Lo studio affascinante della percezione del tempo negli animali

 

 

DIANE RICHMOND & MONICA LANFREDINI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XII – 11 ottobre 2014.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: DISCUSSIONE/AGGIORNAMENTO]

 

Il tempo è una dimensione fondamentale della coscienza umana, perciò non meraviglia la sua centralità nella cultura filosofica, psicologica ed antropologica, così come non sorprende che sia assurto a principio ordinatore ed asse portante del senso in una delle principali discipline umanistiche, la storia. Ma il tempo è anche durata, frequenza, ritmo, sequenza, sospensione, intervallo, oppure variabile nelle valutazioni di probabilità, possibilità, opportunità, appartenenza, esistenza, dipendenza; in altre parole, un elemento di assoluta importanza nella comprensione del mondo circostante. Così inteso, come parametro cognitivo di comprensione, o anche nel rovescio della medaglia di componente dell’esecutività senso-motoria, il tempo può essere studiato nell’animale quanto nell’uomo, costituendo, in questo tipo di studio comparato, non solo un modo particolare per indagare alcuni aspetti del funzionamento cerebrale, ma una prospettiva interamente nuova per concepire l’indagine sulla fisiologia dei sistemi nervosi di tutte le specie esistenti, da quelle più lontane a quelle a noi più vicine.

In natura, i fenomeni zoologici legati al tempo sono tanto numerosi e vari da creare l’imbarazzo della scelta, quando si vogliano fare degli esempi. Si pensi alla rapidità della lingua del ramarro nell’afferrare insetti in una frazione di secondo, al bradipo, quell’ungulato tropicale che si sposta aggrappato ai rami degli alberi con una lentezza tale da sembrare una ripresa al rallentatore, al ghepardo, il mammifero più veloce sulla terra, che può superare i 130 km/h; si pensi ai ritmi circadiani e alle attività cicliche, ai tempi del letargo, delle ricorrenze stagionali, delle migrazioni.

Ma l’aspetto sicuramente più affascinante di tutti è rappresentato dal modo in cui gli animali percepiscono il tempo e lo gestiscono nel loro comportamento abituale: un modo per entrare nel loro cervello o, nel caso degli insetti, nel suo equivalente gangliare.

Numerose evidenze sperimentali hanno dimostrato che la percezione del tempo dipende dalla rapidità con la quale il sistema nervoso di un animale elabora l’informazione sensoriale.

In proposito, notiamo che nella nostra specie la misura del tempo centrale di processo è più facile di quanto si possa immaginare, se la si valuta in un compito di risposta riflessa ad un input visivo computerizzato. Infatti, impiegando un programma che stima i tempi di reazione del campo visivo, si procede con un vecchio espediente di laboratorio consistente nel sottrarre, al tempo totale impiegato per reagire allo stimolo visivo premendo un tasto, la somma dei tempi di entrata e di uscita che sono pressoché costanti. In pratica, il tempo necessario allo stimolo luminoso per giungere dall’occhio al cervello si somma al tempo di percorrenza della via che porta lo stimolo in uscita dai motoneuroni a determinare l’azione della falange del dito che preme il tasto e il totale si sottrae dal tempo complessivo, fornendo il tempo impiegato dal cervello per elaborare lo stimolo sensoriale[1].

In questo esempio sull’elaborazione degli stimoli sensoriali nell’uomo si giunge ad un elevato livello di analisi intraspecifica, che si è rivelato utile in riabilitazione cognitiva; al contrario, negli studi sulla percezione del tempo, si cerca di individuare l’ordine di grandezza temporale, in termini di range o di media, caratteristico dell’elaborazione fisiologica dello stimolo sensoriale per ciascuna specie animale.

Uno studio recente pubblicato sulla rivista Animal Behavior[2] ha affrontato il problema della percezione del tempo da parte delle varie specie animali, ottenendo risultati di notevole interesse e, per molti aspetti, sorprendenti.

Per misurare la velocità di elaborazione sensoriale e ricavarne informazioni sulla percezione del tempo, i ricercatori impiegano una luce intermittente che appare come una successione di lampi luminosi, la cui frequenza può essere regolata. All’aumento progressivo del numero di lampi erogati al secondo, gli intervalli bui si riducono sempre più, fino a quando, per frequenze molto elevate, la retina animale ed umana non riesce più a rilevarli e, conseguentemente, genera l’illusione percettiva di una luce continua, fissa e stabile.

Mediante la valutazione dell’attività elettrica cerebrale e lo studio del comportamento, i ricercatori sono riusciti a stabilire, per ogni specie esaminata, la frequenza alla quale la luce era percepita come continua e, soprattutto, la più alta frequenza alla quale una specie animale continuava ancora a discriminare l’intermittenza.

