Ossitocina efficace sul cervello di bambini autistici

 

 

DIANE RICHMOND

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XII – 18 gennaio 2014.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Il disturbo autistico o autismo o autismo infantile[1] è una condizione patologica diagnosticata nell’infanzia sulla base di sintomi riconducibili ad una triade di manifestazioni: 1) problemi di sviluppo delle abilità comunicative; 2) gravi e sostenuti deficit dell’interazione sociale; 3) presenza di movimenti ripetitivi, condotte stereotipe e rigidità comportamentale. Ciascuno dei tre ambiti sintomatici costituisce un blocco indipendente di sintomi e presenta una certa varietà nella presentazione e nella gravità, pur rimanendo una costante sostanziale, al di là dei criteri adottati dai principali sistemi internazionali (ICD e DSM). Riconoscendo questo paradigma di alterazione comune, si parla di disturbi dello spettro dell’autismo (ASD, da autism spectrum disorders), includendo sindromi riconducibili spesso a cause note, e distinte dall’autismo tipico di eziologia non determinata.

In realtà, il 5-10% del totale dei casi diagnosticati, deve interamente o prevalentemente le manifestazioni autistiche ad un problema genetico, medico o neurologico, fra cui errori congeniti del metabolismo, anomalie congenite multiple (incluse malformazioni vascolari cerebrali ed alterazioni strutturali dell’encefalo), paralisi cerebrale, sindrome dell’X-fragile, anomalie cromosomiche varie, sclerosi tuberosa di Bourneville, ecc. La ricerca sta sempre più evidenziando che l’autismo è eterogeneo da un punto di vista genetico, neurobiologico e comportamentale, e questo campo di studi sta sempre più adottando una prospettiva dimensionale, anziché categoriale. Gli studi genetici hanno rivelato, infatti, che la realtà clinica dell’autismo ha origini complesse, eterogenee e poligeniche, per la comprensione delle quali si sta inoltre studiando il ruolo dell’epistasis (interazioni gene-gene) e dell’emergenesis (interazioni sinergiche fra componenti)[2].

Tale quadro, quanto mai complesso, incerto e lontano dalla schematica chiarezza che si potrebbe supporre sulla base di alcuni criteri della diagnostica clinica più seguita (DSM), suggerisce ai ricercatori, per prudenza e a scopo operativo, l’adozione, in un’accezione piuttosto ampia, generica ed inclusiva, della diagnosi di disturbi dello spettro dell’autismo.

Seguendo tale criterio, si stanno rilevando numerosi dati fisiopatologici che si spera di poter adoperare per la comprensione della patogenesi. Ad esempio, è stata riportata un’alterazione di legame ai recettori GABA-A nelle regioni corticali, anomalie legate al glutammato, riduzione della reelina nel cervelletto, riduzione dei recettori nicotinici in alcune aree della corteccia dove è stato riscontrato un ridotto legame ai recettori 5-HT2A. Inoltre, è stata rilevata una ridotta produzione di melatonina, sia di giorno che di notte[3].

Se la possibilità di scoprire l’eziopatogenesi di tutti i casi di autismo è ancora lontana, divengono sempre più reali le prospettive di terapia farmacologica dei principali sintomi.

In realtà, bambini e ragazzi affetti da disturbi dello spettro dell’autismo sono spesso sottoposti a terapie farmacologiche per sintomi quali irrequietezza/iperattività, ad un estremo della gamma, e depressione, all’altro estremo. Si impiegano ansiolitici, neurolettici, anticonvulsivi, antidepressivi e stimolanti: i farmaci più prescritti sono gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina e gli antipsicotici atipici, con risultati raramente apprezzabili e realmente positivi. Fino ad oggi, il nucleo fondamentale dei sintomi, ossia i problemi di interazione, relazione e comunicazione, non ha trovato un trattamento farmacologico appropriato, ma ora sembra che le cose possano cambiare.

L’ossitocina, ormone peptidico implicato come neuoromediatore nell’attività di circuiti che favoriscono l’interazione sociale, lo scambio interindividuale e i rapporti col partner, è da molto tempo e da vari ricercatori considerata una buona candidata per il trattamento sintomatico dell’autismo infantile e di altri disturbi di quello spettro sindromico.

