Le basi della creatività: nuovi esiti e riflessioni critiche

 

 

LORENZO L. BORGIA

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XII – 10 maggio 2014.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RASSEGNA E DISCUSSIONE]

 

(Quinta Parte)

 

Infine, un’ultima modalità tentata e sperimentata per aumentare le capacità creative, consiste nella sospensione o nell’interruzione temporanea di un compito, con o senza lo svolgimento di un’attività alternativa nell’intervallo. Si tratta di un artificio che non ha un preciso profilo teorico, né in termini psicologici (neuropsicologici, cognitivi, ecc.), né in termini neurobiologici (neurofisiologia dei sistemi neuronici della working memory, ecc.), ma deriva soprattutto dalla ragionevole estensione di quanto osservato per altri processi cognitivi e dalla verifica sperimentale di resoconti aneddotici. D’altra parte, l’utilità dell’interruzione e di un temporaneo cambiamento di focalizzazione dell’interesse durante compiti cognitivi protratti, è comune esperienza.

Una vecchia ipotesi neurofisiologica, mai realmente confutata, suggerisce che la persistenza continuata nella stessa attività cognitiva tende ad impegnare per un tempo eccessivamente lungo gli stessi neuroni, precludendo, all’interno delle sub-popolazioni di cellule equivalenti e specializzate nello stesso compito, il fisiologico alternarsi (shifting) che consente il recupero funzionale in una distribuzione temporale del lavoro, garantendo il livello di prestazione ed evitando riduzione di efficienza o temporaneo esaurimento funzionale di singoli neuroni[1].

Una tale ipotesi può fungere da base razionale per interpretare numerosi fenomeni osservabili nell’esecuzione di compiti cognitivi della vita quotidiana, e si raccorda facilmente ad un aspetto della neurofisiologia cognitiva ben definito e conosciuto in termini di efficacia del cambiamento, ossia l’effetto di stimolo su attenzione ed apprendimento del “nuovo” o di ciò che viene registrato come “diverso” e “rilevante”, con conseguente miglioramento delle prestazioni. In questioni di memoria ed apprendimento l’effetto del cambiamento è così noto da essere stato impiegato ormai da generazioni di studenti universitari: l’interruzione quotidiana dello studio dell’esame principale, al quale si dedica l’intera giornata, per una o due ore di studio di una disciplina compendiata in un manuale sintetico, consente spesso di ottenere una preparazione in quest’ultima disciplina superiore alle attese.

Ciò premesso, l’automatica estensione del principio di interruzione/cambiamento come fattore di promozione della creatività, ci sembra quanto meno aleatoria. D’altra parte la sperimentazione dell’interruzione di continuità come metodo per accrescere le capacità creative ha adottato dei parametri temporali diversi da quelli ai quali ci siamo riferiti per l’apprendimento e, dunque, se pure non si può escludere che operino meccanismi simili, non si può certo parlare di processi identici.

In questo ambito il più significativo degli studi, a conoscenza di chi scrive, rimane quello condotto nel 2009 presso il “Center for the Mind” di Sidney, in Australia, da Sophie Ellwood e colleghi. Fu chiesto ai partecipanti, che si erano volontariamente sottoposti alle prove, di pensare quanti più usi possibile di un pezzo di carta; furono poi divisi in tre gruppi: il primo gruppo poté dedicarsi continuativamente al compito per quattro minuti; il secondo gruppo dovette interrompere dopo due minuti e, per cinque minuti, dedicarsi ad un esercizio non troppo diverso, consistente nel trovare sinonimi di una lista vocaboli, dopodiché poté completare il compito iniziale; infine, il terzo gruppo, seguendo una simile interruzione, fu impegnato invece in una prova totalmente diversa, come rispondere alle domande di un test di personalità.

Il primo gruppo, cioè quello che non era stato obbligato ad interrompere, fece registrare il risultato più modesto nell’elencare gli usi possibili del pezzo di carta. Entrambi i gruppi di persone che erano state interrotte riuscirono a pensare a un numero maggiore di impieghi della carta, ma i risultati migliori vennero da coloro che erano stati impegnati nell’attività differente, ossia il test di personalità.

È difficile non concordare con Giuseppe Perrella quando afferma che questo studio, ed altri simili, sembrano più provare la generica efficacia sulle prestazioni cognitive dello stimolo costituito dal cambiamento della base neurofisiologica attiva, che un incremento della creatività per un’alternanza di compiti della durata di pochi minuti[2].

Concludendo questo paragrafo sugli studi che hanno impiegato metodi intesi ad accrescere le capacità creative, notiamo che nessuno di quelli venuti alla nostra attenzione ci sembra abbia isolato, esercitato e misurato selettivamente i processi psichici oggetto dell’interesse sperimentale, pertanto auspichiamo una riflessione e un ripensamento dei riferimenti teorici e della prassi, perché si accresca l’efficacia e l’utilità di questo genere di lavori[3].

