Tre libri e qualche idea sulla creatività
GIOVANNA REZZONI
NOTE
E NOTIZIE - Anno XI – 16 novembre 2013.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli
oggetti di studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo:
RECENSIONE]
Il titolo annuncia “Tre libri e qualche idea”, ma non comincerei dai libri, perché proprio l’idea di “creatività” che le culture egemoni, amplificate dalle risorse telematiche di riproduzione e trasmissione stanno diffondendo, merita di essere commentata, in quanto rappresenta una “categoria semantica espansa e, a volerla prendere sul serio, annacquata e priva di confini definiti”[1], come ha recentemente osservato la professoressa Lanfredini. Il termine, infatti, è sempre più spesso impiegato per indicare, ad un estremo, ogni sorta di abilità intellettiva e sociale e, all’estremo opposto, la capacità di innovare, rinnovarsi o stupire. All’uso inflazionato della parola creatività che si fa nella comunicazione mediatica quotidiana, fa riscontro una deriva di senso che ha investito anche una parte della comunicazione scientifica che oggi, spesso, oltre a definire creativo ogni comportamento mentale che consente di risolvere problemi con una procedura non abituale o convenzionale, etichetta con questo aggettivo anche molte prestazioni cognitivo-comportamentali superiori alla media o semplicemente diverse per forma o stile rispetto al costume ordinario[2].
In proposito, alcuni anni fa[3] il presidente della nostra società scientifica, Giuseppe Perrella, citava quanto era accaduto a un suo seminario sul genio e la creatività umana: riferendo i contenuti di un saggio dello psicologo di Malta Edward De Bono, “Il pensiero laterale”, aveva indotto anche alcuni partecipanti risultati al test iniziale “non creativi” ad impiegare metodi non aristotelici o euclidei per risolvere con successo piccoli problemi logici o geometrici. Al termine del seminario, tuttavia, i “non creativi” risultarono, secondo i test ed anche nel proprio giudizio personale, rimasti nel loro stile di pensiero: non avevano assunto il paradigma aperto dei “creativi”, semplicemente avevano imparato delle procedure in più da applicare nei casi simili a quelli che erano stati proposti negli incontri seminariali.
Il nostro presidente, Giuseppe Perrella, ha dedicato molte riflessioni, scritti e interventi alla deriva semantico-concettuale che riguarda l’uso del termine “creatività” e l’attribuzione della qualità di “creativo” a persone intelligenti, istruite e intraprendenti o, talvolta, solo fantasiose e baciate dalla fortuna di incontrare i gusti correnti e i favori del mercato. Le sue analisi chiariscono con efficacia e precisione le insidie derivanti da questa deriva, che rinuncia all’intelligenza potenziale legata alle distinzioni riflesse nell’uso appropriato dei termini, ma i limiti di tempo e spazio imposti a questo scritto, non mi consentono di estrapolarne ampi brani. Non vorrei, tuttavia, rinunciare ad alcuni riferimenti utili per comprendere le ragioni della nostra scuola.
Una prima osservazione è tanto semplice quanto significativa. Il termine “creatività” non compare nei buoni dizionari della lingua italiana fino a tempi abbastanza recenti: creare, creativo, creato, creatore, creatura e creazione sono presenti in tutti i vocabolari, nei quali si specifica il significato originario e principale del verbo. In una di queste opere lessicografiche, ispirata alla più rigorosa tradizione del buon uso della lingua italiana, troviamo al lemma creazione la seguente raccomandazione: “usa parcamente questa parola, ricordando che la creazione è di Dio e del genio; orribile poi è l’abuso che se ne fa dalle modiste e dai sarti, per indicare un abito, un cappellino, una guarnizione di nuova forma, l’ultima espressione della moda”[4]. Il vocabolo italiano “creatività” può considerarsi una traduzione o un calco, come si dice in linguistica, della parola inglese creativity, introdotta nella lingua di Shakespeare nel 1875 ed impiegata con due significati: 1) la qualità di essere creativo; 2) l’abilità di creare. È interessante notare che il significato di creativo in italiano, e quello del termine equivalente in altre lingue neolatine, è più ristretto e influenzato dalla concezione religiosa ed artistica della creazione, rispetto al valore semantico dell’aggettivo inglese creative, la cui data di nascita si ritiene sia il 1678, e che nei secoli è stato progressivamente impiegato in varie accezioni, inclusa quella eufemistica che designa pratiche ingannevoli o truffaldine.
