Notule
(A cura
di LORENZO L. BORGIA)
NOTE
E NOTIZIE - Anno XII – 15 novembre 2014.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di
studio dei soci componenti lo staff dei
recensori della Commissione Scientifica
della Società.
[Tipologia del testo: BREVI
INFORMAZIONI]
I nuovi neuroni prodotti ogni giorno nel giro dentato del nostro ippocampo facilitano la formazione e la separazione di nuove memorie. Al contrario, i vecchi neuroni sono indispensabili per la rievocazione di episodi del passato.
La fibromialgia, una frequente sindrome dolorosa cronica di eziologia non definita, che interessa estesamente muscoli ed articolazioni, potrebbe avere origine in un danno del sistema nervoso periferico, espresso come assenza di terminali nervosi e spontanea attivazione di fibre dolorifiche. L’ipotesi, pubblicata quest’anno sugli Annals of Neurology, deriva dal rilievo da parte del neurologo Jordi Serra di questi elementi patologici, già riscontrati nella polineuropatia delle piccole fibre (SFPN), in pazienti fibromialgici.
Cambiando lingua possono cambiare i pensieri e perfino le opinioni, secondo alcuni studi recenti. Impiegare un idioma diverso da quello natio, comporta una ridotta attivazione di circuiti implicati nella mediazione di emozioni e stati affettivi, favorendo uno stile di pensiero più razionale e tendente al giudizio decisionale. Questo “effetto lingua straniera” è stato attribuito al fatto che la seconda lingua sarebbe usata costantemente in contesti comunicativi poco carichi affettivamente. Si può anche notare che il cervello registra, fin dall’apprendimento scolastico o mediante corsi, un elemento di artificio legato al compito che, congiunto con la necessità di attenzione cosciente per trovare le parole giuste, la forma grammaticale corretta ed un’efficace resa del proprio pensiero nella conversazione reale, seleziona un setting mentale prevalentemente cognitivo-razionale. La lingua madre o una seconda lingua appresa precocemente, e quindi pensata e parlata come la propria, non richiedono questo sforzo cognitivo cosciente e l’artificio di occuparsi in eccesso dello strumento comunicativo; sicché il pensiero spontaneo, con le sua struttura di senso legata anche ai valori affettivi che sono parte di una memoria identitaria irrinunciabile, trova diretto accesso all’esecuzione verbale.
Se gli studi sono focalizzati sugli automatismi cerebrali che sono naturalmente più interessanti degli adattamenti coscienti che si fanno nell’uso di una seconda lingua, nella realtà della comunicazione queste scelte possono avere un peso notevole (si pensi alla rinuncia a comunicare un pensiero articolato o astrazioni complesse per scarsa padronanza della sintassi e dell’idiomatica). Considerando questo aspetto diventano importanti la psicologia della persona e la distanza grammaticale fra la lingua madre e la seconda lingua (ad es.: italiano e cinese mandarino).
Sono molte le persone che, pur sapendo esprimersi e comunicare efficacemente in due o tre lingue, preferiscono la madrelingua per trattare argomenti delicati. Sarà per questo che al Parlamento Europeo si spende una gran parte del budget per interpreti e traduttori?
L’iperattività nell’ippocampo ventrale associata alle psicosi umane e a difetti comportamentali in modelli animali di schizofrenia ed altre psicosi, si è ritenuta una conseguenza di un difetto di attività di neuroni inibitori rilascianti GABA, anche se tale ruolo causale non era mai stato provato. Ora, in uno studio pubblicato sull’ultimo numero del Journal of Neuroscience, è stata dimostrata la diretta responsabilità di due popolazioni di interneuroni inibitori GABAergici dell’ippocampo ventrale nel causare i difetti comportamentali connessi con le psicosi.
Un visitatore del sito, dopo essersi profuso in lodi e apprezzamenti per l’articolo del professor Rossi sulla coscienza, ci ha comunicato di essere “Sorpreso e dispiaciuto per l’arrogante disprezzo con cui sono state liquidate le teorie fisiche della coscienza”. Il visitatore è un fisico nucleare del quale non riveliamo l’identità, perché non espressamente autorizzati, ma che conosciamo ed apprezziamo per preparazione e rigore nel suo campo di studi. Il professor Rossi, del quale chi scrive si fa portavoce, si dispiace a sua volta per aver urtato la sua sensibilità, ma ribadisce che quelle congetture erronee non meritano l’appellativo di “teorie”. Al contrario, il nostro interlocutore merita la massima considerazione, pertanto, in riferimento all’applicazione della meccanica quantistica ai fenomeni della coscienza, proponiamo una sintesi di un articolo ormai considerato come la risposta della comunità neuroscientifica a questo genere di ipotesi, e al quale rimandiamo per ogni dettaglio (Kock C. & Hepp K., Quantum mechanics and higher brain functions: Lessons from quantum computation and neurobiology. Nature 440, 611-612, 2006).
Alcuni studiosi hanno proposto che comportamenti quantici macroscopici possano essere alla base della coscienza. In proposito, di particolare interesse è l’entanglement, ovvero l’osservazione che gli stati quantici di oggetti multipli, così come due elettroni accoppiati, possono essere altamente correlati anche se sono spazialmente separati, violando la nostra intuizione circa la località (l’entanglement è anche l’elemento chiave della meccanica quantistica che si spera di poter sfruttare per i computer quantici, come ci ricorda il nostro interlocutore). Il ruolo della meccanica quantistica in alcuni fenomeni fisici che si verificano negli organismi biologici, come nel caso dei fotoni ricevuti dall’occhio, è incontrovertibile, ma non vi sono evidenze che alcuna componente del sistema nervoso – un tessuto umido alla temperatura di 37°C fortemente associato al suo ambiente circostante – possa manifestare l’entanglement quantico. E, anche se l’entanglement quantico si verificasse all’interno di singole cellule, la diffusione delle molecole, la genesi e la propagazione del potenziale d’azione, il principale meccanismo per la trasmissione dell’informazione fra neuroni, distruggerebbero la sovrapposizione. Al livello cellulare le interazioni fra neuroni, come dimostrato da decenni di ricerche, sono governate dalla fisica classica.
Se il nostro visitatore non è soddisfatto da questa sintesi, allora gli auguriamo una buona lettura del testo integrale dell’articolo di Koch e Hepp!