Nuovo bersaglio per i farmaci nel dolore cronico

 

 

NICOLE CARDON & LUDOVICA R. POGGI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XII – 08 novembre 2014.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Il dolore cronico è caratterizzato da una fisiopatologia del tutto diversa da quella del dolore acuto e il suo trattamento propone ancora numerosi problemi insoluti[1]. Oltre a caratterizzarsi per una patogenesi ben connotata e distinta da quella del dolore acuto, il dolore cronico, se non trattato o trattato in modo inefficace, si fa responsabile di una peculiare condizione umana, quella del sofferente. In questo stato, l’intensa partecipazione psichica al dolore fisico compromette la qualità della vita e può esprimersi in forme cliniche che vanno dai disturbi ansiosi a quelli depressivi, spesso generando circoli viziosi che aggravano la sintomatologia.

Un tale tipo di problema potrebbe da solo giustificare e motivare il notevole impegno che sta profondendo la ricerca. Se molti tra gli studi più recenti in questo campo hanno rivelato un’estensione ed una complessità di meccanismi e processi impensabile fino a qualche decennio fa e quasi scoraggiante per entità e difficoltà, molte altre osservazioni hanno suggerito nuove possibilità di intervento.

La maggior parte dei neuroni che ricevono gli stimoli dolorifici da tutta la periferia corporea e li trasmettono al midollo spinale, è costituita da cellule nervose eccitatorie che impiegano il glutammato come neurotrasmettitore[2]. Le proteine trasportatrici del glutammato ad alta affinità (GluTs, da glutamate transporters) regolano le concentrazioni extracellulari di acido glutammico, in tal modo modulando la segnalazione eccitatoria nei circuiti nocicettivi.

Gegelashvili e Bjerrum, nel fare il punto delle conoscenze sulle proteine trasportatrici del glutammato ad alta affinità nel dolore cronico, indicano una nuova prospettiva terapeutica (Georgi Gegelashvili & Ole J. Bjerrum, High-affinity glutamate transporters in chronic pain: an emerging therapeutic target. Journal of Neurochemistry - Epub ahead of print doi: 10.1111/jnc.12957, 2014).

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Drug Design and Pharmacology, Faculty of Health and Medical Sciences, University of Copenhagen, Copenhagen (Danimarca); Institute of Chemical Biology, Ilia State University, Tbilisi (Georgia).

Ricordiamo qualche nozione di base sul trasporto attivo di ioni e molecole attraverso le membrane cellulari, che può aiutare ad aver presente il ruolo intrinseco di regolazione affidato dalla cellula ai mediatori di spostamento.

I trasportatori attivi primari sono proteine di membrana che intervengono in molte delle funzioni neurali più elementari. Operano una trasduzione dell’energia libera prodotta dall’idrolisi dell’ATP in energia elettrochimica che è immagazzinata nei gradienti di concentrazione di Na+, K+, Ca2+ e protoni. Tali accumuli di energia sono impiegati dalle proteine-canale di membrana per la segnalazione e dai trasportatori secondari di membrana che selettivamente concentrano molti altri ioni e molecole.

I trasportatori attivi secondari dipendono da un gradiente ionico per trasportare i loro specifici ligandi attraverso le membrane ed assolvono molte funzioni neurali, quali: 1) impacchettare il neurotrasmettitore nelle vescicole; 2) terminare il segnale presso le sinapsi; 3) trasportare metaboliti.

Vi sono poi i facilitatori e i canali ionici.

Questo piccolo quadro riassuntivo ci aiuta a collocare nella dimensione della fisiologia di membrana il trasporto attivo secondario, nel quale rientra il trasporto del glutammato.

I trasportatori secondari, come più sopra accennato, impiegano energia immagazzinata in gradienti ionici per trasportare altri ioni e molecole contro resistenza. Molti di questi agiscono da simporter o antiporter associati a gradienti di sodio o protoni. La nomenclatura sistematica dei trasportatori secondari deriva da un’analisi genomica dei rapporti evoluzionistici fra i membri di una grande famiglia di “solute carriers” (SLC). Le proteine SLC1 comprendono tanto simporter del glutammato quanto alcuni trasportatori di aminoacidi e acidi carbossilici espressi nei batteri.

Le proteine simporter del glutammato cerebrale sono proteine trasportatrici ad alta affinità del glutammato (GluT) codificate da 5 geni diversi ma strettamente correlati: SLC1A1-4 ed SLC1A6.

I GluT simporter possono tutti trasportare contemporaneamente una molecola di glutammato con 3 Na+ e un H+, e veicolare come antiporto un K+ per ogni ciclo, ma differiscono nell’espressione cellulare. Le isoforme hanno interazioni di regolazione diverse e sono espresse in differenti tipi cellulari. Si presume e si studia la coordinazione dei GluT simporter con altri trasportatori e strutture sinaptiche, in quanto sono responsabili del controllo per l’accesso nel cervello del principale neurotrasmettitore eccitatorio e della protezione dall’eccitotossicità. La loro densità e la loro distribuzione sono regolate a livello di trascrizione e di post-traduzione. Un mutante di SLC1A2 è responsabile di una forma di sclerosi laterale amiotrofica, mentre il deficit di GAST o di GLT-1 causa nel topo convulsioni letali.

La mancata regolazione della concentrazione di glutammato nei compartimenti sinaptico, extracellulare e citosolico conduce a stati patologici critici.

