Variazioni di connettività prefrontale alla base della maturazione cognitiva

 

 

DIANE RICHMOND

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XII – 08 marzo 2014.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

La corteccia prefrontale, ossia la regione del cervello in cui maggiormente si esprime la differenza evolutiva fra i primati e gli altri mammiferi, nel corso della vita va incontro a notevoli cambiamenti, fra i quali sono stati particolarmente studiati quelli connessi con lo sviluppo mielinico e la maturazione nel periodo adolescenziale. Le particolarità morfologiche rilevate mediante risonanza magnetica negli adolescenti della nostra specie sono tali da aver indotto qualcuno a ritenerli “creature del tutto diverse” dagli adulti[1].

Tali caratteri morfologici hanno degli equivalenti funzionali sicuramente rilevanti, ma attualmente non ancora definiti e che, probabilmente, saranno oggetto di studio ancora per molto tempo. In proposito, un quesito importante riguarda la connettività: le connessioni funzionali cambiano in modo significativo nel tempo? In altre parole, sono sostanzialmente identiche o diverse prima, durante e dopo l’adolescenza?

Una risposta a questo interrogativo è stata cercata da Xin Zhou e colleghi che hanno studiato l’evoluzione post-natale della connettività in primati sub-umani (Zhou X., et al., Age-dependent changes in prefrontal intrinsic connectivity. Proceedings of the National Academy of Sciences – Epub ahead of print doi: 10.1073/pnas.1316594111, 2014).

La provenienza degli autori dello studio è la seguente: Department of Neurobiology and Anatomy, Wake Forest School of Medicine, Winston-Salem, NC (USA); Department of Pathology, Section on Comparative Medicine, Wake Forest School of Medicine, Winston-Salem, NC (USA); Harlow Center for Biological Psychology, Psychology Department, University of Wisconsin-Madison, Madison WI (USA).

Prima di esporre i risultati della sperimentazione, si propone una sintetica introduzione alla corteccia prefrontale tratta dalla relazione di presentazione ai soci della quarta edizione del volume The Prefrontal Cortex.

La corteccia della parte anteriore del cervello dei mammiferi è definita corteccia prefrontale, con una denominazione a rigor di lessico impropria per l’uso del prefisso “pre”, ma consolidata dall’uso perché preferita ad altre due rivelatesi inesatte in termini scientifici: corteccia frontale granulare e corteccia frontale di associazione. La prima si basa su un elemento citoarchitettonico evidente solo nei primati, la seconda esprime una concezione neurofisiologica del passato che non riflette i numerosi elementi di specializzazione funzionale attualmente noti. Nei primati, la corteccia prefrontale potrebbe semplicemente essere indicata come corteccia frontale, come si fa in molti studi fisiologici, implicitamente intendendo che si esclude la corteccia motoria e premotoria, ma si è osservato che questo potrebbe ingenerare confusione in chi faccia riferimento al criterio anatomico che include tutti i territori corticali appartenenti al lobo frontale. Una definizione che segue un rigoroso criterio morfologico applicabile al cervello di tutti i mammiferi è stata suggerita proprio da Joaquin M. Fuster: quella parte della corteccia cerebrale che riceve proiezioni dal nucleo mediodorsale del talamo.

Comunque la si definisca, questa regione della corteccia cerebrale è anche la più estesa nei mammiferi più evoluti. Originariamente Brodmann, autore della mappa topografica che ripartiva la superficie degli emisferi in 100 aree corticali su base citoarchitettonica, denominando regio frontalis la corteccia prefrontale[2], stimava queste propozioni: 29% del totale della corteccia nella specie umana, 17% nello scimpanzé, 11.5% nel gibbone e nel macaco, 8.5% nel lemure. Studi recenti hanno rivisto e in parte corretto queste stime, che rimangono però indicative di un rapporto fra dimensioni e sviluppo mentale.

Anche se nello studio del cervello dei primati il criterio citoarchitettonico si rivela più pratico e sicuro, l’attenzione comparativa e quindi filogenetica per le connessioni rimane valida per la comprensione delle funzioni, secondo la classica affermazione di Creutzfeldt (1977), attualmente confermata da un’enorme mole di prove sperimentali a sostegno: la fisiologia di una regione corticale può essere efficacemente studiata e realmente compresa solo nel contesto delle connessioni anatomiche con altre strutture[3]. È inevitabile che una tale prospettiva rimandi alla visione connessionista della neurofisiologia dell’encefalo, tuttavia vi sono ragioni sufficienti per considerare quella delle connessioni una chiave di lettura da affiancare al rilievo e allo studio di specificità di area o di dominio che giustificano l’attribuzione alla corteccia prefrontale di proprietà e ruoli funzionali ben definiti. Fin dalla prima identificazione nel 1971 di cellule della memoria in questa regione corticale, si è compresa l’importanza di quella che sarà chiamata working memory, ma solo di recente si è capito che la facoltà della memoria di funzionamento è ancillare alla capacità della corteccia prefrontale di organizzare le funzioni nel dominio del tempo. Solo la corteccia prefrontale sembra essere in grado di fornire gestalt temporali che conferiscono coerenza e coordinazione a nuove sequenze comportamentali, rendendole idonee al perseguimento dello scopo intenzionale. Fuster osserva che, senza questa funzione di organizzazione temporale dell’azione, non vi è esecuzione di nuovi, acquisiti ed elaborati comportamenti, non vi è eloquio fluente, ragionamento astratto, attività creativa. La specifica dimensione temporale di qualsiasi atto mentale, fatta eccezione per le sequenze istintive e le routines automatiche, ha bisogno dell’organizzazione elaborata nella corteccia prefrontale.

