Creatività geniale o abilità esercitata?

 

 

LORENZO L. BORGIA

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XII – 08 marzo 2014.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: AGGIORNAMENTO]

 

(Prima Parte)

 

In epoca rinascimentale, nel tentativo di darsi una spiegazione delle straordinarie capacità di alcuni artefici e del valore unanimemente riconosciuto alle loro opere, si introdusse il termine genio che, nella lingua italiana del XVI secolo, voleva dire “ispirazione”. Il vocabolo, in qualità di nome comune di persona, non corrispondeva semplicemente al concetto greco di areté, usato per indicare qualcuno che fosse estremamente abile in un’attività o in un’arte, ma includeva un’interpretazione che rinviava al possesso di una qualità mentale particolare, uno speciale talento, consistente in risorse di energia, ingegno, anticipazione, innovazione e determinazione per metterle a frutto, secondo idee che sembrava fossero “ispirate dall’alto”. Il genio, più di ogni altro artefice, possedeva la dote della creatività, considerata come produttività contraddistinta da originalità, in un ambito definito da valori universalmente riconosciuti in termini materiali, morali od estetici[1].

Si può condividere o meno questo modo di intendere, ma non gli si può negare una chiarezza e una coerenza difficile da riconoscere nell’impiego attuale dei concetti di creatività e genialità che, ai due estremi dello spettro semantico, possono essere attribuiti ad operazioni induttive e deduttive, da un canto, e all’effetto di novità prodotto da una trovata, dall’altro. Per non considerare la deriva dei gerghi mediatici, che ha diffuso l’abitudine a chiamare “geniale” una comune giocata nel gioco del calcio, quando si riveli particolarmente appropriata ed efficace nel contesto di un’azione, o una battuta di spirito o di satira quando coglie un senso ben noto in un modo al quale non si era pensato. E, infine, si può citare un esempio di deriva fra i più frequenti e meno rilevati, consistente nel considerare “genio” chi, da buon interprete della doxa, ossia della maggioranza di una popolazione, riesce a compiere delle realizzazioni che determinano un notevole ed esteso consenso o un rilevante ritorno economico[2]. In quest’ultimo caso, è il successo a decretare il genio che, per “poter esistere”, sembra che abbia bisogno di una società sufficientemente massificata ed omologata nei gusti e nelle opinioni.

Se è vero che all’origine dei concetti moderni di genio e creatività vi era una concezione definita e lineare, ben esemplificata da grandi personaggi quali Leonardo da Vinci, Michelangelo Buonarroti, Hyeronimus Bosch e Pico della Mirandola, è pur vero che quella definizione era il prodotto dell’esigenza di concettualizzare un’esperienza, caratterizzando gli aspetti salienti con un’interpretazione che rimandava alla ipotizzata presenza di una “qualità speciale”. In altre parole, sebbene quell’uso denominativo fosse più coerente, appropriato ed efficace in termini cognitivo-linguistici rispetto all’uso generico e talora improprio dei nostri giorni,  non ci è di particolare aiuto come traccia per trovare il bandolo della matassa sperimentale nella ricerca delle basi neurobiologiche della creatività e della genialità umana. In realtà, questo genere di studi è solo agli inizi e, probabilmente, non riuscirà a decollare fino a quando non si individuerà una precisa grammatica dei sottosistemi neurali che consentono lo sviluppo del pensiero. Intanto, ci si dovrà accontentare degli studi di livello psicologico che tendono ad esplorare qualità mentali complessive, come intelligenza, creatività e genialità, riportandole a concetti che si suppone corrispondano a funzioni mentali di base o paradigmatiche.

In questa prospettiva, molti ricercatori si sono chiesti se prestazioni superiori alla norma, e spesso definite geniali, ad esempio in compiti quali suonare uno strumento musicale, derivi maggiormente dal precoce e intenso esercizio di abilità o dalla presenza di una forte spinta motivazionale.

L’importanza della motivazione sembra essere veramente notevole, secondo quanto si desume da una breve rassegna proposta nel recente numero monografico di Scientific American Mind sulla creatività[3].

In ogni caso, sono stati individuati tre elementi critici nel generare e nutrire motivazione:

1) percezione di autonomia nella scelta dell’oggetto di interesse;

2) coerenza con i propri valori e le proprie convinzioni;

3) sensazione di competenza.

 

 

[continua]

 

 

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Lorenzo L. Borgia

BM&L-08 marzo 2014

www.brainmindlife.org

 



[1] Cfr. Giuseppe Perrella, Riflessioni sul pensiero che ha creato il “genio” e sui tentativi di dare sostanza oggettiva e neurobiologica a questo concetto, in “Seminario sull’Arte del Vivere”, BM&L-Italia, Firenze 2007/2008.

[2] Cfr. Giuseppe Perrella, op. cit.

[3] Daisy Yuhas, So you want to be a genius? In “The Mad Science of Creativity”, Sci. Am. MIND (special edition creativity) 23 (1): 19, winter 2014.