Il glutammato extracellulare, e particolarmente quello della fessura sinaptica, deve essere tenuto a bassi livelli. La concentrazione del glutammato totale nel cervello è circa 10 μm/l, mentre quella extracellulare è normalmente solo di 3-4 μm/l; i GluT possono ridurla nella fessura sinaptica a 0,6 μm/l o meno. In condizioni anossiche o di depolarizzazione che consumano le riserve di ATP, il potenziale di membrana e i gradienti del sodio e del potassio possono ridursi a livelli tali da non consentire la funzione dei trasportatori o da determinare il funzionamento all’inverso, producendo un aumento da 100 a 1000 volte della concentrazione del glutammato extracellulare: questa grave condizione di scompenso è definita eccitotossicità.

Qui di seguito si sintetizzano i punti salienti della rassegna di Gegelashvili e Bjerrum.

I membri della famiglia SLC1A di proteine trasportatrici del glutammato ad alta affinità (GluT) sono espressi in maniera differenziata nei neuroni sensoriali e nelle cellule gliali che li circondano. Queste proteine della membrana plasmatica, insieme con lo scambiatore glutammato/cistina, catena leggera dello scambiatore cistina/glutammato, sono responsabili della “sintonia fine” delle concentrazioni del glutammato extracellulare e, perciò, della modulazione della segnalazione eccitatoria nel midollo spinale. Dati emergenti suggeriscono ruoli chiave dei GluT nei meccanismi molecolari del dolore cronico e dell’analgesia, incluso lo sviluppo di tolleranza agli oppioidi[3].

I risultati coerenti e concordanti di vari studi stanno tracciando il profilo del ruolo di queste proteine trasportatrici del neurotrasmettitore monoamminobicarbossilico negli stati fisiopatologici dovuti all’attivazione delle vie nocicettive. Impiegate singolarmente, l’inibizione farmacologica e la antisense down-regulation dei GluT spinali, possono indurre, o aggravare quando già presenti, manifestazioni comportamentali di dolore. Al contrario, l’aumento di espressione delle molecole trasportatrici ad alta affinità mediante il trasferimento con vettori virali dei loro geni nei roditori o mediante modulatori farmacologici positivi, può mitigare il dolore cronico.

Un altro importante capitolo di questa ricerca riguarda farmaci sperimentati in un passato ormai remoto ed impiegati in terapia da decenni per le più varie patologie, ai quali sono state riconosciute, più o meno recentemente, proprietà analgesiche. Appartengono a questo novero gli antibiotici β-lattamici e le tetracicline; farmaci anticonvulsivanti come l’acido valproico[4] e il riluzole; antidepressivi quali i triciclici (imipramina, amitriptilina, ecc.). Per tutte queste molecole è stato accertato un rilevante effetto sul trasporto del glutammato in sede spinale.

Vari studi di farmacologia sperimentale sono stati avviati per verificare le possibilità terapeutiche del dolore cronico mediante la modulazione molecolare delle proteine GluT. L’impresa non è delle più semplici, perché l’identificazione di un preciso e mirato bersaglio farmacologico in questo sistema di trasporto richiede la conoscenza in profondità e in dettaglio dei fattori molecolari e delle vie di segnalazione sottostanti l’espressione e l’attività di singoli sotto-tipi di GluT, incluse le loro varianti derivate dallo splicing. A questo si aggiunga, anche se non direttamente menzionato da Gegelashvili e Bjerrum, il problema del rischio di alterazione di vari aspetti della fisiologia cerebrale - come i processi mentali non esplorabili negli animali da esperimento - con farmaci che agirebbero su un numero incalcolabile di circuiti e processi influenzati dalla segnalazione del neurotrasmettitore eccitatorio più importante del sistema nervoso centrale.

Se si pensa alla molteplicità degli obiettivi e alla varietà delle direzioni della ricerca sul dolore, e per averne conferma basta scorrere i titoli delle nostre recensioni di questi undici anni, lo studio dei trasportatori del glutammato appare come una delle tante possibilità, e il singolo progetto in questo campo può essere visto come la classica “goccia nel mare”. Tuttavia, ciascuna di queste imprese deve essere considerata con rispetto ed attenzione, perché un fatto è certo: non esiste una soluzione unica per tutti i casi e ciascun contributo potrebbe fornire un sollievo alla sofferenza di molti.

 

Le autrici della nota ringraziano la dottoressa Isabella Floriani e invitano alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Nicole Cardon & Ludovica R. Poggi

BM&L-08 novembre 2014

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Cfr. G. Perrella, Dolore cronico e danno neurodegenerativo. BM&L-Italia, Firenze 2010 (si veda nella sezione “IN CORSO” del sito, documento in pdf). Per un’introduzione ai problemi clinici posti dal dolore cronico si veda in McMahon, Koltzenburg, Tracey, Turk (editors), Wall & Melzack’s Handbook of Pain. Elsevier 2013.

[2] Mediatori con il glutammato sono anche i neuropeptidi.

[3] Si ricorda che il concetto di tolerance è spesso reso dai farmacologi italiani con quello di abitudine, ossia necessità di aumentare la dose per ottenere lo stesso effetto. Tale fenomeno determina spesso l’inefficacia di potenti analgesici in molti casi di dolore patologico cronico e nei pazienti cancerosi terminali.

[4] Storicamente, le preparazioni di valproato sodico erano largamente impiegate nella terapia di varie epilessie infantili, fino a quando fu documentata una notevole tossicità che ne sconsigliò l’uso. Attualmente, però, il farmaco è prescritto dagli psichiatri nell’indicazione del disturbo bipolare, quale “stabilizzante dell’umore”. Molti ricercatori considerano però tale impiego clinico non sufficientemente suffragato da dati sperimentali e sbilanciato nel rapporto fra rischi e benefici.