Mappe corporee delle emozioni
NICOLE CARDON
NOTE
E NOTIZIE - Anno XII – 25 gennaio 2014.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli
oggetti di studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo:
RECENSIONE]
Una delle ragioni che indussero i medici dell’antichità, come quelli della scuola di Ippocrate, a collocare la mente in organi del corpo quali il cuore, il fegato e il diaframma, è che gli stati mentali tipici delle emozioni e degli affetti più intensi, si accompagnano a definite sensazioni fisiche che vanno dal batticuore al mal di pancia[1]. Le manifestazioni neurovegetative periferiche sono così evidenti e caratteristiche, oltre che in grado di imporsi alla coscienza, che ancora nel XIX secolo William James, padre della psicologia americana, attribuiva alla periferia viscerale la genesi delle emozioni.
Secondo James, l’affetto cosciente della paura, ad esempio, è la conseguenza di cambiamenti corporei, ai quali diamo il nome di emozione, e che si verificano durante l’azione della fuga da un agente minaccioso. Per rendere il cambiamento di prospettiva rispetto al senso comune, lo psicologo americano impiegò un’affermazione che può apparirci provocatoria se non addirittura paradossale: noi abbiamo paura perché scappiamo e non viceversa. Ora, è noto che le cose non stanno in questo modo, e già il modello di Cannon-Bard[2] aveva riportato l’origine delle emozioni nel sistema nervoso centrale; tuttavia, ricordare che per qualche millennio in epoca pre-scientifica e fino agli anni Trenta del Novecento l’opinione della maggioranza degli studiosi collocava le emozioni nel corpo, ci fa comprendere l’intensità e l’importanza nell’esperienza soggettiva e nell’osservazione, delle manifestazioni e dei fenomeni corporei che accompagnano gli stati emotivi[3].
Se è vero che i principali modelli attuali delle basi fisiologiche delle emozioni hanno al centro i sistemi cerebrali dell’amigdala studiati soprattutto dalla scuola di Joseph LeDoux, è pur vero che la notevole diversità osservabile e la natura stessa delle esperienze soggettive che accompagnano emozioni come la gioia, l’ira e la paura, si sostanzia in differenze dello stato del nostro corpo, che superano quelle dell’ideazione. Non sorprende, pertanto, che l’indagine attuale sulle basi biologiche delle emozioni abbia ancora nel corpo un oggetto privilegiato.
Si può dire che le emozioni coordinino il nostro comportamento e gli stati fisiologici nel corso di eventi salienti per la nostra sopravvivenza e nelle interazioni che generano l’esperienza del piacere. Anche se noi siamo spesso coscientemente consapevoli del nostro stato emotivo corrente, come quando un evento lieto ci ha provocato una gioia intensa e inaspettata, o quando una circostanza minacciosa e frustrante ci ha indotto paura e perdita del tono dell’umore, non sappiamo ancora dire per quale successione di passi fisiologici si giunga all’esperienza di quello stato.
Per indagare in questo ambito e cercare di decifrare la genesi del vissuto emozionale, Lauri Nummenmaa e colleghi hanno usato uno strumento di self-report allo scopo di porre in relazione lo stato percepito soggettivamente con precisi correlati funzionali in differenti distretti dell’organismo. In tal modo, i ricercatori hanno rilevato un’associazione fra singoli stati emozionali e sensazioni corporee distinte topograficamente e culturalmente universali[4].
È probabile -
come ipotizzato dagli autori dello studio - che tali sensazioni costituiscano
una base delle nostre esperienze emotive coscienti. Il monitoraggio della topografia delle sensazioni corporee evocate
dalle emozioni, rappresenta un nuovo strumento per la ricerca in questo campo,
e potrebbe fornire un biomarker per i
disturbi della sfera emotiva (Nummenmaa
L., et al., Bodily maps of emotions. Proceedings of the National Academy
of Sciences USA 111 (2): 646-651, 2014).
La provenienza degli autori dello
studio è la seguente: Department of Biomedical Engineering and Computational
Science and Brain Research Unit, O. V. Lounasmaa Laboratory, School of Science,
Aalto University, Espoo (Finlandia); Turku PET Center, University of Turku
(Finlandia); Human Information Processing Laboratory, School of Social Sciences
and Humanities, University of Tampere, Tampere (Finlandia).
