Sorprendenti abilità cognitive dei corvidi e di altri uccelli

 

 

LORENZO L. BORGIA

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XI – 23 novembre 2013.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: AGGIORNAMENTO]

 

Quando Gerald Edelman citava gli esperimenti di Cerella (1979), che dimostravano la capacità dei piccioni di generalizzare l’abilità di riconoscimento delle foglie di quercia da un tipo specifico usato nell’apprendimento condizionato, molti biologi rimanevano scettici ed andavano a leggere i lavori originali, alla ricerca di qualche debolezza metodologica, presumendo risultati spuri, interpretabili in modo diverso. Qualcuno si persuadeva solo dopo aver letto intere rassegne e studi di verifica con varie specie aviarie, inclusi gli studi di Herrnstein (1982) che dimostravano la capacità dei piccioni di generalizzare, come prototipi percettivi, immagini di acqua, pesci, alberi e figure di donna. Edelman impiegava questi studi nell’illustrazione delle sue tesi sulla “categorizzazione percettiva”, dando per implicita una capacità degli uccelli che a molti ricercatori non era ancora nota.

Oggi, che numerosi lavori sperimentali ed osservazioni etologiche hanno fornito prove ben più significative delle straordinarie risorse dell’intelligenza aviaria, non è tanto difficile comprendere una delle ragioni culturali della resistenza di molti biologi ad accettare quanto emergeva sugli uccelli: una concezione lineare dell’evoluzione. Secondo questo modo tradizionale di intendere la filogenesi, lo sviluppo di alcune abilità cognitive si sarebbe verificato esclusivamente in seno alla linea evolutiva dei mammiferi, e dunque gli uccelli, considerati geneticamente dei rettili il cui cervello avrebbe avuto le caratteristiche primitive dell’archiencefalo, non avrebbero dovuto possederle.

Recenti evidenze sperimentali dimostrano che i corvidi sono in possesso di risorse intellettive che possono rivaleggiare con quelle dei delfini e perfino degli scimpanzé e di altri primati sub-umani. Alcuni interessanti esperimenti hanno messo in rapporto la capacità di queste specie di riconoscere volti umani ed essere sensibili al nostro comportamento, con la loro intelligenza sociale.

I corvidi, che includono corvi, gazze, cornacchie e gracole[1], rispondono alla vista dei volti umani e tengono conto di atteggiamenti manifestati dall’uomo. Ad esempio, i corvi volano via molto più rapidamente quando una persona guarda loro direttamente, rispetto a quando compie gli stessi movimenti di avvicinamento guardando altrove, come si legge in un report di Barbara Clucas e colleghi della Humboldt State University, pubblicato sul numero di aprile di Ethology[2]. Nell’esperimento principale, gli etologi si dirigevano camminando verso gruppi di corvi in tre aree prescelte a Seattle, mettendo alla prova i due diversi atteggiamenti, cioè rivolgendo lo sguardo sugli uccelli o guardando lontano verso un punto distante da loro. A differenza di altri animali, che tengono conto del movimento complessivo di avvicinamento compiuto dal corpo delle persone che li approcciano, scappando in funzione della distanza e della rapidità dell’avvicinamento, i corvi  si involavano molto più rapidamente quando chi li avvicinava li stava fissando con lo sguardo.

Barbara Clucas ipotizza che questa reazione sia frutto dell’adattamento recente alla vita nelle grandi città. In particolare, gli uccelli avrebbero potuto apprendere questa risposta specifica per imitazione di individui della stessa specie edotti da esperienze dirette con l’uomo. La plausibilità dell’ipotesi si fonda su numerosi studi che hanno provato la capacità dei corvidi di imparare l’uno dall’altro comportamenti autoprotettivi.

John Marzluff, coautore dello studio della Clucas, con altri colleghi ha messo alla prova la capacità dei corvi di riconoscere delle sembianze, associare a queste degli apprendimenti e comportarsi di conseguenza. A questo scopo, alcuni anni fa, Marzluff e colleghi della Washington University hanno adoperato due tipi di maschere, ben evidenti e caratterizzate nelle differenze, e si sono recati nei parchi di Seattle dove dimorano gli uccelli che volevano studiare. Una maschera doveva essere associata al comportamento di cattura e l’altra si voleva che fosse associata al semplice passeggiare nel parco. I volatili hanno perfettamente compiuto l’associazione.

Cinque anni dopo, i ricercatori sono tornati nel parco col volto coperto dalle maschere come nel primo esperimento, ed hanno potuto verificare che gli uccelli presenti all’epoca del primo esperimento hanno ricordato le maschere corrispondenti alle persone che effettuavano le catture ed hanno trasmesso l’apprendimento ai loro piccoli e ad altri corvi, causando una reazione generale alle “maschere cattive” assente nei corvi di qualsiasi altra area. Infatti, tutti i corvi rispondevano alla vista delle sembianze dei catturatori immediatamente aggredendoli ed emettendo versi simili a strilli: una modulazione vocale corrispondente alla segnalazione di un grave pericolo ai membri della propria specie.

