucocitaria, di leucoencefalopatia multifocale progressiva, una malattia demielinizzante fatale mediata da virus. Il fingolimod (FTY720), che si riteneva agisse internalizzando il tipo 1 dei recettori della sfingosina-1-P sui linfociti[2], presenta buona resa clinica e il vantaggio della somministrazione orale, ma la sua efficacia a lungo termine deve ancora essere valutata.

Un approccio terapeutico alternativo consiste nell’agire sulla riparazione, stimolando la rimielinizzazione o promuovendo sopravvivenza e rigenerazione degli assoni. Si tenta l’aumento delle linee cellulari degli oligodendrociti mediante fattori di crescita; si trapiantano cellule con capacità di produrre mielina, quali oligodendrociti, NG2, cellule progenitrici meno differenziate o addirittura cellule con proprietà staminali. Si cerca di creare caratteristiche nell’ambiente extracellulare adatte a promuovere lo sviluppo di nuova mielina riparatrice e, con vari mezzi, a proteggere la salute degli assoni demielinizzati.

In molte circostanze cliniche, comunque, l’efficacia dei cortisonici rimane insostituibile e, come si diceva più sopra, l’ostacolo maggiore per il loro impiego protratto è dato dagli effetti collaterali indesiderati. Recentemente è stato descritto e studiato da vari gruppi di ricerca un composto denominato VBP15 che ha mostrato, accanto ad una notevole efficacia in condizioni sperimentali di infiammazione acuta e cronica, un profilo di effetti indesiderati molto ridotto rispetto ai tradizionali antinfiammatori steroidei agenti sul metabolismo glicidico.

Blythe C. Dillingham e colleghi hanno sottoposto a verifica sperimentale le possibilità di impiego di questa nuova molecola, ottenendo risultati di notevole interesse (Dillingham B. C., et al. VBP15, a Novel Anti-Inflammatory, is Effective at Reducing the Severity of Murine Experimental Autoimmune Encephalomyelitis. Cellular and Molecular Neurobiology – Epub ahead of print doi: 10.1007/s10571-014-0133-y, 2014).

La provenienza degli autori è la seguente: Research Center for Genetic Medicine, Children’s National Medical Center, Washington, DC (USA); Department of Integrative Systems Biology, Children’s National Medical Center and George Washington University, Washington, DC (USA); PharMac LLC, Boca Grande, Florida (USA); ReveraGen BioPharma, Silver Spring, MD (USA).

Blythe C. Dillingham e colleghi hanno studiato nell’encefalomielite autoimmune sperimentale (EAE), modello animale della sclerosi multipla umana[3], il VPB15, questo nuovo composto dalle notevoli proprietà antinfiammatorie.

La molecola è stata sintetizzata sulla base dello scheletro steroideo lazeroide ed è stata scelta fra 20 candidate di una classe di composti distinti dai glucocorticoidi per la conversione chiave di un gruppo idrossilico (-OH) in un doppio legame carbonio-carbonio: C=C (composti Δ-9,11). La scelta si è basata sui risultati dei saggi in vitro, che hanno attestato una maggiore capacità inibitoria di NFkB e, in generale, un profilo superiore nelle altre proprietà molecolari, fisiologiche e farmacocinetiche. Inizialmente, la molecola è stata sperimentata per il trattamento della componente infiammatoria della Distrofia Muscolare di Duchenne (DMD)[4], nei confronti della quale è risultata molto efficace. L’aspetto che ha maggiormente attratto i ricercatori, che si sono basati anche su varie altre osservazioni condotte presso il Children’s National Medical Center di Washington, è il grado di effetti collaterali più basso rispetto a quello dei cortisonici. Lo scopo che si sono prefissi Dillingham e collaboratori è stato valutare e determinare l’entità dell’efficacia di VBP15 nel dominare l’infiammazione causata da una fisiopatologia simile a quella della sclerosi multipla umana, e l’eventuale capacità di inibire la progressione della malattia.

Gli esperimenti condotti sui modelli murini di EAE hanno dimostrato l’efficacia del composto VBP15 nel ridurre sia l’insorgenza della malattia sia la sua gravità in termini di lesioni.

Parallelamente, Dillingham e colleghi hanno condotto uno studio molecolare su macrofagi umani. L’osservazione ha mostrato che VBP15 era capace di inibire la produzione di trascritti proinfiammatori regolati da NFkB nelle cellule umane.

I ricercatori hanno poi comparato l’effetto del prednisolone, cortisonico standard di riferimento nel trattamento della sclerosi multipla, con quello del VBP15 sui principali parametri di misura degli effetti collaterali indesiderati o tossici per l’organismo, quali le azioni protecatabolizzanti che, insieme con la neoglucogenesi, determinano marcati cambiamenti nello stile metabolico e nella fisiologia dell’organismo, accrescendo la vulnerabilità dei tessuti. Il trattamento con prednisolone aumentava l’espressione di geni associati con la perdita di tessuto osseo e con lo sviluppo di atrofia muscolare. Il trattamento con VBP15 non presentava questo quadro di stimolo genetico. Un tale risultato suggerisce la mancanza degli effetti collaterali tipici dei cortisonici.

In attesa di verifiche sperimentali da parte di gruppi di ricerca indipendenti dagli interessi delle case farmaceutiche, si deve tener conto di questi risultati in apparenza molto positivi. D’altra parte, la prudenza è d’obbligo, non per semplice prassi o per un atteggiamento genericamente ispirato allo stile scientifico, ma per le numerose delusioni che la verifica clinica ha inflitto in questi anni alle speranze dei ricercatori.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Ludovica Poggi e invita alla lettura delle numerose recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Simone Werner

BM&L-22 novembre 2014

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Cfr. “Diseases Involving Myelin”, Cap. 39 di Brady, Siegel, Albers, Price (eds), Basic Neurochemistry, Elsevier 2012.

[2] Si vedano: “Note e Notizie 18-01-2011 Il fingolimod è efficace nella sclerosi multipla grazie al suo meccanismo d’azione”; “Note e Notizie 18-02-2012 Introdotto in Italia il fingolimod per la sclerosi multipla”. Il fingolimod è stato considerato il capostipite di una nuova classe di farmaci, i modulatori della sfingosina-1-fosfato (S1P), che agiscono sequestrando i linfociti nei linfonodi e così impedendo loro di entrare nel sistema nervoso centrale e danneggiarlo. Grazie agli studi di Choi e colleghi dell’Università della California a San Diego e di altri gruppi di ricerca, si è identificato un meccanismo d’azione non immunologico prevalentemente diretto agli astrociti, consistente nel determinare in queste cellule, e verosimilmente in altre classi cellulari del SNC, la perdita del recettore S1P1 della sfingosina-1-fosfato attraverso un antagonismo funzionale.

[3] Si ricorda che esistono varie tipologie di modelli sperimentali di sclerosi multipla: modelli virali (basati sull’ipotesi dell’innesco virale, come nella leucoencefalopatia multifocale progressiva da JC papovavirus infettanti gli oligodendrociti e nella panencefalite sclerosante subacuta da virus del morbillo); encefalomieliti allergiche sperimentali (costituiscono i modelli più usati: sono indotte impiegando in genere come molecola immunogenica MBP, PLP o MOG); tossine (con cuprizone e lisolecitina si induce demielinizzazione; però le lesioni da cuprizone guariscono spontaneamente ed entrambe le tossine non creano le componenti infiammatorie della SM; sono i modelli meno usati).

[4] Heier C. R., et al., EMBO Molecular Medicine (2013) 5, 1569-1585.