La sperimentazione ha consentito di accertare che gli animali in grado di registrare la discontinuità luminosa alle frequenze più elevate, percepiscono il tempo con un grado di risoluzione molto più alto. In altri termini, tanto maggiore è la frequenza alla quale un animale continua a rilevare il carattere discontinuo dello stimolo fotonico, tanto più fine è la sua risoluzione temporale nella percezione; per questo si ritiene che tali animali abbiano un’elaborazione più fine della trama temporale degli eventi esperiti. Una tale fisiologia, se adoperiamo come parametro di riferimento la valutazione cosciente della durata nella psiche umana, deve necessariamente generare una percezione diversa dalla nostra, e non è azzardato dire che i movimenti e gli eventi, in tali condizioni, sembrano durare di più o, potremmo dire, sono esperiti come più lenti.

Questa differente percezione è stata paragonata all’effetto di una particolare tecnica cinematografica di uso frequente nei cosiddetti “film d’azione”, che consiste nel mostrare al rallentatore, ad esempio, i movimenti rapidissimi prodotti dai protagonisti per schivare dei proiettili. A velocità normale sarebbe impossibile cogliere particolari e dettagli della scena. Agendo sulla qualità del tempo, mediante un accresciuto numero di informazioni trattate dal processore neurale, invece di agire sulla durata, si dovrebbe produrre un effetto simile. Si ritiene che una scansione percettiva più fitta ed accurata possa creare la sensazione di uno svolgersi più lento dell’evento o del movimento percepito[3].

Gli autori di questo nuovo studio si sono avvalsi dei dati raccolti in precedenti esperimenti che hanno indagato l’elaborazione dell’informazione visiva in 34 specie di vertebrati, fra le quali vi erano pesci, lucertole, uccelli e mammiferi. Svolgendo una riflessione su un materiale tanto ampio, i ricercatori hanno ipotizzato che l’abilità nel rilevare ad alta frequenza informazioni di vitale importanza, costituisca un definito vantaggio adattativo per animali che hanno bisogno di rispondere a stimoli visivi con grande immediatezza. Grazie ad una scansione percettiva vertiginosa e precisa e ad un’esecuzione altrettanto rapida ed efficiente, tali animali riescono, ad esempio, ad afferrare con prontezza una preda veloce in una rara occasione propizia, oppure a sfuggire all’atto rapido e improvviso dei propri predatori.

Una tale ragionevole supposizione ha condotto al quesito: il modo in cui un animale percepisce il tempo è, in termini evolutivi, in rapporto solo con il comportamento specie-specifico che garantisce la sopravvivenza, o è anche coerentemente collegato a parametri morfologici e funzionali dell’organismo animale?

Prima di riferire gli esiti dello studio che forniscono una risposta alla domanda, qui di seguito riportiamo la caratteristica temporale di elaborazione della percezione di alcune specie animali, espressa come frequenza in Hertz.

 

15 Hz

La testuggine marina Dermochelys coriacea, la specie di tartaruga di mare di maggiori dimensioni al mondo, nota negli USA come Leatherback sea turtle, e caratterizzata da una corazza di piastre ossee di piccole dimensioni, inserite in uno spesso tegumento, ma non rivestite di scaglie cornee. La sua frequenza è la più bassa rilevata e si ipotizza faccia percepire azioni e movimenti come più rapidi e sommari.

 

39 Hz

Il ratto bruno o grigio (Rattus norvegicus)[4], detto anche ratto delle fogne, surmolotto o pantegana, è il ratto comune, diffuso in tutto il mondo dall’Asia. Infatti, a dispetto del suo nome scientifico, proviene dalla Cina, dalla Manciuria e dalla Siberia ed ha sostituito in Europa, a partire dal 1553 quando fu segnalato per la prima volta da Conrad Gessner, il ratto nero già presente da molti secoli. L’ordine di grandezza dei 39 Hz può estendersi a molte specie collegate.

 

55 Hz

Il gatto domestico (Felis silvestris catus), negli esemplari studiati e presumibilmente nelle sue oltre cinquanta razze certificate, presenta l’ordine di grandezza dei 55 Hz. 

 

60 Hz

La nostra specie, Homo sapiens sapiens, ha fatto registrare una frequenza di elaborazione di 60 Hz, che si può attribuire a tutte le varietà umane, erroneamente definite razze. 

 

80 Hz

Il cane (Canis lupus familiaris) negli esemplari testati ha fatto rilevare una frequenza di 80 Hz. L’elevata variabilità dei caratteri biologici fra le razze canine suggerisce prudenza nella generalizzazione. 

