Nuove evidenze di protoni agenti da neurotrasmettitori
NICOLE CARDON
NOTE
E NOTIZIE - Anno XII – 05 aprile 2014.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli
oggetti di studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo:
RECENSIONE]
Anche quando già si conosceva una cinquantina di neurotrasmettitori, l’acetilcolina, le amine biogene, il GABA e il glutammato erano di gran lunga le molecole più studiate come mediatori chimici dell’impulso nervoso. Per questo motivo, a lungo, la concezione della sinapsi chimica si è basata su un modello di neurotrasmissione convenzionale che non ha dato molto spazio ai progetti di ricerca volti a proseguire le indagini su possibilità di segnalazione alternative a quelle note.
Se è vero che periodicamente si è assistito ad un riaccendersi dell’attenzione e dell’interesse per la segnalazione retrograda, per i neurotrasmettitori non convenzionali e per forme di modulazione dell’attività sinaptica di recente acquisizione, è pur vero che una certa resistenza è stata opposta, in vari ambienti, all’idea che degli ioni potessero essere considerati non semplici fattori influenzanti gli stati elettrici e i meccanismi di rilascio, ma veri e propri protagonisti nel determinare gli effetti post-sinaptici generalmente indotti dal legame di un neurotrasmettitore convenzionale con il suo recettore.
Nel tempo, si sono accumulate prove che i protoni agiscono come neuromediatori, ma evidenze decisive non erano state documentate. Recentemente, lo studio della giunzione neuromuscolare di Drosophila melanogaster e Caenorabditis elegans ha prodotto dati significativi a supporto del ruolo dei protoni quali importanti mediatori della segnalazione intercellulare, agendo da modulatori del rilascio pre-sinaptico o dei canali ionici in cellule adiacenti.
Stephen M. Highstein e colleghi hanno ottenuto
dirette evidenze di un ruolo dei protoni in un amniote[1]
contemporaneo, nel quale agiscono come neurotrasmettitori non quantici che convogliano
stimoli eccitatori da cellule vestibolari dell’orecchio interno tipo I ai loro partner postsinaptici, cellule dei
calici (Highstein S. M., et al., Evidence that protons act as
neurotransmitters at vestibular hair cell-calyx afferent synapses. Proceedings of the National Academy
of Sciences USA – Epub ahead of print doi:
10.1073/pnas.1319561, 2014).
La provenienza degli autori dello
studio è la seguente: Department of Neurology, Department of Neuroscience,
Department of Biological Chemistry, Johns Hopkins University, Baltimore (USA);
Department of Neuroscience and the Farber Institute for Neurosciences, Thomas
Jefferson University, Philadelphia (USA); Neuroscience Research Institute and
Department of Molecular, Cellular & Developmental Biology, University of
California, Santa Barbara, Santa Barbara (USA); Howard Hughes Medical
Institute, Department of Neuroscience, University of Pennsylvania, Philadelphia
(USA).
L’azione degli ioni nella trasmissione sinaptica è legata alla genesi dell’impulso per depolarizzazione della membrana, e ci riporta alle ipotesi pionieristiche che erano seguite alle prime descrizioni morfologiche di Ramon y Cajal: si riteneva che la propagazione dell’impulso in tutte le sinapsi fosse dovuta esclusivamente a fenomeni ionici. Dopo la scoperta da parte di Otto Loewi che l’acetilcolina conduce segnali dal nervo vago al cuore, si affermarono due scuole di pensiero, quella guidata dall’autorevole allievo di Sherrington poi insignito del Nobel, John Eccles, che riteneva esclusivamente elettrica la trasmissione dell’impulso, e quella guidata da Henry Dale, che sosteneva l’intervento di neuromediatori. Entrambe le scuole ipotizzavano l’esistenza di un’unica modalità per tutte le giunzioni ma, come è noto, entrambe erano in errore. Stabilita l’esistenza sia della trasmissione diretta, sia di quella mediata da un composto chimico, si distinsero tutte le sinapsi in elettriche e chimiche, ma, poiché queste ultime erano di gran lunga le più numerose negli organismi filogeneticamente più recenti, divennero ben presto un oggetto privilegiato di studio.