Nel suo insieme la corteccia frontale, inclusa la regione prefrontale, si può considerare una corteccia d’azione nel senso più ampio dell’accezione: movimento scheletrico, movimenti oculari, espressione delle emozioni, linguaggio, controllo viscerale e quella forma di azione interna o mentale che chiamiamo ragionamento, tutti richiedono un ruolo della corteccia prefrontale.

In estrema sintesi, le tre principali funzioni esecutive della corteccia prefrontale, al servizio dell’organizzazione e della attuazione delle azioni, sono l’attenzione esecutiva, la pianificazione e l’attività decisionale. Nell’attenzione esecutiva si distinguono: set (seleziona ed anticipa), working memory (assiste tutto il funzionamento) e interference control (esclude le interferenze). La pianificazione si basa su gestalt delle azioni e dei loro scopi astrattamente rappresentati nelle reti neuroniche. L’attività decisionale implica computazioni probabilistiche che integrano informazioni passate ed attuali.

L’importanza della corteccia prefrontale nel giudizio delle abilità cognitive di una specie è fuori discussione, pertanto lo studio della sua connettività non ha il mero valore di un’analisi neurofisiologica locoregionale.

La corteccia prefrontale va incontro ad un lungo periodo di sviluppo postnatale, durante il quale si verificano mutamenti evolutivi nei neuroni che la costituiscono, particolarmente nelle fasi di maturazione corticale peri- e postpuberale[4]. Il modo in cui l’attività dei neuroni prefrontali cambia nel corso di questi eventi è in gran parte ignoto. Per cercare di decifrarlo, Zhou e colleghi hanno analizzato funzionalmente e confrontato neuroni nella fase di sviluppo peripuberale con cellule omologhe del cervello adulto.

Lo studio è stato condotto su primati ed è consistito nella registrazione dell’attività neuronica della corteccia prefrontale di scimmie in età puberale e scimmie in età adulta, seguita dall’analisi e dalla comparazione della connettività funzionale fra coppie di neuroni nelle due età caratterizzanti i due gruppi di primati. L’ampiezza della connettività misurata fra due neuroni era complessivamente più bassa nella corteccia prefrontale delle scimmie in età peripuberale, rispetto a quelle di età adulta; le interazioni inibitorie erano, generalmente, sinapticamente più forti negli animali giovani.

I ricercatori hanno valutato mediante una serie di misure morfometriche, ormonali e radiografiche, lo stadio di sviluppo di scimmie postpuberali ed hanno eseguito test comportamentali e neurofisiologici durante l’esecuzione di compiti di working memory da parte dei primati. Su questa base hanno condotto un’analisi comparativa, fra scimmie peripuberali ed adulte, della frequenza di accensione e della forza della connettività funzionale intrinseca fra coppie di neuroni. La differenza era dovuta particolarmente alle connessioni funzionali negative, espressione delle interazioni inibitorie, che erano più forti, intense e prevalenti negli individui giovani. Le connessioni positive apparivano, al contrario, pressoché identiche nelle due età.

Considerati nel loro insieme, i risultati dello studio, identificando variazioni della connettività intrinseca dei neuroni prefrontali, particolarmente quella mediata dall’inibizione, indicano queste differenze come possibile base neurale dei progressi peri- e post-puberali nelle capacità cognitive.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e suggerisce la lettura delle numerose recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Diane Richmond

BM&L-08 marzo 2014

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Note e Notizie 07-10-06 Immagini funzionali del cervello degli adolescenti; vedi anche: Note e Notizie 14-10-06 Il cervello degli adolescenti: una riflessione critica; Note e Notizie 30-06-07 Ancora errori sul cervello degli adolescenti;

[2] Corrispondente all’insieme delle aree 8, 9, 10, 11, 12, 13, 44, 45, 46 e 47. Curiosamente, Brodmann aveva riservato la denominazione di “area prefrontalis” ad una piccola superficie della parte ventromediale coincidente con l’area 11.

[3] Cfr. Creutzfeldt O. D., Generality of the functional structure of the neocortex. Naturwissenschaften 64, 507-517, 1977.

[4] Cfr. Note e Notizie 28-09-13 La corteccia cerebrale si appiattisce negli adolescenti.