Il “Grande Dizionario Enciclopedico” della UTET[5], nel secondo dei volumi dedicati agli strumenti del sapere contemporaneo, intitolato “Concetti”, alla voce tematica “creatività” reca, secondo un taglio di filosofia estetica, una trattazione focalizzata sull’arte come processo creativo. Si cita Benedetto Croce: “…l’arte, dunque, non riproduce alcunché di esistente, ma produce sempre alcunché di nuovo, forma una nuova situazione spirituale, e perciò non è imitazione, ma creazione”[6]. Dewey, a proposito della creazione di un’opera, rileva che si tratta di “una prolungata interazione fra qualche cosa che esce dall’individuo e determinate condizioni oggettive, un processo attraverso cui ambedue acquisiscono una forma e un ordine che prima non possedevano”[7]. Ma Read, ridimensiona l’aspetto dell’originalità, cioè della capacità e possibilità di essere radicalmente creativi, come il credente suppone del Creatore: “…nella sua attività creativa l’uomo non può che seguire fedelmente i modelli offerti dalla natura…”[8].
La creatività storicamente si è anche espressa nella capacità dell’uomo di realizzare oggetti e strumenti che contengono in sé soluzioni intelligenti, ossia esempi di quella che è stata definita intelligenza potenziale, in contrapposizione all’intelligenza cinetica, corrispondente alla facoltà attivamente impiegata dal cervello umano. In altre parole, la creatività si è sempre manifestata, oltre che nell’arte, nella tecnica e nella tecnologia, e non di rado ha assunto i connotati di genialità (nell’italiano del 1500 genio significava ispirazione), ovvero dote intrinseca che si manifesta in campi diversi dell’agire intellettivo e realizzativo. L’esempio del genio per eccellenza è Leonardo da Vinci ma, nel Rinascimento e in epoche successive, sono molti i protagonisti passati alla storia per capacità creative espresse in vari campi del sapere e dell’esperienza umana.
Questa breve panoramica sul concetto di creatività ci fa presente una realtà descritta e distinta storicamente attraverso il valore attribuito alle parole: la creatività, dalla semplice produzione di un oggetto nuovo all’invenzione più geniale, non è riducibile all’automatica applicazione di processi logici di base quali induzione, deduzione, e così via, né, all’estremo opposto, può considerarsi un evento casuale del quale si appropria come artefice l’occasionale spettatore.
Il primo dei due vincoli di senso - come ha sostenuto Giuseppe Perrella - potrebbe cadere solo se la ricerca neuroscientifica dimostrasse l’infondatezza della sua autonomia nei processi neurali alla base della creatività; il secondo, ci sembra ragionevole che rimanga in ogni caso, se si intende come creatività un processo attivo con una sua specifica base cerebrale.
Per questo motivo, concludendo vorrei ribadire due idee che ritengo ci possano aiutare a ragionare sulla creatività se, come diceva Benedetto Croce, “ragionare è distinguere”.
La creatività non è l’intelligenza. Ricordo un evento sulla creatività organizzato qualche anno fa a Firenze, in cui si esponeva tra le icone dei protagonisti il ritratto della Montalcini. Fra le straordinarie doti intellettuali ed umane del Premio Nobel Rita Levi-Montalcini non vi era l’abilità inventiva o la passione per la creazione. Creativa era la sua sorella gemella Paola Montalcini, che forse non era un “genio”, ma sentiva il bisogno ed aveva la capacità di realizzare opere originali in vari campi dell’arte.
La creatività non è l’estro. Mi piace un’equivalenza proposta quasi per gioco dal nostro presidente ad un seminario: “L’estro sta alla creatività come l’emozione sta al sentimento”[9]. Avere slanci non vuol dire essere creativi: se lo siamo, i prodotti che realizziamo dovrebbero essere un’evidenza per noi e per gli altri.
