Origini neurali di azioni spontanee nella corteccia motoria secondaria

 

 

DIANE RICHMOND

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XII – 04 ottobre 2014.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Molti studenti che intraprendono lo studio della neurofisiologia del movimento, cercano nei libri di testo il paragrafo dedicato all’origine dei movimenti volontari. La loro fiducia è giustificata, perché è noto che le vie motorie e le basi neurali della motilità costituiscono uno degli argomenti più analiticamente indagati dalla ricerca e più dettagliatamente esposti in trattati e manuali.

Nei testi di neurofisiologia classica, il problema sembrava quasi scomparire, alla luce di una realtà sperimentale che non indicava una sola origine. Un esempio è questa sintesi di un paragrafo del celebre manuale di neurofisiologia di Vernon Mountcastle, il neurofisiologo che ha iniziato allo studio dei sistemi neuronici il Premio Nobel Gerald Edelman: “Quale è allora, il ruolo della corteccia motoria precentrale, nei movimenti volontari precisi? È logico ipotizzare, sulla base delle odierne conoscenze, che il carattere del movimento venga generato in strutture quali i gangli della base ed il cervelletto, e modulato nella corteccia in conformità ai messaggi somatosensoriali provenienti dalla periferia e che il sistema piramidale rappresenti la via finale comune, a questi effetti, verso i motoneuroni spinali. A sostegno di queste ipotesi sta il fatto che, nelle lesioni piramidali, i movimenti più compromessi sono quelli che più richiedono il controllo somatosensoriale, come quelli delle dita della mano”[1]. La sede cerebellare dell’avvio dei movimenti rapidi a getto, lancio, scatto o esplosivi non sembrava in discussione: “Risulta, ora, che il cervelletto è implicato nel generare i movimenti rapidi, balistici e che questi movimenti, a differenza di quelli lenti, sostenuti, non sono soggetti ad un controllo a feedback. Anzi, le cellule di Purkinje scaricano prima che il movimento cominci”[2].

A quell’epoca è seguito il periodo caratterizzato dalla scoperta dei potenziali cognitivi evocati (P300, N400), del circuito di Libet[3], del tentativo di definire le basi neurali (corticali) delle decisioni coscienti e, con queste, del movimento volontario. Sarebbe impossibile sintetizzare in poche righe il lungo percorso compiuto da una ricerca che ha completamente ridefinito la dicotomia classica “piramidale/extrapiramidale”, che ha scoperto ed indagato in tutti gli aspetti i potenziali elettrici che indicano lo stato di preparazione al movimento e la sua pianificazione, che ha introdotto i cosiddetti “neuroni specchio” di Giacomo Rizzolatti, e così via. Qui si vuole solo sottolineare che l’interesse principale è tornato da tempo sulla corteccia cerebrale, ma il problema della genesi del movimento non è affatto risolto.

Attualmente, nei Principles of Neural Science[4], si legge che i comandi motori originano da trasformazioni senso-motorie, che il sistema nervoso centrale forma modelli interni di tali trasformazioni, che i movimenti imprecisi derivano da errori e variazioni delle trasformazioni, e che in molti movimenti sono impiegati schemi funzionali stereotipati. Dopodiché, comincia un’estesa trattazione del controllo a feedback e a feedforward dei segnali motori: un argomento principe della menzionata opera di Mountcastle, che oggi si è arricchito di numerosi particolari e dettagli.

Specificamente, possiamo affermare che l’origine delle azioni spontanee, o self-initiated, secondo la definizione inglese comunemente adottata nella ricerca, non è bene definita e l’interpretazione dei dati raccolti nel corso di anni da molti gruppi di ricerca rimane controversa.

Uno studio, condotto nell’ambito di un progetto neuroscientifico portoghese da Masayoshi Murakami e colleghi, ha affrontato il problema ottenendo risultati di notevole interesse (Murakami M., et al. Neural antecedents of self-initiated actions in secondary motor cortex. Nature Neuroscience Epub ahead of print doi:10.1038/nn.3826, 2014).

La provenienza degli autori è la seguente: Champalimaud Neuroscience Programme, Champalimaud Centre for the Unknown, Lisbona (Portogallo).

Per indagare l’origine delle azioni iniziate spontaneamente da un animale, i ricercatori hanno impiegato una particolare prova in cui dei ratti erano sottoposti all’esperienza di un lungo ritardo di un suono previsto e potevano, stanchi di aspettare, decidere spontaneamente di interrompere l’attesa con un movimento, appunto, auto-avviato.

L’esperimento prevedeva la registrazione dell’attività elettrica di neuroni della corteccia motoria secondaria (M2). I dati ottenuti sono stati interpretati dai ricercatori secondo un accreditato modello emerso dalla sperimentazione sul processo decisionale: integration-to-bound decision model. Le registrazioni hanno evidenziato la presenza di due insiemi funzionali di cellule corticali.

Una prima popolazione di neuroni M2 presentava il suo incremento a picco di attività ad una soglia costante, con una frequenza proporzionale alla durata dell’intervallo temporale di attesa, assomigliando straordinariamente ad un output integratore.

Una seconda popolazione di neuroni M2, che secondo gli autori dello studio avrebbe il ruolo di fornire l’input all’integratore, si attivava in sequenza e mostrava tassi di fluttuazione variabili prova-per-prova e strettamente correlati con i tempi di attesa.

Un modello di integrazione adattato a questi dati, per la cui descrizione si rimanda alla lettura integrale del lavoro originale, consentiva di prevedere anche quantitativamente le correlazioni interneuroniche osservate.

L’insieme dei dati ottenuti in questo studio supporta il valore generale del modello decisionale integration-to-bound. Questo tipo di modelli identifica l’intenzione iniziale ad agire con il momento in cui si supera la soglia, e spiega come l’antecedente attività neurale sottosoglia possa influenzare un’azione senza implicare una decisione.

Gli esiti di questo studio ci appaiono come un promettente avvio di una nuova fase di indagini che potrà portare ad una definita soluzione del problema dell’identificazione della sede della genesi corticale del movimento spontaneo.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Diane Richmond

BM&L-04 ottobre 2014

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] William F. Ganong, Review of Medical Physiology, p. 133 (ed. it., Piccin) Lange Medical Publication, Los Altos (California) 1977.

[2] William F. Ganong, op. cit., p.146.

[3] Si ricorda che Benjamin Libet e collaboratori identificarono un circuito che richiedeva circa 500 millisecondi per essere percorso dall’impulso elettrico (tempo lungo rispetto ai 200-300 millisecondi del tempo di reazione fisiologica umana) e che appariva necessario per l’entrata nella coscienza del processo in corso.

[4] Si fa riferimento alla V edizione del trattato di Kandel, Schwartz, Jessel, Siegelbaum, Hudspeth (editors) del quale si può leggere la presentazione su questo sito (in “NOTE E NOTIZIE” dal 27-10-12 al 24-11-12).