Le sinapsi elettriche sono considerate filogeneticamente più antiche ed abbondano in organismi semplici come molluschi e pesci, tuttavia sono presenti anche nel nostro cervello. La trasmissione delle sinapsi elettriche, descritta per la prima volta da Edwin Furshpan e David Potter, è interessante perché i canali ionici regolati da voltaggio del neurone presinaptico generano la corrente che depolarizza pressoché istantaneamente anche il neurone post-sinaptico. Per generare una corrente così forte, il terminale presinaptico deve essere grande abbastanza da contenere molti canali ionici, e per questo è in genere di dimensioni maggiori della struttura post-giunzionale[2]. Da un punto di vista fisiologico, alcune proprietà delle sinapsi elettriche ci rendono conto della loro efficacia ed utilità che le ha conservate nel corso dell’evoluzione. La proprietà più importante è senz’altro la rapidità dovuta al diretto passaggio della corrente: un esempio di comportamento consentito da queste giunzioni è il colpo di coda che consente ai pesci rossi di fuggire con uno scatto improvviso. In questi piccoli pesciolini, che spesso si tengono negli acquari domestici, un neurone gigante del tronco encefalico, la cellula di Mauthner, depolarizzata da sinapsi elettriche attivate dalla percezione, attiva i motoneuroni della coda. Sono sinapsi elettriche le tre giunzioni che consentono il riflesso di eiezione della nube di inchiostro ad Aplysia californica, il mollusco che ha consentito a Kandel e colleghi di scoprire le basi della memoria. La seconda virtù biologica delle sinapsi elettriche è l’efficacia nell’orchestrazione di grandi gruppi di neuroni, perché la velocità di propagazione dell’impulso crea una simultaneità di fatto. Questa seconda proprietà, espressa grazie alle gap junction, nel nostro cervello, e in quello degli altri mammiferi, consente l’accensione sincronica dei neuroni inibitori accoppiati elettricamente, con la genesi di oscillazioni di alta frequenza.
Se abbiamo presenti le proprietà delle sinapsi chimiche, non ci riesce difficile accettare l’idea che la neuromediazione protonica possa rappresentare una soluzione in un certo senso intermedia, sviluppatasi nel corso dell’evoluzione. Con la classica trasmissione basata sul neurotrasmettitore si sviluppa tutta una gamma fisiologica di possibilità legata ai recettori.
Ma ritorniamo al lavoro recensito. Sembra che la trasmissione protonergica agisca di concerto con i meccanismi classici e doti questo sistema di un meccanismo metabolicamente efficiente per evocare la depolarizzazione tonica del neurone post-sinaptico. È ragionevole supporre che simili meccanismi di segnalazione interneuronica mediata da protoni, esistano nel sistema nervoso centrale dei mammiferi, incluso il nostro cervello.
La sperimentazione condotta Stephen M. Highstein e colleghi, per il cui dettaglio estremamente tecnico si rimanda i lettori interessati al testo integrale del lavoro originale, fornisce dati che supportano la conclusione che i protoni servono come importante trasmettitore per convogliare stimoli eccitatori dalle cellule ciliate vestibolari di tipo I dell’orecchio interno alle cellule partner post-sinaptiche. Il pH-imaging a risoluzione temporale ha rivelato l’estrusione di protoni evocata dallo stimolo, dalle cellule ciliate e un conseguente accumulo di [H+] all’interno della fessura sinaptica conformata a calice (∆pH ~ – 0.2).
La registrazione dalla cellula intera (whole cell voltage clamp recordings) rivelava una concomitante corrente post-sinaptica eccitatoria non quantica nel terminale a calice, che era causalmente determinata dall’acidificazione della fessura.
La durata temporale dell’accumulo di protoni limita la velocità di questo meccanismo di segnalazione intercellulare, ma per segnali tonici, quali la gravità, la trasmissione protonergica offre un significativo vantaggio metabolico sulle correnti post-sinaptiche eccitatorie di tipo quantico; un vantaggio che potrebbe avere indotto la conservazione, nel corso della filogenesi, permanendo nei neuroni degli amnioti contemporanei.
L’autrice della nota ringrazia la
dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e suggerisce la
lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE
E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
[1] Gli a amnioti sono uno dei due cladi del taxon dei tetrapodi vertebrati, l’altro essendo amphibia. Sono caratterizzati da uno sviluppo embrionale che comprende la formazione di amnios, corion ed allantoide, dall’assenza della larva con nascita dei piccoli che sono copie in miniatura degli individui genitoriali. Gli amnioti sono distinti in primitivi (trovati resti a partire dal carbonifero superiore) e contemporanei; questi ultimi comprendono i vertebrati superiori, ossia rettili, uccelli e mammiferi.
[2] Questo perché una cellula piccola ha una resistenza all’input (Rin) maggiore di una cellula grande e, secondo la legge di Ohm (∆V = I x Rin), va incontro ad una maggiore variazione di voltaggio (∆V) in risposta ad una corrente presinaptica (I).