Tre libri su determinismo biologico e libero arbitrio

 

 

MONICA LANFREDINI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XII – 07 giugno 2014.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE E DISCUSSIONE]

 

In un importante passaggio esplicativo sulla reale natura della nostra libertà decisionale, nel corso dell’ultimo incontro del “Seminario Permanente sull’Arte del Vivere”, il nostro presidente ha chiarito le differenze esistenti fra volere, volizione, volontà, esecutività decisionale, intenzione conseguente ad uno stato affettivo-motivazionale ed intenzione originata da valutazioni ed elaborazioni logiche e tecniche di dati di realtà. Illuminando con esempi di rara efficacia la sostanzialità delle distinzioni, che non attengono a sottigliezze semantiche ma riguardano precise identità di differenti oggetti astratti, ha reso impietosamente evidenti errori, sviste, confusioni e approssimazioni che regnano sovrane nell’attualità del dibattito sulla presunta inesistenza del libero arbitrio e sulla completa determinazione biologica della volontà.

Il livello di elaborazione proposto al seminario ci rende consapevoli del privilegio di poter esercitare le nostre riflessioni a partire da una chiarezza logica, da un grado di approfondimento specialistico e da una conoscenza non comuni, ma non ci induce a chiuderci nel compiacimento autoreferenziale di quei gruppi di intellettuali che, non di rado, finiscono per trascurare, negligere o ignorare, contributi stimolanti o nuovi elementi, sia pure raccolti in cornici di senso e di metodo imperfette. Pertanto, vogliamo proporre all’attenzione dei visitatori del sito tre nuovi saggi discussi in sede seminariale[1], cominciando dall’ultimo in ordine cronologico di pubblicazione.

1. D.F. Swaab, “We are Our Brains: A Neurobiography of the Brain, from the Womb to Alzheimer’s”. Spiegel and Grau, 2014.

Il neuroscienziato D. F. Swaab tenta una via in un certo senso nuova e sicuramente radicale per rispondere alla domanda circa le nostre reali possibilità di scelta: la raccolta di tutti i fatti biologici salienti dall’inizio dello sviluppo in utero alla morte. La selezione, che include gli eventi principali nell’evoluzione e nella vita di ogni cervello, è una raccolta di prove dell’ineluttabilità di processi che sarebbero alla base della dimensione mentale, condizionandone sempre, anche quando non appare con immediatezza, le scelte.

Swaab chiama la sua ricostruzione una “neurobiografia del cervello”, per sottolineare quanto la dimensione autobiografica delle esperienze e delle conoscenze che costituirebbero la base della nostra possibilità di scegliere, sia in realtà condizionata in modo decisivo dagli automatismi neurobiologici. È la biologia a definire nella sostanza la persona che diventeremo, fin dalla formazione e maturazione del nostro cervello. Sono poi i processi fisiologici di invecchiamento e quelli patologici legati alla malattia a condizionare in maniera determinante la psiche nell’ultima parte della vita.

Seguendo questa tesi precostituita, alla quale fornisce argomenti di prova basati su fatti reali e di sicuro effetto suggestivo sul lettore che non li conosca, Swaab conclude che il libero arbitrio non esiste.

È confortante apprendere che l’autore della neurobiografia ritenga le proprie idee “non concepite per essere conclusive”, ma per contribuire alla conoscenza della natura umana.

Una prospettiva diversa, tanto quanto la filogenesi differisce dall’ontogenesi, caratterizza e distingue dal lavoro di Swaab il secondo dei tre saggi.

2. Douglas Kenrick & Vladas Griskevicius, “The Rational Animal: How Evolution Made Us Smarter Than We Think”. Basic Books, 2013.

Douglas Kenrick è uno psicologo, mentre Vladas Griskevicius è un professore di discipline economiche; entrambi hanno studiato approfonditamente gli aspetti psicologici relativi al modo in cui si prendono le decisioni, in quella gamma di condizioni ridotte a schemi sperimentali in cui il soggetto si trova a scegliere fra più opzioni teoriche, secondo i modelli del campo di studi definito decision making. L’arbitrio per loro, come per molti biologi deterministi, consiste nella libertà di scelta fra due o più opzioni, indipendentemente dalla qualità degli argomenti che sono oggetto della decisione. Convinti entrambi che il libero arbitrio non esista, hanno cercato le radici della mancanza di libertà umana nella filogenesi delle funzioni psichiche.

Secondo Kenrick e Griskevicius il nostro passato ancestrale, ossia l’evoluzione biologica del cervello in una prospettiva neodarwiniana, consente di spiegare come si sia costituito l’insieme di automatismi che decide per noi, ossia al posto del nostro Io cosciente, rendendoci più intelligenti - o biologicamente adatti - di quanto possiamo immaginare.

