Come la Stimolazione Spinale (SCS) allevia i sintomi motori nel Parkinson

 

 

GIOVANNI ROSSI & GIOVANNA REZZONI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XII – 22 novembre 2014.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

I limiti della terapia farmacologica della malattia di Parkinson, e soprattutto le forme intrattabili di discinesia da L-DOPA, hanno reso la stimolazione profonda del cervello (DBS, da deep brain stimulation) una terapia di elezione per molti pazienti in trattamento da anni. Nella realtà clinica, però, solo una piccola frazione di candidati si sottopone all’intervento chirurgico che colloca gli elettrodi all’interno del cervello, con lo stimolatore inserito in una tasca creata presso la parte rostrale del muscolo pettorale al di sotto della clavicola. Il numero di pazienti che accetta la DBS è limitato soprattutto per la natura invasiva di questo presidio terapeutico, ma anche per i rischi che, talvolta, preoccupano gli stessi medici.

Recentemente è stata sperimentata, con risultati significativi, la stimolazione epidurale del midollo spinale (SCS, da spinal cord stimulation) come trattamento sintomatico alternativo alla DBS nella malattia di Parkinson. La bassa invasività e il notevole miglioramento della sintomatologia motoria hanno superato lo scetticismo di molti, per una procedura che non agisce in maniera diretta sul sistema dopaminergico nigro-striatale o sui nuclei cerebrali delle vie interessate dal processo neurodegenerativo. Rimane, tuttavia, un problema di notevole rilievo: i meccanismi all’origine del miglioramento motorio sono sconosciuti.

Maxwell B. Santana, Pär Halje e colleghi guidati da Miguel Nicolelis, il neuroscienziato brasiliano noto per i suoi studi sul codice neurale, hanno indagato in un modello sperimentale di parkinsonismo in primati non-umani i meccanismi ancora ignoti dell’efficacia sui sintomi motori della SCS. I primi risultati sono degni di nota (Santana M. B., et al. Spinal Cord Stimulation Alleviates Motor Deficits in a Primate Model of Parkinson Disease. Neuron – Epub ahead of print doi: http://dx.doi.org/10.1016/j.neuron.2014.08.061, 2014).

La provenienza degli autori è la seguente: Edmond and Lily Safra International Institute of Neuroscience of Natal, Natal (Brasile); State University of Rio Grande do Norte, RN, Mossoro (Brasile); Biomedical Engineering, Center for Neuroengineering, Department of Neurobiology, Department of Psychology and Neuroscience Duke University, Durham (USA); Integrative Neurophysiology and Neurotechnology, Neuronano Research Center, Department of Experimental Medical Sciences, Lund University (Svezia).

Si considera candidato ideale per la DBS il paziente nel quale, dopo vari anni di trattamento farmacologico, si verifica una totale perdita di efficacia delle terapie standard ma, soprattutto, si è sviluppata una discinesia da L-DOPA progressivamente divenuta intrattabile. La stimolazione bilaterale del globo pallido (o nucleo pallido, parte mediale del nucleo lenticolare) sembra essere equivalente per efficacia a quella del nucleo subtalamico. La distonia, sia quando presente fra i sintomi d’insorgenza della malattia sia quando causata dai farmaci, sembra beneficiare della stimolazione, in particolare nel caso della collocazione degli elettrodi nel pallido.

Vari gruppi che hanno studiato gli effetti terapeutici e collaterali della DBS, hanno rilevato il pericolo di un lieve declino della funzione cognitiva, ma tale deterioramento non è tanto evidente per alcuni parametri della prestazione, come ad esempio la velocità di elaborazione, nella stimolazione del pallido. Fra i principali rischi vi è quello di emorragia nel territorio dei gangli basali e di infezione locale nell’area dello stimolatore. Sono stati registrati anche casi di depressione e suicidi nel corso di studi clinici controllati per la valutazione della DBS nella malattia di Parkinson.

Le scuole mediche dovrebbero sempre preparare alla valutazione dell’impatto di una terapia sulla vita dei pazienti. In particolare, in malattie croniche quali le patologie neurodegenerative, il medico non dovrebbe limitarsi a considerare astrattamente il rapporto fra rischi e benefici potenziali, ma dovrebbe approfondire la conoscenza della psicologia e delle condizioni di vita del paziente per aiutarlo a fare le scelte migliori nel miglior modo possibile. A parte le reazioni psicologiche all’intervento e poi alla consapevolezza di avere dei corpi estranei metallici nel cervello, deve essere preso in considerazione in anticipo il problema relativo al modo in cui ciascuno, con la propria personalità e il proprio stile di adattamento alla realtà, potrà gestire la quotidianità. L’atteggiamento, infatti, varia da “ho un piccolo segreto che mi consente di essere normale” a “in queste condizioni non vale la pena vivere”.