Un tale comportamento, per effetto delle fantasiose intuizioni trasmesse nel tempo da lavori di fiction, dai romanzi d’avventure ai film per ragazzi, non sorprende la maggior parte delle persone, ma scientificamente costituisce una prima prova reale, negli uccelli, di un apprendimento sociale cognitivamente complesso, in generale raro nel regno animale e descritto in alcuni mammiferi. Come ha prcisato Marzluff: “Una cosa è imparare dalla propria esperienza e un’altra è osservare ciò che accade ad altri individui ed inferire che possa accadere a te”[3].

La capacità dei corvi di riconoscere volti umani è nota, ma fino allo scorso anno non era stato definito il modo in cui il loro cervello esercita questa abilità; non si conosceva, in particolare, la strategia di memoria percettiva e non si sapeva quanto fosse distante da quella impiegata da noi. I risultati di uno studio di visualizzazione funzionale del sistema nervoso centrale mediante tomografia ad emissione di positroni (PET), pubblicato nel 2012, hanno evidenziato patterns simili ai nostri nella reazione a volti umani associati a cure e ricompense, così come a visi associati a minacce per la propria integrità. Erano, infatti, attive aree implicate nella percezione, e poi, coerentemente con le associazioni indotte dai ricercatori, l’amigdala, il talamo e il tronco encefalico, agenti nell’apprendimento e nell’evocazione della paura e in generale nell’elaborazione emozionale[4].

Le abilità percettive e cognitive espresse da varie specie aviarie, sperimentalmente verificate ed attualmente allo studio, sono numerose; qui di seguito ne ricordiamo alcune che possono aiutarci a delineare un abbozzo per un modo nuovo, e più vicino alla realtà, di considerare gli uccelli.

I colombi, cioè i piccioni che sono comuni nelle piazze delle grandi città italiane e che abbiamo già citato come protagonisti degli esperimenti di Cerella e Herrnstein, continuano ad essere studiati per l’abilità di memorizzare e distinguere configurazioni di forme e colori. Questa capacità, associata a quella di formare categorie, è stata sfruttata per insegnare loro a riconoscere dipinti d’autore. In una serie di esperimenti impressionanti, i piccioni hanno dimostrati di essere in grado di distinguere un Picasso da un Monet.

Le gazze, abili come tutti i corvidi nel riconoscere forme, configurazioni e sembianze, hanno fatto registrare prestazioni da record nel riconoscimento dei volti, dimostrando di poter individuare una specifica faccia anche fra migliaia di altre.

Lo studio di abitudini e comportamenti in rapporto all’alimentazione, ha fornito altri dati di sicuro interesse. Il corvo imperiale (Corvus corax), il maggiore per dimensione dei corvidi potendo raggiungere i 70 centimetri di lunghezza, è monogamo e vive in coppie fisse spesso riunite in famiglie che dimorano su alberi, in fessure di rocce, ruderi o torri antiche. In queste comunità aviarie è stata accertata una condivisione di informazioni, come quelle relative alla localizzazione delle carcasse di animali.

Dei piccoli uccelli africani non appartenenti ai passeracei, della famiglia delle Indicatoridae[5], detti honey-guide perché con il loro volo possono condurre agli alveari che contengono miele, tendono a portare le persone che incontrano ai nidi d’api. Quando i loro inconsapevoli complici aprono un alveare, gli uccellini si precipitano a ripulire le cellette rimaste piene di miele.

I membri di una specie di corvidi detti negli USA scrub jays e strettamente correlati al Garrulus glandarius, un corvo europeo dalla cresta nera e bianca, hanno una straordinaria memoria spaziale ed hanno presentato all’osservazione sperimentale una stupefacente abilità di reperimento di cibo. In realtà, l’individuazione consiste in un ritrovamento e si basa sulla capacità di ricordare esperienze cui hanno assistito: episodi di accantonamento o di occultamento di cibo da parte di altri. Alla memoria per il fatto, si aggiunge quella per l’esatta localizzazione spaziale delle sedi e, infine, l’abilità di orientamento verso la giusta meta.

Per molto tempo, gli studiosi dell’intelligenza umana hanno ritenuto che una delle sue prerogative, costituente un caratteristico tratto assente negli animali, fosse costituito dalla capacità di usare oggetti come strumenti per migliorare e potenziare l’abilità manuale[6]. La scoperta che alcuni mammiferi fossero in grado di servirsi di mezzi di fortuna reperiti in natura per raggiungere lo scopo di un atto motorio appropriato ma inefficace per limiti materiali, fece abbandonare l’etichetta di “prerogativa umana”, ma ha lasciato l’elenco di esempi ristretti ai mammiferi nel novero delle eccezioni - per animali evoluzionisticamente a noi prossimi - che confermano la regola.