Per una migliore comprensione della prospettiva teorica su cui si è fondato il lavoro dei ricercatori finlandesi, si riportano le principali tappe compiute dalla ricerca sulle basi cerebrali delle emozioni dall’inizio del secolo scorso. In estrema sintesi si ricorda che, dopo la prima identificazione di aree cerebrali mediatrici delle risposte emotive da parte di Cannon, nel 1937 James Papez definì un set di strutture cerebrali (circuito di Papez) implicate nella mediazione delle reazioni allo stress e propose un modello del loro funzionamento. Secondo tale ipotesi è la corteccia cingolata, dove convergono i segnali dell’ipotalamo e della corteccia sensoriale, a produrre la sensazione cosciente dell’emozione; poi gli impulsi diretti dalla corteccia sensoriale all’ippocampo, che attraverso i corpi mammillari si collega con l’ipotalamo, chiudono il circuito. Negli anni Cinquanta Paul McLean, integrando le tesi di Cannon e Papez con i risultati degli studi di sezione bilaterale dei lobi temporali nelle scimmie, condotti da Klüver e Bucy, considerò le emozioni come un prodotto dell’attività del “cervello viscerale”, poi ridefinito “sistema limbico” perché in gran parte coincidente con il lobo limbico descritto in anatomia da Paul Broca.
Gli studi degli anni seguenti dimostreranno l’importanza dell’amigdala, un aggregato di piccoli nuclei nel cuore del sistema limbico, situato nella profondità dorso-mediale del lobo temporale, in prosecuzione della coda del nucleo caudato. In un esperimento classico di emozione da paura condizionata, il nucleo laterale dell’amigdala trasmette gli impulsi che ha ricevuto per via diretta dal talamo o per via indiretta dalla corteccia somatosensoriale, al nucleo centrale dell’amigdala, che invia fibre: 1) all’ipotalamo paraventricolare che rilascia ormoni; 2) all’ipotalamo laterale che attiva il sistema nervoso autonomo; 3) ai nuclei del “grigio centrale” che generano risposte come il freezing[5].
L’amigdala agisce come parte di un circuito che include regioni dell’ipotalamo e del tronco encefalico, quali il grigio periacqueduttale. Anche varie aree corticali si sono rivelate importanti nell’elaborazione dell’informazione legata alle emozioni: la parte ventrale della corteccia cingolata anteriore, la corteccia prefrontale ventro-mediale e l’insula (di Reil).
Attualmente, seguendo LeDoux e Damasio, si tende a distinguere gli stati emozionali inconsci, cui si attribuisce il valore evoluzionistico di segnali automatici di vantaggio o pericolo, dagli affetti coscienti[6] che, reclutando abilità cognitive, ci conferiscono maggiori capacità adattative nel rispondere a situazioni pericolose o vantaggiose. Poiché tutti i principali progressi nella conoscenza delle basi fisiologiche delle emozioni compiuti negli ultimi due-tre decenni sono dovuti allo studio di roditori di laboratorio, rimane ancora ipotetico e dibattuto il meccanismo dell’innesco degli stati mentali che corrispondono alle nostre emozioni. Molti ricercatori ritengono che una retroazione somatosensoriale sia necessaria per indurre l’esperienza cosciente. Già nel modello proposto da Walter Cannon e Philip Bard si ipotizzava che la componente corporea delle emozioni innescasse, attraverso un feedback somatosensoriale, l’intervento della corteccia cerebrale per la genesi dell’esperienza affettiva cosciente. Sebbene oggi, sulla base degli studi più recenti, sia ragionevole supporre che i collegamenti centro-periferia siano molteplici e avvengano per cicli reiterati, schematicamente si può ancora parlare di un feedback dal corpo al cervello. Su questa base teorica, Lauri Nummenmaa e colleghi hanno ricostruito mappe di sensazioni corporee associate con diversi tipi di emozioni, usando un metodo particolare di auto-descrizione topografica dell’esperienza vissuta dal volontario[7].
I volontari che si sono sottoposti al programma di prove sperimentali erano 701: un numero che conferisce notevole significatività ai risultati ottenuti. La diversa provenienza dei costituenti il campione sperimentale, includeva Europei occidentali ed Asiatici dell’Estremo Oriente.