L’affidamento del paziente ad uno psicologo non è una soluzione che possa esimere il medico dal farsi carico di questi problemi e dall’intervenire opportunamente quando richiesto, per una serie di ragioni. Prima tra queste, la frequente individuazione da parte dei pazienti del medico esperto della malattia e della terapia quale vero interlocutore per i dubbi, le paure e le preoccupazioni. È facile comprendere cosa si verifichi: il sapere scientifico congiunto all’esperienza pratica conferisce alla comunicazione del medico un “potere di realtà e verità” che può determinare effetti di rassicurazione incomparabilmente maggiori di quelli prodotti dalla disponibilità all’ascolto e da qualche frase di incoraggiamento di uno psicologo che, quando non neutralizzato dal sospetto di recitare una parte per motivi professionali, spesso non va molto oltre l’effetto di un conoscente che prova simpatia e solidarietà umana.

Un’altra ragione della necessità da parte del medico di curare l’aspetto psicologico dell’ammalato di Parkinson avviato alla DBS, è dato dalla conoscenza delle principali forme di espressione clinica dell’interessamento patologico di altre parti del cervello, per l’estensione dei processi propri della malattia o per la concomitante presenza o l’incipiente sviluppo di un altro quadro patologico (es.: associazione Demenza/Parkinson).

Infine, accanto alle peculiarità della DBS, il paziente parkinsoniano sottoposto ad elettrostimolazione presenta tutte le problematiche tipiche dei pazienti a regime terapeutico cronico, che sono oggetto di studio nei corsi di formazione universitaria dei medici. L’osservazione del paziente nel periodo di adattamento alla terapia farmacologica, può fornire elementi di conoscenza importanti per prevedere le reazioni alla stimolazione cerebrale. Un aspetto di particolare rilievo è rappresentato dalla possibilità di distinguere i sintomi psichici direttamente o indirettamente causati dalla malattia, dalle manifestazioni di disadattamento alla terapia con DBS.

Fatte queste premesse sulla DBS, si comprende come non tutti i problemi che questa terapia comporta siano superati con l’impiego della SCS, ma è evidente che si elimina il problema maggiore, cioè l’impianto degli elettrodi nella profondità del cervello, che è anche la principale fonte di problematiche di adattamento sviluppate nel tempo.

Veniamo ora al lavoro di Nicolelis e colleghi. I ricercatori, che fanno capo ad istituti di Brasile, Stati Uniti e Svezia, hanno sperimentato la SCS su scimmie affette da una forma di patologia che costituisce un modello sperimentale di malattia di Parkinson in quanto ricapitola tutti i principali elementi neuropatologici e clinici. La SCS è stata posta a confronto con il principale trattamento farmacologico attualmente in uso in clinica (L-DOPA) e con la DBS.

In estrema sintesi, la registrazione neuronica multipla da varie strutture, la cui attività elettrica è stata rilevata contemporaneamente, ha mostrato nel loop costituito da corteccia cerebrale-nuclei della base encefalica-talamo un’attività neuronica patologicamente sincronizzata all’interno dei nuclei e della corteccia, e un eccessivo accoppiamento funzionale fra le strutture stesse. La SCS ha interrotto questo andamento funzionale in un modo che ha riprodotto l’effetto della terapia farmacologica sostitutiva con levodopa o della stimolazione cerebrale mirata con DBS.

Le scimmie erano affette da una forma grave di parkinsonismo sperimentale che ne condizionava in maniera molto marcata la motricità: gli effetti terapeutici della SCS sono perciò risultati di drammatica efficacia. La SCS sembra agire come una compensazione del deficit dopaminergico nigro-striatale, influendo sui circuiti dell’encefalo delle scimmie parkinsoniane in modo da determinare tanto la scomparsa della sincronizzazione anomala nelle popolazioni neuroniche che prendono parte alle connessioni fra corteccia, gangli basali e talamo, quanto l’eccesso di accoppiamento funzionale fra queste aree.

Il dato di rilievo, e dal quale prendere le mosse per ulteriori indagini volte a chiarire i meccanismi dell’effetto terapeutico della SCS, è che la stimolazione epidurale delle vie che attraversano il midollo spinale produce effetti in gran parte sovrapponibili sia a quelli della stimolazione del pallido e del nucleo subtalamico sia a quelli prodotti fornendo un precursore  metabolico del neurotrasmettitore carente per la perdita dei neuroni che lo biosintetizzano e lo impiegano per la segnalazione. È perfino superfluo sottolineare l’importanza della comprensione dei meccanismi e, conseguentemente, della precisa ragione neurofunzionale di questa equivalenza.

I confortanti risultati ottenuti dal gruppo guidato da Nicolelis rendono ancora più attuale il problema dell’accettazione e dell’adattamento alle terapie di stimolazione, ancora poco diffuse e impiegate nella maggior parte del mondo.