Le nostre decisioni spesso non appaiono razionali, secondo quanto suggerisce il buon senso della media degli osservatori estranei alla circostanza decisionale, ma apertamente illogiche. Il motivo di queste scelte può essere talvolta rilevato all’analisi psicologica come dettato da istanze affettive ed emotive profonde, spesso non presenti alla coscienza del soggetto, come le “ragioni del cuore che la ragione non conosce”, secondo la celebre formula del filosofo Blaise Pascal. In altri casi, le scelte illogiche sembrano originare da tendenze e tratti che non appartengono allo stile della persona e, magari, emergono per effetto di pressioni interne od esterne legate a stati psichici temporanei o a circostanze di vita. In tutti questi casi, gli autori del saggio riconoscono l’origine in blocchi funzionali modellati dall’evoluzione, posti alla radice del nostro funzionamento mentale, e volti ad assicurarci la sopravvivenza e il miglior adattamento possibile in un ambiente totalmente naturale. Idee che, in una forma meno evoluta di quanto si sia fatto in alcune fra le principali teorie psicologiche del secolo scorso, riportano il funzionamento mentale ad automatismi adattativi, ma, a differenza di quelle teorie, le tesi di Kenrick e Griskevicius negano l’esistenza di una possibilità anche solo parziale di libertà di scelta da parte degli esseri consapevoli di essere coscienti.

Un difetto del saggio, che pur si basa su principi ben dimostrati di evoluzione del cervello e della mente, consiste nelle frequenti forzature volte a far rientrare nel modello proposto tutte le evidenze sperimentali presentate.

Di tenore completamente diverso è l’ultimo dei tre volumi.

3. Michael E. Martinez, “Future Bright: A Transforming Vision of Human Intelligence”. Oxford University Press, 2013.

Michael E. Martinez, un ex-educatore esperto di pedagogia e psicologia della didattica, facendo perno sulla sua esperienza delle potenzialità di sviluppo presenti anche nel cervello meno promettente, fornisce argomenti forti contro la vecchia tesi, ritornata in auge grazie a molti nuovi sostenitori, secondo cui l’intelligenza di una persona avrebbe limiti invalicabili fissati alla nascita.

L’impressione complessiva, che si ricava dalla lettura di questo saggio, è quella di una visione dinamica, della cognizione in generale e dell’intelligenza in particolare, saldamente fondata su dati scientifici ed in grado di sostenere la speranza di migliorare notevolmente, sia pure con un lavoro lungo e faticoso, le prestazioni di coloro che sono affetti da deficit cognitivi o sperimentano difficoltà di apprendimento.

Martinez fa un uso avveduto dei risultati della ricerca cognitiva, soprattutto alla luce di decenni di esperienza pratica nel campo dell’educazione, e propone una serie di strategie per accrescere l’acume intellettivo e l’efficacia cognitiva. Non si limita a suggerire esercizi basati sulla lettura e sulle pratiche più sperimentate di metodologia didattica, ma va molto oltre, indicando il modo in cui scoprire e nutrire talenti nascosti.

Nel suo insieme il saggio, pur non avendo il suo autore questo scopo dichiarato, costituisce un’efficace lezione di scienza ed esperienza contro la visione statica del determinismo biologico delle funzioni psichiche.

Se la tesi dell’inesistenza del libero arbitrio non si fonda sull’assunto filosofico dell’impossibilità ad essere liberi nella condizione umana, ma sull’idea che i programmi genetici della mente, pur con le variazioni espresse dai fenotipi cerebrali, sono in grado di determinare del tutto le funzioni superiori del sistema nervoso centrale, possiamo sicuramente affermare che riceve un duro colpo dal libro di Martinez e da tutte le esperienze dello stesso segno.

Ritornando ai primi due volumi recensiti e alla cultura che li ispira, desidero osservare, prendendo a prestito una riflessione svolta al nostro seminario, che pur accettando la visione secondo cui le basi cerebrali di ogni processo decisionale, anche quelli estremamente elementari esplorati in laboratorio, siano significative per interpretare un’astrazione come il libero arbitrio, il legame di necessità fra processo biologico e comportamento dovrebbe essere meglio provato. In altri termini, come ha osservato il nostro presidente, per poter parlare di determinismo si dovrebbe indicare un’istanza biologica A, alla quale corrisponde un comportamento X, diversa dall’istanza biologica B, alla quale corrisponde un comportamento Y. Nei riflessi è così; anche nelle risposte comportamentali più articolate ma stereotipate si può trovare una corrispondenza precisa e costante. Nei fixed action patterns (FAP), come si chiamano in biologia quei programmi comportamentali specie-specifici che realizzano il modo di un animale di corteggiare il partner, accoppiarsi, fare il nido o sfamare la prole, si può riconoscere una determinazione assoluta ed impressionante. In ambito umano, escluse le funzioni automatiche di base[2] e i comportamenti stereotipi dovuti all’omologazione culturale e sociale, non è facile individuare un rapporto fisso fra un contenuto mentale legato ad una istanza biologica e una scelta comportamentale.

