Le basi cerebrali delle abitudini
LORENZO L. BORGIA
NOTE
E NOTIZIE - Anno XII – 04 ottobre 2014.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli
oggetti di studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: AGGIORNAMENTO]
(Quarta Parte)
Manipolare le abitudini per comprenderne la natura. Una lettura alla luce dei più recenti modelli funzionali del sistema nervoso centrale, potrebbe considerare la corteccia infralimbica quale espressione di un livello più elevato di quello striatale, che esercita un controllo, una sorta di monitoraggio, sui processi già automatizzati nello striato come abitudine. Una tale interpretazione sarebbe coerente con la comparsa dopo lungo tempo del pattern di abitudine in quest’area corticale: dopo un numero di ripetizioni molto alto anche dei circuiti corticali che, per connessioni e funzioni, non possono ridurre rapidamente a schema semplice da condensare in procedura il loro intervento, finiscono per generare questa forma di “memoria superappresa”[1]. La comparsa del pattern di abitudine nella corteccia infralimbica indicherebbe che è stato automatizzato anche il monitoraggio realizzato secondo esigenze dell’organismo nell’ambiente integrate al livello corticale.
In alternativa, gli autori dello studio condotto al MIT, interpretavano il reperto come espressione di una strategia attendista da parte della corteccia infralimbica rispetto al sistema di valutazione dello striato, paragonando l’area corticale ad una persona saggia che aspetta l’esito del giudizio prima di agire.
In ogni caso, dopo questi risultati, i ricercatori del MIT hanno deciso di verificare se la corteccia infralimbica ha un controllo online, ossia in tempo reale, sull’espressione di un’abitudine.
A proposito dell’importanza di questa fase della ricerca vorrei fare una riflessione.
La dimostrazione di un rapporto fra un comportamento e l’attivazione di un’area cerebrale, per la complessità dell’encefalo, non dà la certezza di aver individuato la base neurale di quel comportamento. Se, invece, si individua in un’altra regione un sistema di neuroni in grado di inibire o attivare quell’area, e a questa regolazione corrisponde un effetto coerente sul comportamento, si ha una conferma significativa dell’interpretazione funzionale ipotizzata per la prima area studiata, oltre ad avere evidentemente scoperto la base neurale di un controllo della prima funzione. Si comprende, perciò, l’importanza della verifica sperimentale del ruolo della corteccia infralimbica nel controllo dell’espressione di un’abitudine.
Gli esperimenti volti a questo fine sono stati compiuti da un team guidato da Ann Graybiel che ha impiegato la tecnica optogenetica: ponendo molecole sensibili alla luce nei neuroni della corteccia infralimbica, i ricercatori hanno potuto, mediante raggi luminosi inviati su quelle cellule, accenderle o spegnerle per verificane la funzione. In ratti che avevano bene acquisito l’abitudine a percorrere il consueto labirinto a “T” di questi esperimenti e che avevano sviluppato il tipico schema di attivazione all’inizio e alla fine del compito, lo spegnimento della corteccia infralimbica per pochi secondi ha bloccato totalmente l’abitudine.
L’abitudine, in questi esperimenti, poteva essere bloccata rapidamente, a volte immediatamente, e il blocco del comportamento durava anche dopo lo spegnimento della luce. Importante notare che i ratti non si fermavano: le loro corse attraverso i labirinti non erano assolutamente compromesse dall’inattivazione della corteccia infralimbica; si perdeva l’abitudine a puntare diritto verso la ricompensa prescelta seguendo il suono di istruzione. È interessante notare che, ripetendo in queste condizioni gli esperimenti, si creava nei ratti una nuova abitudine, ossia quella di correre verso il lato della ricompensa prescelta, indipendentemente dai suoni inviati per guidarli. Allora, i ricercatori hanno nuovamente spento mediante tecnica optogenetica la corteccia infralimbica ottenendo un risultato di grande evidenza: la nuova abitudine scompariva e istantaneamente riappariva la vecchia. Il ritorno alla precedente consuetudine è apparso nel giro di pochi secondi ed è rimasto indefinitamente, per tutte le volte che l’esperimento è stato ripetuto, senza che vi fosse bisogno di azionare di nuovo la luce optogenetica sui neuroni infralimbici[2].
Questo risultato è stato accostato all’esperienza umana del ritorno di una cattiva abitudine che si è faticato molto ad eliminare, per effetto di un periodo di stress o a seguito di una ricaduta indotta in circostanze che hanno favorito una perdita di controllo[3]. Probabilmente un elemento comune esiste nei meccanismi molecolari e cellulari di formazione delle memorie e di gestione del loro utilizzo; tuttavia, è ragionevole distinguere almeno fra elementi quali l’abitudine a percorrere una strada perché più breve e l’abitudine del fumo o dell’alcool indotta dai numerosi effetti prodotti da nicotina ed etanolo sul sistema nervoso centrale.