La sperimentazione condotta da Ilanit Gordon e colleghi ha prodotto risultati tali da indurre i ricercatori stessi ad esprimersi in questi termini circa la materia trattata dalla loro pubblicazione: “Questo articolo presenta la nostra scoperta che la somministrazione endonasale di ossitocina rinforza l’attività nel cervello per stimoli socialmente significativi ed attenua la sua risposta per stimoli non rilevanti socialmente in bambini affetti da disturbi dello spettro dell’autismo (ASD) come misurata via risonanza magnetica funzionale”[4].

I reperti rilevati da Gordon e colleghi, e documentati nella pubblicazione, sono tali da fare apparire giustificata l’autovalutazione espressa. I ricercatori non si sono limitati a fornire una documentazione di immagini di attività cerebrale indotta da ossitocina extrasinaptica fornita mediante spray endonasale a bambini con sintomi autistici, ma hanno anche stabilito un preciso rapporto fra variazioni dell’ossitocina presente nella saliva dopo la somministrazione e l’incremento di funzione cerebrale (Gordon I., et al., Oxytocin enhances brain function in children with autism. Proceedings of the National Academy of Science USA [Epub ahead of print doi:10.1073/pnas.1312857110], 2013).

La provenienza degli autori dello studio è la seguente: Center for Translational Developmental Neuroscience, Yale Child Study Center, Yale University, New Haven, CT (USA); Department of Psychology and The Gonda Multidisciplinary Brain Research Center, Bar-Ilan University, Ramat Gan (Israele); Yale Child Study Center, School of Medicine, Yale University, New Haven, CT (USA). Il lavoro è stato edito da Leslie G. Ungerleider, National Institute of Mental Health (NIMH), Bethesda, Maryland (USA).

L’ossitocina, isolata e sintetizzata da Vincent du Vigneaud nel 1953, è un nonapeptide prodotto ed immesso in circolo come la vasopressina, con la quale condivide l’origine genetica[5], dall’ipofisi posteriore, ma è anche biosintetizzata e rilasciata come trasmettitore da vari tipi di cellule nervose dell’encefalo. Alle principali azioni ormonali note da decenni, quali l’avvio delle contrazioni uterine nella fase di travaglio del parto e l’induzione dell’uscita del secreto dai dotti galattofori durante l’allattamento, si aggiungono oggi processi cerebrali attuati grazie a neuroni che la rilasciano, quali il riconoscimento sociale e lo stabilirsi di legami fra individui della stessa specie. Tali funzioni, frutto di interazioni complesse e non ancora bene definite fra processi percettivi e cognitivi, sembrano essere influenzate positivamente da una maggiore disponibilità di ossitocina, particolarmente negli animali da esperimento. A ciò si aggiunga che la somministrazione endonasale della molecola consente un’efficace captazione ed utilizzo sinaptico da parte dei neuroni che normalmente la producono la rilasciano.

Ilanit Gordon e colleghi hanno condotto la sperimentazione su 17 bambini affetti da disturbi dello spettro dell’autismo con alto livello di funzionamento, ai quali hanno somministrato per via endonasale una dose efficace di ossitocina, prima di presentare una serie di immagini. Durante la manifestazione di un giudizio sulle riproduzioni - alcune rilevanti per l’interazione sociale, quali immagini di occhi, altre neutre, come foto di veicoli - i ricercatori hanno studiato mediante risonanza magnetica funzionale (fMRI) le variazioni di attività nelle aree encefaliche implicate.

Lo studio basato sul confronto ha consentito il rilievo di alcune evidenze: l’ossitocina accresceva l’attività nello striato, nel giro frontale medio, nella corteccia prefrontale mediale, nella corteccia orbitofrontale di destra, e in corrispondenza del solco temporale superiore di sinistra.

In particolare, l’ossitocina aumentava il livello di attività neurale durante i giudizi rilevanti per l’interazione umana e lo riduceva durante le valutazioni irrilevanti per i rapporti sociali, nello striato, nel nucleo accumbens, nel solco temporale postero-superiore e nella corteccia premotoria di sinistra.

Durante i giudizi socialmente rilevanti, i cambiamenti della concentrazione salivare di ossitocina, dal livello di base a 30 minuti dopo la somministrazione, erano positivamente associati con una attività accresciuta nell’amigdala destra e nella corteccia orbitofrontale.

