Nuovo ruolo degli astrociti nella malattia di Huntington

 

 

NICOLE CARDON

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XII – 12 aprile 2014.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Lo studio degli astrociti nella malattia di Huntington risale ad oltre vent’anni fa, ma solo poche evidenze provenienti dalla sperimentazione genetica sono apparse veramente rilevanti. L’espressione dell’huntingtina espansa negli astrociti è stata riconosciuta già da molto tempo[1], ma vi è stata una scarsa attenzione per gli effetti della proteina anomala su queste cellule della glia. Una funzione tipicamente alterata in molte malattie è la clearance del glutammato astrocitario e, in effetti, in modelli murini della malattia di Huntington è stato dimostrato che l’accumulo dell’huntingtina patologica nel nucleo riduce l’espressione dei trasportatori del glutammato. Negli studi sull’uomo, però, gli effetti della proteina espansa sull’astroglia rimangono controversi.

Recenti studi genetici hanno evidenziato l’importanza degli astrociti: l’espressione della proteina alterata, ristretta ai soli neuroni con risparmio delle cellule astrocitarie, ha prodotto una patologia striatale notevolmente più limitata e deficit motori decisamente minori[2]. In contrasto, l’espressione della proteina alterata nei soli astrociti portava a sintomi simili a quelli della malattia di Huntington o peggiorava la progressione della malattia quando incrociata in classici modelli sperimentali[3].

Infine, vari studi hanno accertato che, oltre agli effetti sul trasporto del glutammato, l’espressione dell’huntingtina anomala interessa il rilascio di chemochine e fattori di crescita, incluso il BDNF. È interessante notare che la perdita di BDNF è considerata un contrassegno molecolare distintivo della malattia di Huntington e, come facevano rilevare Chiara Zuccato ed Elena Cattaneo in una loro review del 2009, è stata prevalentemente ascritta alla riduzione di neuroni. Studi seguenti hanno poi accertato che la perdita di BDNF negli astrociti è parte della patologia, sebbene il meccanismo non sia stato ancora accertato. La terapia sostitutiva con BDNF è stata tentata sperimentalmente e due approcci diversi sono stati diretti sull’espressione transgenica di BDNF, riportando un allungamento dei tempi del processo patologico[4].

Ora, un nuovo studio condotto da Xiaoping Tong e collaboratori, ha verificato l’esistenza e la rilevanza di un’alterazione negli astrociti di modelli sperimentali della malattia non rilevata in precedenza: il deficit dei canali ionici Kir4.1.

Il lavoro, condotto presso la UCLA, ha rilevato che l’alterata eccitabilità dei neuroni spinosi medi, tipica della malattia, e l’insorgenza stessa dei sintomi, sono associate ad una ridotta espressione dei canali ionici Kir4.1 e ad un’alterata gestione del K+ da parte degli astrociti. L’espressione esogena di Kir4.1 è risultata efficace nel consentire un recupero, almeno parziale, delle funzioni motorie alterate, e nel determinare il prolungamento della sopravvivenza (Tong X., et al., Astrocyte Kir4.1 ion canne deficits contribute to neuronal dysfunction in Huntington’s disease model mice. Nature Neuroscience – Epub ahead of print doi: 10.1038/nn.3691, 2014).

La provenienza degli autori dello studio è la seguente: Department of Neurology, David Geffen School of Medicine, University of California Los Angeles, Los Angeles, California (USA); Department of Physiology, David Geffen School of Medicine, University of California Los Angeles, Los Angeles, California (USA); Department of Neurobiology, David Geffen School of Medicine, University of California Los Angeles, Los Angeles, California (USA); Department of Cell, Developmental and Integrative Biology, University of Alabama at Birmingham, Birmingham, Alabama (USA).

La malattia di Huntington[5] è una patologia neurodegenerativa ereditata come un carattere autosomico dominante e causata da un’espansione della ripetizione della tripletta (CAG) codificante la glutammina nel gene della proteina huntingtina. La malattia si sviluppa per un numero di unità di glutammina dalle 36 in su e l’età di insorgenza è inversamente associata alla lunghezza della ripetizione di CAG. I sintomi predominanti sono costituiti da manifestazioni motorie anomale, quali corea e distonia, da declino cognitivo, alterazioni della personalità e morte precoce. Se l’età d’insorgenza più spesso documentata negli studi clinico-epidemiologici è tra i 35 e i 45 anni, sono state riportate anche diagnosi agli estremi della vita, la più precoce a 2 anni di età e quella in età più tarda è stata posta ad 85 anni. La prevalenza mondiale è stimata tra i 5 e i 10 casi su 10.000.