Se accettiamo solo in parte la visione dei ricercatori del MIT, accostando l’apprendimento per abitudine alla formazione di memorie procedurali, possiamo rilevarne l’utilità nell’economia complessiva della psiche o, potremmo dire, nel “progetto funzionale” del sistema nervoso centrale dei mammiferi, come si legge in queste recenti affermazioni del nostro presidente:
“La formazione di un’abitudine e la proceduralizzazione di una sequenza appresa, reiterata e consolidata, sono due esempi di come opera il principio economico che governa l’attività del sistema nervoso centrale. L’economia, così come la si riconosce nella neurobiologia degli organismi intelligenti, non consiste in un semplice risparmio di neuroni, sinapsi, molecole ed energia, ma è una vera razionalizzazione funzionale che investe i rapporti e gli equilibri fra i sistemi neuronici che costituiscono l’apparato psichico in continuità con le formazioni recettrici sensoriali ed effettrici motorie. Si pensi alla proceduralizzazione e all’automatizzazione di tutto quanto ci consente di parlare, dagli schemi articolatori delle sillabe, fino alla coloritura affettiva espressa dall’intonazione delle nostre frasi: un insieme che non occupa i sistemi dell’ideazione cosciente, che possono concentrarsi sui contenuti, facendo supervisione dei valori di senso in gioco nella comunicazione e dei significati recepiti ed espressi momento per momento”[4].
A questo punto, mi sembra opportuno schematizzare quanto fin qui esposto in un quadro riassuntivo dei correlati neurali dell’abitudine, integrando i dati provenienti da altri studi non direttamente citati.
Il complesso delle attività indagate può essere ripartito in tre fasi: 1) Ricognizione su un nuovo comportamento; 2) Formazione di un’abitudine; 3) Consolidamento e gestione di un funzionamento abituale.
1) Ricognizione su un nuovo comportamento.
La corteccia premotoria è in connessione con lo striato che, a sua volta, è collegato col mesencefalo, i cui sistemi dopaminergici contribuiscono all’apprendimento e conferiscono valore agli scopi delle azioni. Tali circuiti formano dei cicli di controllo a feedback che consentono di sapere cosa va e cosa non va delle azioni che si compiono.
2) Formazione di un’abitudine.
Con la ripetizione di un comportamento si ha un interessamento progressivamente maggiore e un rafforzamento di un ciclo a feedback fra la corteccia senso-motoria e lo striato. Il rinforzo di tale feedback sembra avere un ruolo nell’imprimere i correlati della routine all’interno di una singola unità (o chunk) di attività neurale dell’encefalo. L’unità, così formata, in gran parte è costituita da neuroni dello striato e sembra dipendere dall’input dopaminergico dei neuroni del mesencefalo.
3) Consolidamento e gestione di un funzionamento abituale.
Dopo la costituzione di un’abitudine come un unico blocco o unità di memoria, interviene la corteccia infralimbica che sembra cooperare con lo striato ad un ulteriore rafforzamento, in seguito al quale il comportamento abituale diviene un’attività cerebrale semipermanente. Con l’aiuto dei sistemi neuronici dopaminergici, la corteccia infralimbica sembra essere responsabile del ruolo di controllo della possibilità che un soggetto si impegni in un’abitudine. Infatti, eliminando l’influenza fisiologica di questa regione, si ha la soppressione di consuetudini praticate a lungo.
[continua]
[1] Questa interpretazione non esprime un’idea personale dell’autore di questo scritto, ma riflette la visione della nostra scuola neuroscientifica.
[2] Cfr. Graybiel A. M. &
Kyle S. Smith, Good habits, bad habits, p. 27, Scientific American 310 (6): 23-27, 2014.
[3] Un tale accostamento è stato proposto dai citati ricercatori del MIT, ma sono molti i neuroscienziati e gli psicologi che sollevano obiezioni sulla correttezza delle interpretazioni formulate da quella scuola. In particolare, l’abolizione di ogni distinzione concettuale fra condizionamento associativo pavloviano, condizionamento operante, abitudine comportamentale, abitudine compulsiva indotta da alterazioni psichiche e comportamento indotto nel tossicodipendente da sostanze psicotrope (eroina, cocaina, etanolo, ecc.) che producono alterazioni funzionali nei circuiti dell’addiction, oltre a lesioni e danni al livello molecolare, cellulare e di sistemi neuronici.
[4] G.
Perrella, Principi impliciti ed espliciti
nello sviluppo e nell’organizzazione del sistema nervoso centrale, p. 3
(trascrizione parziale di una relazione orale tenuta il 17 maggio 2014).