Probabilmente, la maniera migliore di avviare una riflessione e poi uno studio, consiste nel cominciare da se stessi, ponendosi il problema del personale atteggiamento che si avrebbe se si fosse di fronte alla decisione di intraprendere o meno simili trattamenti. E così abbiamo deciso di fare: uno di noi (Rossi) non avrebbe problemi a sottoporsi a DBS e SCS; l’altra (Rezzoni) accetterebbe di buon grado la SCS, ma mai la DBS.

Abbiamo allora pensato di rivolgere la domanda ad altri soci, colleghi di lavoro e conoscenti. Consapevoli che i dati raccolti in un tale modo informale, non seguendo criteri che definiscano il campione e i metodi di analisi, sono privi di valore scientifico e probante, ma certi che possano fornire indicazioni generiche sull’opportunità e sui modi di condurre un vero studio statistico, abbiamo proceduto facendo seguire alla domanda su DBS ed SCS altri interrogativi collegati.

Praticamente tutti gli interrogati (medici, ricercatori e qualche studente universitario) si sono detti disposti a sottoporsi ad SCS, mentre la grande maggioranza teme o rifiuta del tutto la DBS. Uno di noi (Rossi), prefigurando una possibilità neurologicamente irrealistica, ma psicologicamente suggestiva, ha proposto un interrogativo al quale è stata data da molti una risposta inattesa. Si è chiesto se la stimolazione fosse limitata alla corteccia, con elettrodi impiantati attraverso un intervento chirurgico come nella di DBS, ma penetranti solo per poco più di un centimetro, cosa avrebbero deciso. Ebbene: oltre la metà di coloro che rifiuta la DBS accetterebbe questo tipo di impianto. È evidente che a spaventare di più è l’idea di avere degli elettrodi che attraversano tutto il cranio giungendo nella profondità del cervello; almeno, fra le persone intervistate da noi. Sarebbe interessante verificare in uno studio condotto con tutti i crismi della significatività, su un numero elevato di persone, se le risposte sono tanto diverse.

Una riflessione più generale andrebbe fatta sulle terapie basate sulla stimolazione di sistemi neuronici. In particolare, è opportuno chiedersi se allo stato attuale delle conoscenze e delle possibilità di verifica sperimentale, siamo realmente in grado di escludere effetti nocivi, soprattutto per trattamenti protratti.

In realtà, i saggi di laboratorio su animali risentono di vari limiti, due dei quali sono particolarmente evidenti: 1) il rilievo di azioni indesiderate o tossiche, che è ristretto solo a quelle che inducono effetti comportamentali evidenti; 2) la durata delle stimolazioni sperimentali, in genere nemmeno lontanamente comparabile con la durata di un trattamento clinico cronico.

È ragionevole supporre che un intervento artificiale che sbilancia in termini di intensità l’attività di un sistema rispetto agli altri con i quali è in connessione sinergica o antagonistica, determini per lo meno una condizione di “impegno funzionale” per il ripristino dello stato fisiologico  di base.

Se si considera che la regolazione della funzione nervosa, dal livello genetico a quello dei sistemi neuronici, è realizzata attraverso equilibri dinamici continuamente ristabiliti grazie a meccanismi fisiologici a feedback, feed-forward, adattamenti reciproci e simili, e si considera che perfino il prototipo della “rottura degli equilibri”, ossia la risposta allo stress, prevede l’intervento di processi e meccanismi tendenti al ripristino dell’equilibrio di base, è lecito chiedersi se la forzatura funzionale artificiale di alcuni sistemi non determini, dopo un certo tempo, una reazione o una risposta tendente al “compenso”. Tale risposta è, a nostro avviso, molto probabile, a meno che non si dimostri che nelle specifiche condizioni in cui si impiega il trattamento, la fisiopatologia configuri uno stato di disequilibrio che la stimolazione riconduce all’equilibrio fisiologico. Sulla base di dati recenti, e anche di quanto emerso dallo studio qui recensito, sembra che nel caso della stimolazione elettrica terapeutica nella malattia di Parkinson si sia in presenza di una condizione di squilibrio patologico determinato dalla malattia che la stimolazione correggerebbe.

È difficile credere che una stimolazione che modifichi per anni in maniera consistente l’attività elettrica di un sistema, tanto da spostare la prestazione comportamentale da un livello di insufficienza funzionale ad un livello di efficienza ottimale, sia priva di conseguenze fisiologicamente rilevanti. Se poi tali conseguenze possano addirittura configurare stati di funzionamento patologico è da indagare e verificare. Intanto, sembra che l’efficacia della SCS consenta di dare una buona notizia ai prossimi candidati alla DBS.

 

Gli autori della nota ringraziano la dottoressa Isabella Floriani per la collaborazione e invitano alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi & Giovanna Rezzoni

BM&L-22 novembre 2014

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