Memorie ippocampali rese persistenti da neuroni mesencefalici
LORENZO L. BORGIA
NOTE
E NOTIZIE - Anno XII – 08 novembre 2014.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di
studio dei soci componenti lo staff dei
recensori della Commissione Scientifica
della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Immaginiamo di essere stati rapiti e portati in una piscina riempita di un fluido opaco che nasconde, subito sotto la superficie, una piattaforma sulla quale si potrebbe montare per evitare di finire completamente immersi nel fluido e, se non si sa nuotare, inabissarsi. In una tale situazione saremmo per lo meno preoccupati, ma sicuramente ben attenti e pronti ad impiegare al meglio le nostre risorse cognitive. Questo dovrebbe essere, più o meno, lo stato mentale di un topo condotto al Morris Water Maze, un test di laboratorio di frequente uso. Generalmente, gli animali sono rilasciati intorno alla loro piccola piscina tonda con un criterio casuale, in modo da non prediligere alcuna parte della circonferenza esterna in rapporto al punto in cui è posta la piattaforma, e fare in modo che la rassicurante superficie che si eleva dal fondo sia raggiunta casualmente. Dopo qualche ripetizione della prova, i topi imparano ad individuare la localizzazione della piattaforma e a ricordarla grazie ad elementi spaziali contestuali presenti sulle pareti della camera in cui è posto il contenitore circolare del fluido ed adottati dal topo come contrassegni di orientamento.
Il Morris Water Maze consente l’esecuzione della più nota ed impiegata prova di memoria spaziale, che dipende in maniera assoluta da funzioni ippocampali e richiede un ippocampo integro per poter essere correttamente eseguita[1]. Una vasta mole di esperimenti condotti secondo vari e distinti approcci sperimentali ha dimostrato che la memoria spaziale necessaria per questa prova, e più in generale la memoria spaziale dei mammiferi, richiede lo sviluppo di potenziamento sinaptico a lungo termine (LTP, da long-term potentiation). Infatti, bloccando i recettori NMDA necessari per generare LTP e formare la memoria, i topi non riescono a ricordare dove sia la piattaforma.
Ma la persistenza dell’LTP e della conseguente memoria a lungo termine, richiede altri meccanismi che implicano l’intervento di PKMζ. Infatti, come dimostrarono Todd Sacktor e colleghi, l’iniezione nell’ippocampo di un inibitore di PKMζ un giorno dopo che l’animale era stato sottoposto con successo al training per il compito di memoria spaziale, cancellava la memoria acquisita. Evidenze più dirette delle basi della persistenza della memoria spaziale sono state fornite con innumerevoli esperienze condotte con topi mutanti e transgenici. Esperimenti come quelli di Mark Bear e colleghi hanno dimostrato il collegamento fra la memoria spaziale a lungo termine e il rinforzo della trasmissione sinaptica ippocampale, monitorando la forza della trasmissione nelle sinapsi dei collaterali di Schaffer nella regione CA1 dell’ippocampo.
Ora, Colin G.
McNamara e colleghi, usando una procedura di
fotostimolazione optogenetica, hanno dimostrato che neuroni dopaminergici
mesencefalici possono svolgere un ruolo di assoluta importanza nella
persistenza della memoria spaziale dipendente dall’ippocampo (McNamara C. G., et
al., Dopaminergic neurons promote
hippocampal reactivation and spatial
memory persistence. Nature Neuroscience - Epub ahead of print doi:
10.1038/nn.3843, 2014).
La provenienza
degli autori è la seguente: Medical Research Council Anatomical
Neuropharmacology Unit, Department of Pharmacology, University of Oxford,
Oxford (Regno Unito).
Il lavoro qui recensito, che è in realtà uno studio preliminare da approfondire e sarà pubblicato su Nature Neuroscience come “comunicazione breve”, ha rilevato un intervento di popolazioni neuroniche dell’area tegmentale ventrale (VTA) del mesencefalo murino nelle dinamiche funzionali delle reti ippocampali implicate nei processi di riattivazione e nella persistenza della memoria a lungo termine spaziale.
McNamara e i colleghi dell’unità di neurofarmacologia anatomica, coordinati da Dupret, hanno studiato fibre assoniche costituenti nell’ippocampo terminali sinaptici rilascianti dopamina e provenienti da popolazioni dopaminergiche della VTA. In topi indotti all’esplorazione di ambienti nuovi, sono state erogate scariche di stimolazione optogenetica su tali fibre, che formano giunzioni con neuroni ippocampali, ottenendo la riattivazione di gruppi estesi di cellule piramidali nel corso della successiva fase di sonno/riposo.
In effetti, l’osservazione ha mostrato il rinforzo della riattivazione mediata da SWR (sharp wave/ripple, attività compresa fra 150 e i 250 Hz). Come è noto, da lungo tempo gli eventi ippocampali SWR sono stati messi in relazione con il consolidamento della memoria. Per inciso, si ricorda che uno degli autori di questo studio, David Dupret, ha pubblicato una rassegna dei lavori che hanno indagato altri ruoli dell’attività SRW presente nel comportamento attivo durante la veglia dell’animale, fra cui il rinforzo dell’associazione funzionale di ampi raggruppamenti cellulari e la memoria di funzionamento spaziale (spatial working memory)[2].
Quando la fotostimolazione dopaminergica è stata applicata durante l’apprendimento spaziale di nuove localizzazioni di scopo delle azioni (meta), l’accresciuta attività sinaptica ippocampale di questi neuroni della VTA migliorava il richiamo laterale delle rappresentazioni neurali dello spazio e stabilizzava le prestazioni di memoria.
I risultati ottenuti da questa sperimentazione rivelano un’incidenza diretta, da parte di popolazioni di cellule dopaminergiche mesencefaliche, sulla dinamica delle reti dell’ippocampo alla base della persistenza della memoria.
L’autore della nota ringrazia la
dottoressa Isabella Floriani e invita alla lettura delle recensioni di
argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare
il motore interno nella pagina “CERCA”).
[1] Esiste anche una versione non contestuale del test, spesso impiegata per studi su ansia e depressione, che si realizza con una piattaforma sopraelevata sul livello dell’acqua, ben visibile e resa ancora più evidente da marcatori colorati, come bandierine o simili. In questo caso non è indispensabile la funzione dell’ippocampo, e i roditori nuotano direttamente verso la piattaforma adottando altre vie nervose cerebrali. Dall’alto della piattaforma, l’animale può rivelare acrofobia.
[2] Csicsvari
J. & Dupret D.,
Phil. Trans. R. Soc. [Doi:
10.1098/rstb.2012.0528] vol. 369 no. 1635, February 2014.