 

100 Hz

I piccioni (Columbidae, famiglia di uccelli che comprende oltre 300 specie) presentano una frequenza di elaborazione di 100 Hz. 

 

250 Hz

Un insetto come la mosca comune (Musca domestica) fa registrare la frequenza più alta. Tale tempo di processo farebbe vedere atti ed eventi ordinari come al rallentatore. 

 

In grafico:

 

rapidità vertiginosa    15........39……55….60…….80…….100…….…….…….…250   al rallentatore

 

La sperimentazione ha fornito dati che supportano un collegamento della percezione del tempo con parametri biologici morfo-funzionali della specie, in particolare è stato rilevato che gli animali con una più fine risoluzione temporale, in genere, tendono ad avere una taglia minore, con un peso più basso e un metabolismo, ossia l’insieme delle trasformazioni biochimiche che assicurano la vita della cellula e dell’organismo, più rapido.

I risultati di questo studio, rapportati a quelli ottenuti in precedenza, sono quanto mai istruttivi ed incuriosenti, perché se da un canto mostrano che la differenza con la quale una tartaruga marina e una mosca percepiscono la realtà non è arbitraria, dall’altro non stabiliscono una relazione semplice ed assoluta fra percezione del tempo e caratteri morfo-funzionali.

D’altra parte, la complessità è già presente nei semplici caratteri del movimento di una specie: pachidermi come i rinoceronti sono enormi, pesanti e lenti nei movimenti quotidiani, ma se si lanciano alla carica possono superare una jeep in corsa; uccelli velocissimi in volo possono trascorrere la maggior parte delle proprie giornate nella più perfetta staticità, con rari e lentissimi movimenti.

I risultati mostrano un collegamento articolato fra la percezione del tempo, la struttura del corpo e la sua fisiologia in rapporto all’ambiente attuale ed alle pressioni ambientali che hanno agito nel corso della filogenesi. Sembra evidente che sistemi nervosi diversi, quante sono diverse le vie seguite dall’evoluzione che ha prodotto la gamma che va dagli insetti alla specie umana, hanno sviluppato strategie diverse per equilibrare le pressioni dell’ambiente naturale con la conservazione dell’energia.

Ragionando in questi termini, si comprende che uno standard di fine discriminazione temporale è prezioso e sostenibile per un uccello rapace, quale un’aquila o un falco, ma comporterebbe una insostenibile perdita di energia per il regime metabolico di un cetaceo quale una balena.

Questa ricerca è solo agli inizi ma, come abbiamo visto, ha già aperto un varco su un orizzonte inedito di interrelazioni fisiologiche e, come è facile prevedere, il suo prosieguo fornirà molte acquisizioni nuove e non mancherà di riservarci delle sorprese.

 

Le autrici della nota invitano alla lettura degli scritti di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Diane Richmond & Monica Lanfredini

BM&L-11 ottobre 2014

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Ricordiamo che Giuseppe Perrella, all’inizio degli anni Novanta, con i suoi seminari ha introdotto e diffuso in Italia queste nozioni.

[2] Un resoconto di questo studio, in un articoletto dal titolo Small Animals Live in a Slow-Motion World, è stato fornito da Emilie Reas in Scientific American Mind 25 (4): 11, July-August, 2014.

[3] Per la verità, questa ipotesi entra apparentemente in contrasto con una tesi di Giuseppe Perrella, secondo il quale il sistema di rilevazione percettiva e le sensazioni generate dal giudizio della percezione sono intrinsecamente omogenee, perché differenziate in seno ad un unico sistema nervoso. In altre parole, non esiste un analizzatore neutro della percezione nel cervello degli animali che possa giudicare indipendentemente dall’esperienza percettiva della specie che riguarda l’intero cervello. Ovvero, ogni animale ha un proprio regime percettivo, l’unico attraverso il quale si rapporta al mondo, e la velocità che questo trasmette, insieme con gli altri caratteri rilevati, è per ogni animale quella “giusta”. A rigore di questa riflessione, si dovrebbe dire che se il nostro apparato percettivo assumesse i tempi di elaborazione di una testuggine, i movimenti umani ci apparirebbero velocissimi; se invece assumesse i tempi di un insetto, ci apparirebbero estremamente lenti. Se vi si riflette, si comprende che non è una pura questione di forma.

[4] In un saggio di storia naturale pubblicato nel 1769, il naturalista John Berkenhout attribuì questo nome al roditore, perché ritenne fosse sbarcato in Gran Bretagna da navi provenienti dalla Norvegia.