Oggi sappiamo che un picchio delle isole Galàpagos usa un ramoscello per cavare fuori dalla profondità di fessure della corteccia degli alberi gli insetti di cui si nutre. Un pappagallo verde originario della Nuova Zelanda, il Nestor notabilis detto Kea (ki:) nella lingua Maori, usa stecchette, bastoncini, cordicelle e stringhe per spingere o trarre a sé il cibo che non riesce ad afferrare con semplici movimenti del becco associati a quelli delle zampe.

Infine, una breve menzione alle abilità comunicative degli uccelli, che meriterebbero un saggio di notevoli proporzioni per essere illustrate nel giusto dettaglio emerso da studi che vanno dalla neurogenetica[7] alla neuroanatomia, dalla fisiologia alla filogenesi del linguaggio. Ci limitiamo a ricordare che una varietà di corvo siberiano (Siberian jay) modula sapientemente i propri richiami di allarme per avvertire altri membri della specie sulla presenza di un falco, emettendo suoni vocali diversi e specifici per indicare se l’avvoltoio è fermo, magari appollaiato su ramo, se è alla ricerca di una preda o se sta attaccando. E, infine, menzioniamo le straordinarie capacità di Alex, il pappagallo cinerino di Irene Pepperberg, divenuto famoso in tutto il mondo per le sue prestazioni linguistiche ed aritmetiche[8]. In grado di denominare correttamente più di 35 oggetti, con una fedeltà sempre superiore all’80% in tutti i test cui è stato sottoposto, e padroneggiando un vocabolario di oltre 100 parole, Alex era in grado di manifestare la propria volontà negativa usando il “no” e di impiegare correttamente le parole acquisite nella costruzione di frasi di senso, esprimendo reali desideri e bisogni. Diceva: “Vieni qui”, per richiedere l’avvicinamento di una persona con la quale poi interagiva, oppure chiedeva: “Io voglio una banana” solo quando l’avrebbe poi mangiata e, come hanno potuto verificare le tante persone che hanno assistito alle sue piccole esibizioni di destrezza, quando era stanco di una giornata in cui aveva eseguito tante prove e compiti a comando, diceva: “Voglio tornare” (“I wanna go back”) per chiedere di essere lasciato libero di tornare in gabbia per andare a riposare, cosa che faceva immediatamente appena giunto. Alex, morto nel 2008, fu agli onori della cronaca in tutto il mondo per aver coniato una nuova parola, quando vide per la prima volta una mela: banerry. Il vocabolo era una sintesi fra due nomi di frutta a lui familiari: banana (in ingl.: banana) e ciliegia (in ingl.: cherry).

La ricerca sull’intelligenza aviaria rappresenta un caso di evoluzione convergente, in cui organismi tanto diversi quanto quelli di uccelli e mammiferi, con un ipotetico progenitore comune risalente a 300 milioni di anni fa, di fronte agli stessi problemi hanno trovato soluzioni simili. Inutile sottolineare quanto sia importante che questi studi proseguano per le neuroscienze in particolare e la biologia in generale.

 

L’autore invita alla lettura di tutti gli scritti di argomento connesso che appaiono sul sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Lorenzo L. Borgia

BM&L-23 novembre 2013

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Le specie e le varietà sono numerose, ad esempio, Gracula è l’antico nome latino di un genere corrispondente all’attuale Quiscalus della famiglia delle Icteridae, uccelli dal piumaggio nero con sfumature iridescenti visibili al sole, presenti con varie famiglie in Asia e in America, oltre che in Europa. In Italia è particolarmente nota la gracola religiosa dal canto deliziosamente modulato.

[2] Di questo e degli esperimenti condotti con John Marzluff riferisce Harvey Black in “Social Skills to Crow About” in Sci. Am. Mind 24 (4): 12, Sept./Oct., 2013.

[3] Harvey Black, art. cit.

[4] Harvey Black, art. cit.

[5] Includono specie che vivono nella zona dell’Himalaya e delle Indie Orientali.

[6] Questa prima formulazione fu poi corretta individuando nella capacità di fabbricare oggetti-strumenti un tratto unicamente umano. Fra le numerose osservazioni etologiche, una capacità di alcune scimmie ha fatto molto riflettere: masticando a lungo delle foglie, ne isolavano le nervature che, ridotte a poltiglia, impiegavano imbibendole d’acqua, così come noi facciamo con le spugne.

[7] Si veda nella sezione “In Corso” del sito: “FOXP2 E LA PAROLA”.

[8] Si veda nella sezione “Aggiornamenti” del sito la scheda introduttiva de “La ricerca negli uccelli e le neuroscienze” Firenze, 28 ottobre 2005.