Da un punto di vista neuropatologico la malattia di Huntington è caratterizzata da una grave atrofia del nucleo caudato e del putamen. La popolazione neuronica più vulnerabile è costituita dai neuroni spinosi di medie dimensioni dello striato: si tratta di interneuroni inibitori che sintetizzano e rilasciano GABA. Si sviluppa, in genere, una degenerazione secondaria del globo pallido, a causa della perdita delle proiezioni striato-pallide e dell’atrofia corticale. In contrasto, le cellule di Purkinje sono sempre risparmiate, eccetto alcuni casi ad insorgenza in età giovanile.

Xiaoping Tong e collaboratori hanno preso le mosse dal dato citopatologico più noto ed estesamente confermato in reperti autoptici e modelli sperimentali della malattia: la disfunzione dei neuroni spinosi medi delle formazioni grigie della base encefalica ascritte al cosiddetto “corpo striato”. I ricercatori hanno osservato che, nonostante le numerose ricerche volte ad accertare le cause di questa disfunzione, ancora non si dispone di dati significativi e chiari. Sulla base di elementi emersi da studi precedenti, hanno rivolto la loro attenzione agli astrociti, esplorandone i possibili ruoli nel determinarsi di questa alterazione interneuronica.

La sperimentazione ha dimostrato che l’insorgenza dei sintomi nei modelli sperimentali murini R6/2 e Q175 non era associata con la classica astrogliosi, ma si poteva mettere in rapporto con una ridotta espressione funzionale del canale del K+ Kir4.1. Questo deficit fisiologico del canale ionico portava, in vivo, all’elevazione dello ione potassio extracellulare, che accresceva l’eccitabilità in vitro degli interneuroni spinosi medi striatali.

Per verificare la reale importanza per gli effetti rilevati del canale ionico studiato, i ricercatori hanno provveduto alla verifica genetica mediante invio virale di canali Kir4.1 negli astrociti dei nuclei dello striato. Questo esperimento ha dimostrato l’importanza del canale del potassio astrogliale per gli interneuroni: i canali Kir4.1 veicolati agli astrociti dai virus si sono dimostrati in grado di ristabilire la funzione ionica deficitaria, normalizzando la concentrazione extracellulare di K+, determinando miglioramenti di aspetti della disfunzione degli interneuroni spinosi di medie dimensioni, prolungando la sopravvivenza dell’animale ed attenuando alcuni tratti del fenotipo motorio del modello R6/2.

L’insieme dei risultati emersi da questo studio indicano che componenti dell’alterata eccitabilità dei neuroni spinosi medi striatali nella malattia di Huntington possono essere dovute a un disturbo, fino ad oggi sconosciuto, dell’omeostasi del K+ mediata dagli astrociti. Naturalmente, se questi dati saranno confermati e l’importanza del meccanismo risulterà rilevante, gli astrociti e i canali Kir4.1 potranno essere sperimentati come bersaglio terapeutico.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e suggerisce la lettura delle numerose recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Nicole Cardon

BM&L-12 aprile 2014

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Li, et al., Neuron 11 (5): 985-993, 1993; Trottier et al., Nat Gen 10 (1): 104-110, 1995.

[2] Gu, et al., Mol Neurodegener 2: 8, 2007.

[3] Bradford, et al., PNAS USA 106 (52): 22480-22485, 2009; Bradford, et al., J Biol Chem (14): 10653-10661, 2010.

[4] Arregui, et al. Cell Mol Neurobiol 31 (8): 1229-1243, 2011; Giralt, et al. Gene Ther 17 (10): 1294-1308, 2010.

[5] Si raccomanda la lettura delle numerose recensioni di studi sulla malattia di Huntington presenti sul nostro sito (si veda, in particolare, nelle “NOTE E NOTIZIE”); l’insieme degli scritti costituisce, di fatto, una breve ma aggiornata trattazione monografica della malattia.