 

4. Esiste davvero una “giusta distanza” per la creatività? Al “Seminario Permanente sull’Arte del Vivere” della nostra società neuroscientifica, la “distanza psichica” è un riferimento fondamentale e imprescindibile per valutare il funzionamento mentale, e la “giusta distanza” da persone, cose, avvenimenti, fatti, eventi ed altri oggetti astratti o materiali, è rappresentata come un’auspicabile punto di arrivo in un processo di evoluzione consapevole verso un’armonica, salutare ed equilibrata realizzazione di sé[4]. Anche se nulla di tutto questo sembra essere preso in considerazione quando si parla di distanza ottimale per la creatività, molti ricercatori hanno considerato la “distanza”, secondo la più generica accezione comune, quale parametro variante in rapporto ai processi creativi[5].

L’influenza della distanza è stata messa alla prova in uno studio condotto da Lile Jia, allora alla Indiana University Bloomington, con un team di colleghi che, dopo aver dato a degli studenti il compito della soluzione di problemi pratici, li ha divisi in tre gruppi: al primo gruppo è stato detto che i risultati sarebbero stati raccolti per studiosi di una università sita ad alcune migliaia di chilometri di distanza; al secondo gruppo è stato detto che i risultati sarebbero stati inviati a ricercatori della loro stessa università; al terzo gruppo non sono state date informazioni al riguardo. Davvero rilevanti gli esiti: gli studenti che ritenevano di star lavorando per ricercatori lontani, sconosciuti e che probabilmente non avrebbero mai incontrato, sono riusciti a risolvere correttamente il doppio dei problemi degli altri gruppi di studenti. Come mai?

L’interpretazione degli autori dello studio vuole che la distanza psicologica abbia indotto gli studenti ad approcciare i problemi in termini più astratti, cosa che li avrebbe facilitati nel trovare soluzioni[6].

Perrella suggerisce due altri possibili fattori di influenza: 1) la distanza può aver ridotto la tensione emotiva, con la sua attivazione dei sistemi dello stress che riducono l’efficienza dei processi cognitivi non automatici; 2) gli studenti del primo gruppo, sapendo che il loro lavoro sarebbe stato impiegato da ricercatori lontani, potrebbero aver considerato la prova non tanto come una sorta di compito scolastico, ma come un’autentica partecipazione ad un lavoro di ricerca, ricevendone uno stimolo che avrebbe migliorato l’efficienza cognitiva[7].

Un altro tipo di distanza psicologica posto al vaglio sperimentale è la distanza temporale. La psicologa Nira Liberman della Tel Aviv University e i suoi colleghi hanno chiesto ai volontari partecipanti a un loro studio di immaginare se stessi nel futuro, secondo due quadri temporali distinti e distanti: un giorno dopo e un anno dopo. Poi, i ricercatori hanno assegnato una serie di problemi da risolvere ed hanno chiesto ai volontari di immaginare se stessi nel lavorare a quei compiti, come se fossero rispettivamente un giorno dopo o un anno dopo. I volontari cui era stato chiesto di proiettarsi nell’immaginario temporale più lontano (un anno dopo) hanno risolto un numero significativamente più elevato di problemi di quelli che erano stati indotti a spostarsi mentalmente avanti di un solo giorno.

Anche in questo caso, Perrella suggerisce che la maggiore distanza possa aver agito non da fattore che “accresce la creatività” ma da elemento che riduce un condizionamento negativo (l’attualità è più legata all’evocazione di stress-emozione) per le prestazioni cognitive.

 

[continua]

 

L’autore della nota, che ringrazia il presidente della Società Nazionale di Neuroscienze con il quale ha studiato e discusso l’argomento trattato e dal quale ha ricevuto correzioni e integrazioni preziose, suggerisce la lettura di tutti gli scritti di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Lorenzo L. Borgia

BM&L-10 maggio 2014

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Cfr. Giuseppe Perrella, Introduzione al lavoro del Gruppo di Studio sulla Creatività, p. 4. (relazione tenuta il primo marzo 2014). BM&L-Italia, Firenze 2014.

[2] Cfr. Giuseppe Perrella, op. cit., p. 5.

 

[3] Nella sua lucida analisi, il presidente della nostra Società ha dimostrato che alcuni, fra i più citati studi psicologici sulla creatività, hanno in realtà finito per indagare e valutare in modo approssimativo processi e parametri studiati, con un nome diverso in maniera molto più rigorosa, sistematica ed esperta, da scuole che si occupano di processi cognitivi (percezione, attenzione, memoria, apprendimento e linguaggio) e di psicologia dell’intelligenza.

[4] Cfr. Lorenzo L. Borgia e Roberto Colonna (a cura di), Introduzione al lavoro del Seminario sull’Arte del Vivere (con appunti tratti da registrazioni), II fascicolo, 2008-2013, p. 1, BM&L-Italia, Firenze e Roma 2013.

[5] Anche in questo caso, come si vedrà più avanti, processi cognitivi eterogenei quali la soluzione di un problema o la capacità di anticipazione e immaginazione, sono accomunati nella categoria di “processi creativi”, cfr. Giuseppe Perrella, op. cit., p. 5.

 

[6] Il lavoro è citato alla p. 92 di Evangelia G. Chrysikou in Your fertile brain at work (“The mad science of creativity”) Scientific American Mind  23 (1): 86-93,  2014.

[7] Cfr. Giuseppe Perrella, op. cit., p. 14.