A tutti i partecipanti, in cinque distinti esperimenti, venivano mostrate due sagome di corpi, insieme con parole di rilevo emozionale, storie, espressioni facciali o vere e proprie sequenze filmiche. Sottoposti a questi stimoli, i volontari provavano delle reazioni fisiche ed entravano in stati emozionali appropriati con il tipo di esperienza visiva vissuta, momento per momento. Una parte fondamentale dell’esperimento era affidata alla capacità di oggettivazione di quanto gli spettatori degli stimoli stavano provando: i ricercatori chiedevano ai volontari di colorare in maniera distintiva le regioni del corpo nelle quali percepivano un aumento o una riduzione di attività durante il tempo di risposta a ciascuno stimolo.
L’analisi dei risultati ha mostrato che emozioni diverse erano coerentemente associate con mappe di sensazioni corporee statisticamente separabili fra loro attraverso gli esperimenti. Importante rilevare che queste mappe rimanevano concordanti fra i campioni dei partecipanti europei occidentali ed asiatici orientali. Usando classificatori statistici, i ricercatori hanno ottenuto un’accurata distinzione delle mappe topografiche di attivazione, specifica per ogni tipo di emozione, confermando l’indipendenza della localizzazione somatotopica fra diverse esperienze emozionali.
Sulla base degli esiti della sperimentazione, per il cui dettaglio si rimanda alla lettura del testo integrale del lavoro originale, Nummenmaa, Glerean, Hari e Hietanen avanzano un’interessante ipotesi teorica: le emozioni potrebbero essere rappresentate nel sistema somatosensoriale come mappe somatotopiche categoriali universali e, la percezione di questi cambiamenti di stato corporeo innescato dalle emozioni, potrebbe giocare un ruolo nella genesi dell’esperienza cosciente.
Concludendo questa recensione, ci sia consentito un breve commento sul tipo di studio e qualche considerazione più generale sulla ricerca nel campo delle emozioni.
Un lavoro che affida la parte cruciale di rilevazione del dato funzionale ad un self-report e alla sincerità e fedeltà con la quale una persona vuole e può rendere la propria esperienza, non può andare oltre il valore di uno studio di tipo psicologico. La significatività basata sulla maggioranza e sulle misure statistiche è un’arma a doppio taglio, perché coglie sicuramente un aspetto del valore legato alla prevalenza, ma rischia di trascurare il rilievo della significatività del dato di minoranza che riesce a sfuggire all’omologazione culturale proprio in quanto biologico (o patologico). La presenza di esiti simili fra europei e asiatici non è, a rigore, un dato nuovo o particolarmente rilevante nel suo valore biologico (universale), perché non è dimostrato che esista una differenza culturale che tende a causare una diversa manifestazione topografica delle emozioni fra occidentali e orientali. Al contrario, è da sempre noto (o, almeno, dagli studi seguiti al saggio di Darwin sull’espressione delle emozioni) che le principali differenze culturali si apprezzano nelle espressioni mimico-gestuali e non nell’attivazione dei sistemi delle emozioni e dello stress.
Infine, a proposito dell’ipotesi che le emozioni siano rappresentate nel sistema somatosensoriale come mappe categoriali, si può osservare che molti, speculando sulle teorie neurobiologiche delle emozioni e della mente, sulla base di quanto è già noto da tempo, hanno indicato una simile possibilità, magari andando anche oltre negli sviluppi ipotetici[8].
La ricerca volta a determinare le basi fisiologiche delle emozioni ha ancora davanti a sé una lunga strada da percorrere che, è facile prevedere, riserverà ancora delle sorprese; tuttavia, in questa fase, la dettagliata individuazione topografica di tutti i gruppi neuronici che intervengono nell’emotional processing potrà proseguire facendo da sfondo ad una questione più importante, che si spera possa essere presto al centro degli interessi sperimentali, come auspicato dal nostro presidente: “La sfida del prossimo futuro non sarà più tanto nella comprensione di tutti i processi e i meccanismi che consentono il prodursi degli stati biologici corrispondenti alle emozioni, quanto nell’analisi del cambiamento delle fonti di evocazione di tali stati: come e con quali conseguenze per l’organismo, per il suo adattamento fisiologico e psicologico, si sia passati nel corso dei millenni da una condizione completamente naturale di risposte biologiche a stimoli esterni, ad una realtà occupata e permeata da artifici di invenzione umana che determinano l’evocazione di emozioni da parte di agenti e circostanze del tutto estranee a quelle delle origini in cui si è svolta la massima parte della nostra evoluzione”[9].
