L’attenzione amplifica gli stimoli nella corteccia cerebrale umana

 

 

DIANE RICHMOND

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XI – 23 novembre 2013.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Sebbene non sia facile definire in termini neuroscientifici l’attenzione, la sua natura e la sua influenza sulle nostre prestazioni percettive e cognitive, costituiscono un’esperienza comune e un patrimonio della conoscenza intuitiva. La neuropsicologia prima e le neuroscienze cognitive poi, hanno estesamente indagato questa funzione definendo, sia pur con metodi diversi, alcune importanti nozioni e fornendo una grande messe di dati utili per indirizzare le nuove ricerche.

Oggi è noto, ad esempio, che l’attenzione modifica le risposte neurali che codificano i differenti aspetti di uno stimolo visivo, e vari ed interessanti studi hanno dimostrato dei cambiamenti al livello di singoli neuroni, ma non è ancora stato definito il modo in cui le variazioni che riguardano singole unità di risposta si combinano fra loro, modulando l’intera codifica nelle reti corticali della rappresentazione di una scena di vita vissuta.

Dalla misurazione delle risposte elettriche di singoli neuroni e di piccole unità di cellule corticali, alla rilevazione di una modulazione di estese popolazioni neurali nelle cortecce dei lobi occipitale, parietale e frontale, implicate nell’elaborazione delle esperienze visive, il passo è enormemente lungo. La distanza che intercorre fra questi due livelli di elaborazione è tale da aver richiesto lo sviluppo di modelli ipotetici del funzionamento per i gradi più elevati di complessità.

Le teorie computazionali propongono che l’attenzione moduli il panorama topografico delle mappe di priorità spaziale in regioni della corteccia visiva, così che la localizzazione di un oggetto rilevante è associata con livelli più elevati di attivazione. Gli studi di registrazione di singole unità hanno dimostrato aumenti di risposte neurali e cambiamenti nelle dimensioni dei campi recettivi spaziali in rapporto con l’attenzione, tuttavia, gli effetti di queste modulazioni sulla topografia delle mappe di priorità di livello regionale, non sono stati finora indagati.

Thomas C. Sprague e John T. Serences hanno impiegato la risonanza magnetica funzionale (fMRI, da functional magnetic resonance imaging) e un modello di codifica multivariata per ricostruire le rappresentazioni spaziali di stimoli rilevati e stimoli trascurati, usando patterns di attivazione attraversanti le intere aree visive. I risultati sono di notevole interesse (Sprague T. C. & Serences J. T., Attention modulates spatial priority maps in the human occipital, parietal and frontal cortices. Nature Neuroscience [Epub ahead of print doi:10.1038/nn.3574], 2013).

La provenienza degli autori è la seguente: Neuroscience Graduate Program, University of California at San Diego, La Jolla, California (USA); Department of Psychology, University of California at San Diego, La Jolla (USA).

L’attenzione, come funzione della mente umana, è stata studiata in vario modo: in chiave psicologica, quale parametro della percezione, della cognizione e della coscienza; in neuropsicologia come funzione individuata in relazione ai deficit e particolarmente alla emi-inattenzione, poi interpretata come negligenza spaziale unilaterale; da un punto di vista neurobiologico e neurofunzionale sono state studiate le sue basi molecolari, cellulari e dei sistemi, anche allo scopo di decifrare l’eziopatogenesi del disturbo dell’attenzione con iperattività.

Fra i pionieri dello studio sperimentale dell’attenzione, Broadbent (1958) introdusse il concetto di “canale attentivo” definito come “la quantità o capacità di coinvolgimento in un determinato tipo di stimolo o azione”[1]; successivamente Moray (1969) fornì una definizione operativa generale, secondo un criterio già ampiamente adottato nella ricerca, che considerava l’attenzione come il focalizzarsi della mente su un’attività di ordine afferente o efferente. Dagli anni Settanta in poi si assiste allo sviluppo, sulla base di studi sperimentali, di teorie dell’attenzione che distinguono l’elaborazione controllata dall’elaborazione automatica (Shiffrin e Schneider, 1977) o l’attivazione automatica dall’attenzione conscia (Posner e Snyder, 1975) o, infine, i processi richiedenti attenzione dai processi automatici (Triesman e Gelade, 1980). Tutte queste elaborazioni teoriche recepiscono un dato di osservazione secondo cui l’attenzione può essere attivata dalla percezione o essere espressione di una decisione cosciente e volontaria[2]. Ma tale distinzione era già stata magistralmente definita un secolo prima, su una base intuitiva, da William James, il quale descrisse due tipi di attenzione: una passiva, automatica, guidata dallo stimolo e temporanea, l’altra attiva, volontaria, guidata concettualmente e sostenuta nel tempo[3]. Studi recenti, condotti mediante fMRI, hanno confermato la fondatezza della distinzione, rivelando che i due tipi di attenzione corrispondono a due differenti patterns di attivazione, caratterizzati dal reclutamento di sub-regioni cerebrali diverse.

Il lavoro di Thomas C. Sprague e John T. Serences ha realizzato, impiegando la fMRI per la visualizzazione dinamica dell’attività cerebrale e un recente modello di codifica multivariata per la sua interpretazione, una dettagliata ricostruzione delle rappresentazioni spaziali di stimoli ai quali era stata prestata attenzione e di stimoli che erano stati negletti dai volontari, usando configurazioni di attivazione attraversanti tutte le aree della corteccia cerebrale direttamente implicate nell’elaborazione dell’informazione visiva.

Le interessanti ricostruzioni ottenute rivelano l’influenza dei processi attentivi sia sull’estensione (amplitude) che sulla dimensione (size) delle rappresentazioni dello stimolo, all’interno di ipotetiche mappe di priorità nell’ambito della gerarchia di elaborazione visiva.

L’insieme dei dati emersi dallo studio, per la cui analitica si rinvia alla lettura integrale dell’articolo originale, suggeriscono che l’attenzione determina un incremento di ampiezza della rappresentazione dello stimolo nelle mappe spaziali individuate dai due ricercatori di La Jolla, in particolare nelle aree di più alto grado di elaborazione corticale dell’informazione visiva, ma non sembra modificarsi in maniera sostanziale la loro dimensione.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di lavori di argomento connesso che appaiono sul sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Diane Richmond

BM&L-23 novembre 2013

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Cfr. Broadbendt D. E., Perception and Communication. Pergamon Press, Oxford 1958. Dagli studi di Broadbent derivano anche i concetti di attenzione unicanalizzata e multi-canalizzata (in proposito si veda “Compiti simultanei rivelano caratteristiche della cognizione e del cervello umano” in “Note e Notizie” dal 14 aprile 2012 al 2 giugno 2012), così come quello di concentrazione o attenzione selettiva volontariamente sostenuta, contrapposta all’attenzione scopica con la quale esploriamo un ambiente.

[2] Molti studi avevano anche evidenziato che, in una certa misura, l’uomo può decidere la quantità di attenzione da prestare o impiegare in una determinata circostanza.

[3] Attualmente, molti ricercatori indicano i due diversi tipi di funzione come attenzione esogena (quella indotta) ed endogena (quella deliberata e volontaria).