La possibilità di scegliere comportamenti diversi in risposta ad una stessa spinta descrivibile secondo i principi evoluzionistici, è innegabile. Un’esemplificazione fra le più banali, può essere tratta da una recente esperienza che ha riguardato due amiche e una conoscente di chi scrive. A tutte e tre è capitato, un giorno, di guardarsi allo specchio e rendersi conto che il profilo della cute intorno agli occhi era notevolmente mutato e, per quanto il cambiamento si fosse sviluppato progressivamente nel tempo, d’un tratto era diventato intollerabile: un segno di vecchiaia, malattia e bruttezza. La prima delle tre, dopo aver saputo dai medici che la manifestazione non aveva alcun carattere patologico, ha deciso di lasciar perdere ma, essendo infastidita da quella vista, ha preso a guardarsi allo specchio il meno possibile. La seconda, avendo ugualmente saputo che la colpa era solo dell’età, si è preoccupata degli altri: da allora va in giro con grandi occhiali scuri che le nascondono mezzo volto, d’estate e d’inverno. La terza, invece, si è sottoposta ad una serie di sei dolorosi e costosi interventi di chirurgia estetica, che le hanno riportato il profilo dei tegumenti all’aspetto originario, seppure conferendo un’apparenza un po’ artificiale ai suoi sorrisi e a tutte le altre espressioni di mimica facciale.

Ma in questi casi si tratta pur sempre di scelte comportamentali che, per qualche millennio, la filosofia e la cultura religiosa giudaico-cristiana hanno ritenuto lontane dalla materia oggetto del libero arbitrio. Se si teorizza che per il cervello non conta il grado di astrazione e il valore trascendente che la cultura umana può attribuire ad una questione, perché i processi che realizzano la scelta sono identici, si dovrebbe poi dimostrare che il valore culturale umano di un oggetto non influenza l’atteggiamento nelle scelte. Ma sappiamo che questa dimostrazione non è possibile, perché una vasta mole di studi psicologici ha rilevato il contrario.

Non è forse superfluo ricordare cosa si intende per libero arbitrio. Senza entrare in determinazioni specifiche per disciplina, dottrina e autore, possiamo fornire questa definizione generica: la libertà di operare secondo il proprio volere, che rende l’uomo responsabile delle proprie azioni morali.

Perché allora adoperare la locuzione “libero arbitrio”, in inglese free will, concepita per riferirsi all’esercizio di scelta morale basato sulla conoscenza e la coscienza attuale di valori filosofici[3] o religiosi[4], per indicare qualsiasi arbitrio decisionale, che non corrisponde al volere di una persona che affronta paradigmi esistenziali, ma più spesso all’esercizio di una facoltà di scelta, basata su automatismi o abitudini cognitive, fra opzioni banali?

Non trovo modo migliore di concludere questa discussione che citare le considerazioni con le quali il presidente si è congedato al termine dell’ultimo incontro seminariale:

“In un’epoca in cui la tendenza alla deresponsabilizzazione ha investito il costume di larghi strati di popolazione, la passione per il determinismo biologico è quanto meno sospetta: nell’età aurea dell’Antica Grecia le classi elevate, a dispetto del loro alto grado di evoluzione civile e dei loro raffinati costumi culturali, conservavano la barbara deresponsabilizzazione individuale di fronte al male di grandi proporzioni, razionalizzandolo come eccesso che non poteva essere attribuito ad un singolo, ma ad una forza sovrumana e ineluttabile.

Non vorrei che le società contemporanee del villaggio globale, per liberarsi del fardello della responsabilità individuale, invece di manipolare un concetto religioso proprio del politeismo, quale la volontà personificata in un destino superiore agli dei, facessero un uso strumentale e distorto del sapere scientifico per elaborare un dispositivo di pensiero che neutralizzi, attraverso un presunto determinismo cerebrale, ogni obbligo non tutelato dalla legge di soddisfare l’istanza morale di rispondere per l’altro e prendersene cura. Sarebbe un pericoloso regresso perché, nel tentativo di assolversi da ogni impegno e colpa, si deteriorerebbe la fibra del legame più autentico che ci rapporta l’uno all’altro, che sulla responsabilità si fonda, e tiene insieme il consesso umano: l’amore”[5].

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza.

 

Monica Lanfredini

BM&L-07 giugno 2014

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Victoria Stern ha dedicato poche righe alla segnalazione di queste opere sull’ultimo numero di Scientific American Mind.

[2] Ricordiamo tutto il filone dell’antropologia di ispirazione etologica, inaugurato da Desmond Morris con “La Scimmia Nuda”, cui seguirono “Zoo Umano” e tanti altri saggi che riconoscevano nel comportamento dell’uomo varianti culturali di quello animale.

[3] Da Platone (la morale in Socrate), Aristotele (l’edificio classico delle etiche nicomachee), Seneca (la virtù come conoscenza del bene e del male) fino ai giorni nostri, si potrebbe fare un lungo elenco di filosofi che hanno definito i valori umani principali in termini morali.

[4] Basti pensare alla “Torah” ebraica, che corrisponde ai libri del “Pentateuco” del Vecchio Testamento, e alla stessa Bibbia Cristiana. Nel Vangelo è chiaro che Cristo è Egli stesso, in quanto Via, Verità e Vita, la somma di tutti i valori: il libero arbitrio è scegliere di seguire Lui o il Mondo; nessuno è da Lui obbligato.

[5] G. Perrella, Seminario Permanente sull’Arte del Vivere, incontro del 6 giugno 2014 (appunti da registrazione audio).