Per concludere, cogliendo l’occasione di questa recensione, si vuole ribadire l’importanza della ricerca sulle emozioni per tutta la conoscenza neuroscientifica. Soprattutto perché, dopo decenni in cui la neurofisiologia dei processi emozionali è stata in auge, oggi si tende a trascurarla a favore di campi di indagine limitrofi, o a perderne il senso nella frammentazione superspecialistica di alcuni studi. In proposito, facciamo nostre le parole del presidente Perrella: “Non bisogna dimenticare che, comunque si voglia chiamare, definire, ripartire a scopo di studio o ricondurre alle sue basi molecolari e cellulari, esiste una dimensione qualitativa del sentire, nell’esperienza umana, associata ad affetti ed emozioni, che è parte integrante della dimensione intellettiva e dell’agire cognitivo dell’uomo, in grado di influenzare ogni aspetto della vita psichica, dalla modulazione dei giudizi morali alle decisioni in campo economico, sociale e professionale”[10].
Perciò, “conoscere e comprendere ogni aspetto dei processi biologici sottostanti le emozioni, non vuol dire approfondire il senso, il valore e la natura della dimensione emotiva dell’esperienza umana, ma può aiutare a completare quello straordinario mosaico di dati e nozioni che ci consentirà di descrivere in termini scientifici la mente in continuità con il corpo”[11].
L’autrice della nota, che
ringrazia per la preziosa consulenza il presidente Perrella e per collaborazione
alla stesura del testo la dottoressa Isabella Floriani, invita alla lettura
degli scritti di argomento connesso che compaiono sul sito (utilizzare il
motore interno nella pagina “CERCA”).
[1] L’espressione fisiologica degli stati emozionali è sotto il controllo di tre sistemi: il sistema endocrino, responsabile della secrezione e della regolazione di ormoni che attraverso il sangue agiscono su tutto l’organismo e sul cervello; il sistema nervoso autonomo che media i cambiamenti nel controllo dei sistemi del corpo, incluso l’apparato cardiovascolare, tutti gli organi cavi e la pelle; il sistema motorio scheletrico che media l’esecuzione di comportamenti come attacco-fuga e freezing, e realizza le espressioni del viso.
[2] Walter Cannon e il suo allievo Philip Bard proposero un modello in cui gli stimoli potenzialmente emotivi erano trasmessi al talamo come informazione sensoriale e da qui inviati alla corteccia, per la componente mentale dell’affetto, e all’ipotalamo per quella neurovegetativa. Lo studio dei sistemi dello stress, fin dal lavoro pionieristico di Cannon e Selye, ha esplorato gli aspetti fisiologici della risposta emotiva nel corpo dell’animale esposto a minacce o pressioni, rivelando assetti peculiari che, nell’uomo, si identificano con le esperienze soggettive delle principali emozioni.
[3] Per ulteriori dati sulla storia e gli sviluppi della ricerca, si veda in Perrella G., Il Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD), Università Federico II, Napoli 2005 e Brain, Mind & Life Italia, Firenze 2006. Si veda anche, dello stesso autore: Emozioni e disturbi da stress, Brain, Mind & Life Italia, Firenze 2010.
[4] L’espressione “culturalmente universali” è degli autori del lavoro.
[5] Si vedano: LeDoux J. E., The Emotional Brain, Simon &
Schuster, New York 1996; LeDoux J. E., Damasio A. R., Emotions and Feelings, in “Principles of Neural Science” V ed. (Kandel,
Schwartz, Jessell, Siegelbaum, Hudspeth), pp. 1079-1094, McGrawHill, New York
2013.
[6] Conscious feelings, che vanno dagli affetti ai sentimenti.
[7] Per una completa descrizione del metodo di self-report si rimanda alla lettura del testo del lavoro originale.
[8] Speculazioni sulla categorizzazione del vissuto emozionale, coerenti con la teoria di Edelman, sono state elaborate in seno alla nostra scuola neuroscientifica.
[9] Perrella G., Emozioni e disturbi da stress, p.21, Brain, Mind & Life Italia, Firenze 2010.
[10] Perrella G., op. cit., p. 22.
[11] Perrella G., op. cit., ibidem.