La mecasermina nella sindrome di Rett
NICOLE CARDON
NOTE
E NOTIZIE - Anno XII – 22 marzo 2014.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli
oggetti di studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo:
RECENSIONE]
Omar S. Khwaja e colleghi hanno condotto uno studio per valutare la possibilità di impiego terapeutico, dopo un’intensa sperimentazione preclinica, della mecasermina nel trattamento della sindrome descritta per la prima volta da Andreas Rett nel 1966.
La sindrome di Rett è un grave disturbo neuroevolutivo associato al cromosoma X, che colpisce bambine apparentemente normali alla nascita, manifestandosi fra i 6 e i 18 mesi, con una drammatica regressione evolutiva, caratterizzata dalla perdita delle abilità linguistiche e manuali acquisite. L’evoluzione è progressiva e, ai sintomi della fase iniziale, segue un evidente deficit cognitivo (definito impropriamente “ritardo mentale”), una compromissione del controllo motorio e lo sviluppo di movimenti ripetitivi delle mani, che possono contribuire a far pensare erroneamente ad un disturbo autistico. La prevalenza è complessivamente di 1 a 15.000, e sono stati descritti numerosi casi di ragazze che sono giunte all’età adulta.
Come in una recensione di un interessante lavoro sulla biologia molecolare della sindrome di Rett dello scorso anno, alla quale si rinvia il lettore[1], si cita un brano tratto da “Viaggio nel DSM-5” per ricordare l’esclusione dal DSM-5 di questa malattia genetica, paradossalmente ora che è possibile fare una diagnosi di certezza: “La sindrome, descritta per la prima volta da Andreas Rett nel 1966, è una grave patologia neuroevolutiva caratterizzata da arresto dello sviluppo fisico, ritardo mentale, deficit del linguaggio e delle abilità sociali; legata al cromosoma X, è dovuta a mutazioni nel gene che codifica la proteina MECP2, spesso aberrante nell’autismo. Per inciso, ricordo che MECP2 è nota come proteina regolatrice della cromatina al pari della coesina, il cui fenotipo mutato è al’origine della sindrome di Cornelia De Lange. Oltre quarant’anni di studi sono stati necessari per giungere ad un test genetico che oggi consente di avere una diagnosi scientificamente certa. Ebbene, la diagnosi di “Disturbo di Rett”, indicata nel DSM-IV con il codice F84.2, è stata esclusa dal DSM-5. La scomparsa è giustificata dagli autori con un riassetto delle diagnosi relative ai disturbi pervasivi dello sviluppo, su cui mi soffermerò fra breve, tuttavia è evidente che non si tratta di una coincidenza, ma di una scelta di uniformità metodologica che definisce il manuale quasi esclusivamente come strumento di valutazione del comportamento”[2]
I danni dovuti a questa esclusione sono e saranno notevoli, perché è provato che la mancata inclusione nel manuale comporta un aumento percentuale di mancate diagnosi nella maggior parte dei paesi anglofoni, oltre che negli USA.
Omar S. Khwaja
e colleghi, dopo numerose evidenze sperimentali di efficacia della mecasermina (o recombinant human insulin-like growth factor 1, rhIGF1) su modelli animali della
malattia, hanno condotto un trial
clinico della molecola, ottenendo risultati di estremo interesse (Khwaja O. S., et al., Safety, pharmacokinetics, and preliminary assessment of
efficacy of mecasermin (recombinant human IGF-1) for the treatment of Rett
syndrome. Proceedings of the
National Academy of Sciences – Epub ahead of print
doi: 10.1073/pnas.1311141111, 2014).
I principali istituti di provenienza
degli autori dello studio sono i seguenti: Department of Neurology, Department
of Anesthesia, Department of Pediatrics, Division of Development Medicine, Boston
Children’s Hospital and Harvard Medical School, Boston, MA (USA); Divisions of
Emergency Medicine and Clinical Pharmacology and Toxicology, Hospital for Sick
Children, University of Toronto, Ontario (Canada); Department of Brain and
Cognitive Sciences, Massachusetts Institute of Technology, Cambridge, MA (USA).
