Come la scena uditiva naturale conferisce dimensione spaziale al nostro udito

 

 

DIANE RICHMOND

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XII – 26 aprile 2014.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Numerose osservazioni confermano l’esistenza nella nostra mente di associazioni che portano ad un’inferenza automatica di qualità spaziali nella percezione uditiva di frequenze isolate e sequenze acustiche elaborate.

Il tono uditivo sembra avere una connotazione spaziale intrinseca: i suoni sono alti o bassi, le melodie ascendenti o discendenti, i toni crescenti o calanti. In un’ampia gamma di funzioni cognitive, percettive, attentive e linguistiche, i numerosi volontari studiati hanno mostrato una corrispondenza positiva, e talvolta assoluta, fra la frequenza del suono e l’elevazione spaziale percepita, con l’alta frequenza mappata quale alta elevazione.

Cesare V. Parise, Katharina Knorre e Marc O. Ernst del Max Plank di Tübingen e della Bielefeld University hanno dimostrato che la tonalità, ossia la frequenza che caratterizza un suono o un insieme di suoni in chiave tonale, prende a prestito la sua connotazione spaziale dalla statistica delle scene uditive naturali. Questo risultato suggerisce che elementi e fenomeni tanto diversi quanto la conformazione convoluta dell’orecchio esterno, l’uso universale di termini spaziali per descrivere i toni o la ragione per cui le note più acute sono rappresentate più in alto nei pentagrammi degli spartiti musicali, abbiano una comune origine nell’adattamento alla statistica delle scene uditive naturali (Aubrey M. Kelly & James L. Goodson, Natural auditory scene statistics shapes human spatial hearing. Proceedings of The National Academy of Sciences USA - Epub ahead of print doi: 10.1073/pnas.1322705111, 2014).

La provenienza degli autori dello studio è la seguente: Max Plank Institute for Biological Cybernetics and Bernstein Center for Computational Neuroscience, Tübingen (Germania); Cognitive Neuroscience Department and Cognitive Interaction Technology-Center of Excellence, Bielefeld University, Bielefeld (Germania).

Il lavoro è stato edito da Dale Purves, Duke University, Durham, NC.

Come per altre modalità sensoriali, gli assoni dei recettori dell’udito terminano nel cervello in una maniera ordinata, formando mappe della superficie recettoriale. L’organizzazione dei nuclei uditivi è detta tonotopica perché gli inputs provenienti dalle cellule ciliate dell’organo acustico del Corti, situato nella coclea[1], sono arrangiati in modo tale da creare un’ordinata successione nella sensibilità alle frequenze, cellula per cellula, che riflette l’organizzazione funzionale delle stesse cellule ciliate audio-recettrici della coclea. È noto che i neuroni della corteccia uditiva primaria (corrispondente all’area 41 della mappa citoarchitettonica di Brodmann) continuano a rappresentare secondo una fedele corrispondenza topografica le qualità dello stimolo nella posizione della mappa del recettore e dei nuclei, ma mostrano una reattività più specifica, intensa e selettiva per altri caratteri dell’esperienza acustica. Ad esempio, alcuni gruppi di tali neuroni rispondono con alta sensibilità ed efficienza alle vocalizzazioni dei membri della stessa specie e sono alla base della capacità selettiva delle madri di riconoscere le frequenze acustiche dei propri neonati o lattanti.

Come fu dimostrato da Mortimer Mishkin e Leslie Ungerleider per la percezione visiva, anche nel caso della modalità sensoriale uditiva l’informazione in arrivo alla corteccia segue due vie parallele, una ventrale e l’altra dorsale, con ruoli fisiologici diversi. L’informazione acustica che codifica la parola udita è trasmessa nel lobo temporale all’area di Wernicke, che ha un importante ruolo nella comprensione dei messaggi verbali, e nella corteccia frontale all’area di Broca, implicata nella produzione della parola, eseguita grazie ai sistemi di articolazione motoria del linguaggio.

La percezione umana, la cognizione e l’azione, sono legate ad una organizzazione anatomica secondo mappe che seguono precisi criteri topografici, ma che appaiono talora arbitrarie in termini fisiologici. In particolare, l’esperienza del suono presenta una forte connotazione spaziale nella sua rappresentazione mentale, che in passato è stata considerata in termini psicologici astratti dalla base neurale che la produce. Si è ritenuto, infatti, che l’ideazione umana avesse creato per semplice similitudine metaforica con esperienze visive, figure quali quelle dei suoni alti o bassi, per indicare toni acuti o gravi, l’andamento in ascesa o in discesa delle melodie, come in un sorgere o tramontare, in un salire o scendere rapidamente delle scale o delle rampe, o anche l’universale e sistematica descrizione del procedere dei toni verso frequenze più acute, come un’elevazione.

Il sospetto dell’esistenza di una tendenza (bias) neurobiologica, decifrabile in termini morfo-funzionali, esiste sicuramente da lungo tempo presso la comunità scientifica, anche se solo dopo l’affermarsi di descrizioni neurobiologiche della mente, come quella di Edelman, è cresciuta la fiducia nella possibilità di individuare un sostrato per questa forma di concettualizzazione.

Parise, Knorre ed Ernst hanno indagato l’origine di questa tendenza alla descrizione figurata spaziale del suono[2] ponendosi questi interrogativi: si tratta di una formazione di mappe che origina da costrizioni funzionali? Riflette statistiche ambientali o è puramente arbitraria?

Allo scopo di sottoporre a verifica sperimentale questi quesiti, i ricercatori hanno registrato suoni naturali provenienti dall’ambiente ed hanno analizzato il filtro dell’orecchio esterno dipendente dall’elevazione, ed hanno poi misurato le tendenze umane, dipendenti dalla frequenza delle onde acustiche, nella localizzazione del suono.

Il risultato mostra che la statistica della scena uditiva rivela un chiaro rapporto di mappa fra frequenza ed elevazione. Un aspetto, che con gli autori riteniamo ancora più interessante, è che questa mappatura statistica naturale è strettamente rispecchiata sia nelle proprietà di filtro dell’orecchio sia nella localizzazione percepita del suono.

Questo rilievo suggerisce che, sia l’andamento di localizzazione del suono che l’anatomia dell’orecchio, sono rapportate con la selettiva precisione di una “sintonia fine” alla statistica delle scene uditive naturali, probabilmente fornendo la base per la connotazione spaziale dell’udito umano.

 

L’autrice della nota ringrazia il presidente della Società Nazionale di Neuroscienze, con il quale ha discusso l’argomento trattato, e la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza, e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Diane Richmond

BM&L-26 aprile 2014

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Nella struttura dell’orecchio interno la coclea, o parte cocleare del labirinto, è una sorta di tubo a spirale che nell’uomo compie 2 giri e 3/4, ed è diviso in tutta la lunghezza, dalla membrana basale e dalla membrana di Reissner in 3 camere o rampe (rampa vestibolare, rampa timpanica e rampa media). Sulla membrana basilare si trova l’organo del Corti che contiene le cellule audio-recettrici o cellule ciliate interne e cellule ciliate esterne, le cui cilia attraversano la lamina reticolare e sono infisse nella membrana tettoria.

[2] In numerosi scritti di G. Perrella si ritrovano riferimenti a questa bias, corredati di convincenti argomentazioni a favore di un’interpretazione come epifenomeno di una struttura biologica della cognizione, che risente della formazione dei paradigmi elementari di elaborazione dell’esperienza su base spaziale. Perrella prende le mosse dall’esperienza del dentro/fuori del proprio corpo, del davanti/dietro, del sopra/sotto, eccetera.