Sulla base di tali reperti si può dedurre che, in bambini con disturbi dello spettro dell’autismo, l’ossitocina abbia un impatto selettivo sulla stima di rilevanza e di valore edonico di stimoli significativi in termini sociali, in tal modo facilitando la propensione all’interazione.

Gordon e colleghi sostengono che questa interpretazione dei dati da loro rilevati contribuisca al progresso della comprensione, al livello dei sistemi neurofisiologici, dei meccanismi mediante i quali l’ossitocina rinforza il comportamento sociale nei bambini affetti da deficit in quest’area di sviluppo.

Gli autori dello studio affermano, inoltre, che “queste scoperte” sono particolarmente importanti, dato l’urgente bisogno di trattamenti diretti alla “disfunzione sociale”, che costituisce il nucleo principale del disturbo autistico. Sostengono, poi, che l’acquisizione di interesse - promossa dall’ossitocina e da loro dimostrata - potrebbe facilitare l’apprendimento sociale, in tal modo favorendo cambiamenti di lunga durata nei sistemi neurali implicati, con conseguente miglioramento comportamentale. Infine, affermano che i risultati ottenuti illustrano l’efficacia di un approccio del tipo translational neuroscience per lo sviluppo di interventi farmacologici in disturbi neuroevolutivi, quali quelli dello spettro dell’autismo[6].

Per parte nostra, ci auguriamo che i dati emersi e le interpretazioni proposte in questo studio trovino presto riscontri e conferme, così che si possa aggiungere questo strumento terapeutico agli approcci che, spesso con grandi sforzi e scarsi risultati, si impiegano attualmente per promuovere le abilità carenti in questi bambini poco fortunati.

 

L’autrice della nota, che ringrazia per la preziosa consulenza il presidente Perrella e per la correzione della bozza la dottoressa Isabella Floriani, invita alla lettura degli scritti di argomento connesso che compaiono sul sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Diane Richmond

BM&L-18 gennaio 2014

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Il termine autismo, in precedenza impiegato per indicare l’autoreferenzialità degli adulti psicotici, fu introdotto nella psichiatria infantile da Leo Kanner nel 1943, quando descrisse 11 bambini (maschi) che presentavano deficit sociali ed emozionali, oltre che cognitivi e comunicativi: early infantile autism (reso nella nosografia italiana con autismo infantile precoce di Kanner).

[2] I fenomeni emergenti su base genetica in un singolo individuo, o emergenici, derivano da tratti co-occorrenti e interagenti o dall’interazione di fattori biologici e genetici sottostanti. Per le cause ereditate di autismo, si veda in Note e Notizie 09-02-13 Cause ereditate di autismo: due nuove ricerche. Per un interessante aggiornamento sulla connettività nei disturbi autistici, si veda: Note e Notizie 02-02-13 Nuovi elementi sulla connettività nei disturbi autistici.

 

[3] I rilievi assumono particolare interesse anche alla luce del fatto che la melatonina prodotta durante il giorno non è rilasciata dalla ghiandola pineale. Verosimilmente, come proposto già nel 2002 da Bubenik, la principale fonte di melatonina diurna è la parete dell’intestino.

[4] Gordon I., et al., (op. cit. nel testo) in § Significance.

[5] Ossitocina e vasopressina differiscono per due soli aminoacidi e si ritiene che abbiano avuto origine da una duplicazione genica. Per una più dettagliata descrizione delle principali caratteristiche biochimiche e fisiologiche della molecola si veda in “Note e Notizie 05-07-08 L’ossitocina cerebrale e i nuovi studi”, e per il presunto ruolo di “molecola del bacio” si veda in “Note e Notizie 29-03-08 Il bacio, la sua fisiologia e la sua origine”; per il supposto ruolo di “molecola della fiducia” si veda lo scritto in forma di confronto sintetico: “Note e Notizie 05-07-08 Ossitocina e fiducia: dibattito”.

[6] E’ giustificabile il tono auto-promozionale di alcune parti del testo, particolarmente evidente nel paragrafo “Significance”, se si tiene conto del fatto che le case farmaceutiche non hanno alcun interesse all’utilizzo di una molecola non brevettabile come l’ormone naturale ossitocina e, per questo, sicuramente mancherà il loro apporto per l’ottenimento da parte degli organismi preposti della ratifica per la prescrizione nella nuova indicazione.