Intelligenti inferenze del cervello nella percezione visiva

 

 

DIANE RICHMOND

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XII – 12 aprile 2014.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Non sono pochi i ricercatori che negli ultimi decenni hanno studiato i processi cerebrali della percezione visiva per cercare di decifrare le basi neurali della mente. Dalle regole desunte dal riconoscimento di immagini, impiegate per comprendere processi cognitivi, ai correlati dell’esperienza visiva consapevole, studiati come fenomeni neurali responsabili della coscienza, molti elementi originati da questi studi stanno contribuendo al lento ma continuo progresso dello studio scientifico della psiche. Due istruttivi lavori sperimentali, che saranno pubblicati nelle prossime settimane e che qui recensiamo in anteprima, sembrano illustrare bene il prototipo degli studi che, esplorando i processi della percezione visiva, forniscono interessanti chiavi per interpretare i meccanismi operanti nelle attività di alto livello cognitivo.

Il primo dei due è stato condotto da Jeffrey Gavornik e Mark Bear ed ha consentito di rilevare che la ripetuta presentazione di una sequenza visiva nel corso di giorni causa il potenziamento di risposte evocate in V1, altamente specifico per l’ordine degli stimoli e per la loro temporizzazione. Se V1 viene esercitata per il riconoscimento della sequenza, l’attività corticale rigenererà l’intera sequenza anche quando singoli stimoli sono stati omessi.

Nel secondo studio, Jason Fischer e David Whitney, si sono chiesti come faccia il sistema nervoso a registrare la continuità e la stabilità del mondo fisico circostante a fronte di un input visivo spesso discontinuo, perché disturbato da movimenti del corpo, del capo, degli occhi, da variazioni di illuminazione e da tanti altri elementi accidentali. La risposta è l’esistenza di una dipendenza della percezione da strutture seriali memorizzate che favoriscono la stabilità visiva nel tempo.

Ma ora consideriamo più in dettaglio, singolarmente, i punti salienti dei due studi, per coglierne il collegamento con i processi cognitivi di alto livello.

Cominciamo da Gavornik e Bear (Jeffrey P. Gavornik & Mark F. Bear, Learned spatiotemporal sequence recognition and prediction in primary visual cortex. Nature Neuroscience – Epub ahead of print doi: 10.1038/nn.3683, 2014).

La provenienza degli autori dello studio è la seguente: Howard Hughes Medical Institute, The Picower Institute for Learning and Memory, Department of Brain and Cognitive Sciences, Massachusetts Institute of Technology, Cambridge, Massachusetts (USA).

La capacità di imparare a riconoscere e prevedere sequenze temporali è fondamentale per la percezione sensoriale, ma questa risorsa funzionale è compromessa in molti disturbi neuropsichiatrici. Si comprende l’importanza della sperimentazione che cerca di accertate come e dove questo apprendimento abbia luogo nel cervello. Gavornik e Bear hanno scoperto che la ripetuta presentazione di sequenze visive, nel corso di giorni, determinava un potenziamento di risposta evocata nell’area V1 del topo, che era altamente specifico per l’ordine di successione degli stimoli e per il parametro tempo.

Gli esperimenti condotti dopo aver esercitato a lungo l’area V1 nel riconoscimento della sequenza da parte dell’animale, hanno consentito di stabilire che l’attività corticale riproduceva l’intera sequenza, anche quando i singoli stimoli erano del tutto omessi.

Si può concordare con i due autori dello studio, che l’insieme dei dati emersi dalla loro sperimentazione - per il cui dettaglio si rimanda alla lettura integrale dell’articolo originale - costituiscono un progresso nella comprensione di come il cervello sia in grado di sviluppare, sulla base di informazioni limitate, inferenze intelligenti per formare percetti visivi. Un tale processo corticale si presenta come modalità paradigmatica che, fino a prova del contrario, dovrebbe operare per processi cognitivi di ogni grado di complessità ed astrazione.

Consideriamo ora lo studio condotto da Jason Fischer e David Whitney (Jason Fischer & David Whitney, Serial dependence in visual perception. Nature Neuroscience – Epub ahead of print doi: 10.1038/nn.3689, 2014).

La provenienza degli autori dello studio è la seguente: Department of Brain and Cognitive Sciences, Massachusetts Institute of Technology, Cambridge, Massachusetts (USA); McGovern Institute for Brain Research, Massachusetts Institute of Technology, Cambridge, Massachusetts (USA); Helen Wills Neuroscience Institute, University of California, Berkley, California (USA).

L’input visivo spesso arriva in un flusso disturbato e discontinuo, per varie ragioni: occlusione, movimenti del capo e degli occhi, variazioni di intensità e tipo di illuminazione, e così via. A fronte di questo materiale in entrata eterogeneo e variabile, il mondo fisico è generalmente stabile con oggetti e caratteristiche fisiche che raramente cambiano spontaneamente. In che modo il sistema cerebro-visivo umano capitalizza la continuità dell’ambiente fisico nel corso del tempo?

La sperimentazione condotta da questi due ricercatori evidenzia che la percezione visiva negli esseri umani è “serialmente dipendente” ed usa l’input passato e presente per informare il processo percettivo attuale. Impiegando un compito di giudizio sull’orientamento, Fischer e Whitney hanno osservato che, anche quando l’input visivo cambiava casualmente nel tempo, l’orientamento percepito era fortemente e sistematicamente influenzato da stimoli visti recentemente[1]. La forza di questa influenza era modulata dall’attenzione e sintonizzata alla prossimità spaziale e temporale degli stimoli successivi.

Questi risultati rivelano una dipendenza seriale nella percezione, caratterizzata da una sorta di “operatore” in registro spazio-temporale e selettivo per l’orientamento, al quale i ricercatori hanno dato il nome di “campo di continuità” (continuity field). Tale campo sarebbe responsabile della promozione della stabilità dell’interpretazione dell’input visivo nel tempo. Non è difficile vedere in questa funzione una similitudine con processi cognitivi che operano distinzioni concettuali su oggetti astratti.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e suggerisce la lettura delle numerose recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Diane Richmond

BM&L-12 aprile 2014

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Cfr. le tesi esposte da G. Perrella in “Il giudizio per comparazione quale paradigma costante dall’interpretazione della percezione alla formazione di opinioni su argomenti astratti”, BM&L-Italia, Firenze, 2003.