Il lavoro è stato presentato da Michael Merzenich del Brain Plasticity Institute, San Francisco, California (USA).
La sindrome di Rett è, dunque, una malattia ereditaria legata al cromosoma X e causata da mutazioni nel gene MeCP2 (codificante la methyl CpG-binding protein 2), che in condizioni normali codifica un fattore di trascrizione che si lega nel DNA alle basi di citosina metilate, in tal modo regolando l’espressione genica e il rimodellamento della cromatina. È necessario possedere almeno una copia del gene per la sopravvivenza. Le forme mutanti di MeCP2 nei maschi, che hanno un solo cromosoma X e quindi mancano dell’allele sull’altro cromosoma che potrebbe in parte compensare il difetto, determinano lo sviluppo di una grave encefalopatia non compatibile con la vita e quindi causa di morte prenatale o neonatale.
Nel sesso femminile i cromosomi X sono due ma, come è noto, uno dei due è inattivato, cellula per cellula, secondo un criterio apparentemente casuale. Per tale ragione, le bambine affette da sindrome di Rett sono mosaici genetici con cellule provviste della proteina normale che, solo in parte, compensano quelle portatrici della proteina mutata.
Lo studio qui recensito ha valutato i profili di sicurezza, tollerabilità e farmacocinetica della mecasermina in 12 bambine portatrici di mutazioni nel gene MeCP2 (9 delle quali affette da sindrome di Rett). Gli autori dello studio hanno condotto una valutazione preliminare di efficacia impiegando i seguenti mezzi:
1) misure cardiorespiratorie automatizzate;
2) EEG;
3) set di valutazioni cliniche orientate alla sindrome di Rett;
4) due questionari comportamentali standardizzati.
Questa fase 1 della valutazione includeva un periodo di 4 settimane con una dose ascendente multipla (MAD, da multiple ascending dose), consistente in 40-120 µg/kg due volte al giorno e un periodo di 20 settimane (OLE, da open-label extension) al massimo della dose.
Delle portatrici di mutazione studiate, 12 hanno completato il MAD e 10 lo studio intero, senza evidenza di ipoglicemia o altri gravi effetti indesiderati o tossici.
Lo studio delle concentrazioni nel fluido cerebrospinale della IGF-1 ha consentito di accertare che la mecasermina raggiungeva il compartimento del sistema nervoso centrale alla fine del MAD. La molecola seguiva una cinetica non-lineare, con la maggiore distribuzione nel compartimento periferico.
Le misure cardiorespiratorie automatizzate hanno consentito di rilevare che l’apnea presentava miglioramenti durante le 20 settimane della OLE. In quello stesso periodo è stato documentato che alcuni importanti parametri di tipo “non comportamentale”, quali i livelli di ansia e il tono dell’umore, presentavano un’apprezzabile variazione nel senso del miglioramento.
Interessante notare che questi riscontri positivi dello stato emozionale ed affettivo, rilevati medianti punteggi volti a quantificare il grado di ansia percepita e la qualità dell’umore, avevano un riscontro elettroencefalografico, perché coincidevano con un reversal di un correlato EEG tipico dell’ansia e della depressione, ossia l’asimmetria della banda α frontale destra.
Il complesso dei dati emersi, per il cui dettaglio si rinvia alla lettura integrale del testo, indicano che la mecasermina, come si era ipotizzato sulla base della ricerca preclinica, può costituire un farmaco sicuro e ben tollerato in bambine e ragazze affette dalla sindrome di Rett, che presentano miglioramenti del respiro, del comportamento e di parametri a valutazione soggettiva.
L’autrice della nota ringrazia la
dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e suggerisce la
lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE
E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).