Secondo la nostra concezione, che qui rendo in estrema sintesi, la creatività non è una funzione neurocognitiva di base, ma una dote, un dono, un talento che non tutti hanno, consistente nella capacità di realizzare oggetti materiali o concettuali, allo stesso tempo nuovi e provvisti di un valore riconoscibile. Non è creativo per noi qualcuno che genera qualcosa che si ritiene nuova solo perché appare diversa, come può esserlo una casuale macchia di inchiostro che, magari, in virtù di questa riconoscibilità può essere adottata come marchio e premiata monetariamente secondo le logiche del mercato. Creativo può essere tanto un tecnologo quanto un artista, ma la sua creatività, se esiste, deve poter essere verificata mediante una realizzazione.
Veniamo ora ai tre libri che costituiscono l’ultima novità editoriale in questo campo.
Lo psicologo Keith Sawyer ritiene di aver identificato un nucleo concettuale costante per tutte quelle esperienze umane che descriviamo in termini di creatività e pensiero creativo. In Zig Zag: The Surprising Path to Greater Creativity (Jossey-Bass, 2013), Sawyer espone questa convinzione, fondata soprattutto sulla ricerca psicologica recente, in modo semplice e diretto: “Non importa quale tipo di creatività io studiassi, il processo era lo stesso. La creatività non è discesa come un fulmine saettante che ha illuminato il mondo con un singolo lampo di luce brillante. È venuta a piccoli passi, pezzetti di consapevolezza, e cambiamenti progressivi”.
Keith Sawyer, basandosi su personali esperienze e su un significativo campione di studi recenti sulla creatività, cerca di realizzare un quadro con una certa organicità, allo scopo di fornire un fondamento per semplici strategie che ritiene in grado di promuovere e rinforzare il pensiero innovativo. Una delle convinzioni su cui si basa, era già in realtà supportata da studi classici sul rendimento cognitivo: il cambiamento di assetto mentale svolge una funzione di stimolo, consentendo di superare le routines automatiche e le abitudini costantemente rinforzate dall’uso della nostra intelligenza per affrontare le ripetitive circostanze della vita quotidiana, portando la nostra mente sul sentiero che, a piccoli passi, potrà consentirci di divenire creativi o migliorare la nostra creatività.
A tale scopo, Keith suggerisce, per esempio, di espandere le nostre conoscenze di base apprendendo una nuova abilità o, semplicemente, parlando con qualcuno che sia al di fuori della rete delle nostre conoscenze e dei nostri interessi.
Complessivamente, sebbene sia apprezzabile lo sforzo di rassegna degli studi di riferimento, ci sembra di poter dire che il materiale raccolto e le idee presentate - nessuna delle quali ci è apparsa nuova - costituivano un materiale decisamente insufficiente per farne un libro, particolarmente su un argomento così importante e già trattato numerose volte ed autorevolmente in passato.
Bruce Nussbaum, professore di innovazione e design presso la Parsons New School for Design, ha scritto un volume eminentemente pratico, al servizio dell’innovazione aziendale, dal titolo: Creative Intelligence: Harnessing the Power to Create, Connect, and Inspire (HarperBusiness, 2013). Ben & Jerry’s sono rimasti sulla cresta dell’onda per 35 anni creando nuovi gusti di gelato, più che attraenti per il sapore, divertenti in quanto proposti in una forma giocosa, ed essendo al passo con i tempi grazie alla realizzazione di incarti e imballaggi riciclabili e, in generale, rispettosi dell’ambiente. Questo tipo di capacità, che Nussbaum definisce intelligenza creativa, è indicata nel libro quale esempio di facoltà richiesta per il problem solving commerciale e aziendale, oltre che per guidare i processi innovativi.
Nel saggio si suggeriscono modi per aiutare singole persone ed imprese a sfruttare meglio le risorse della propria intelligenza creativa, mediante due tipi di attività: il pivoting, consistente nell’adattare un’idea per renderla capace di assicurare profitto, e il playing, consistente nell’essere semplici e immaginativi.
Anche Erik Wahl, artista ed imprenditore, ha pubblicato quest’anno un suo saggio sulla creatività, dichiaratamente rivolto al grande pubblico: Unthink: Rediscover Your Creative Genius (Crown Business, 2013). Lo scopo del libro, oltre a quello di vendere il maggior numero di copie possibile lusingando gli imprenditori e tutti i giovani che desiderano intraprendere una carriera di successo nel modo dell’impresa e degli affari, consiste nell’incoraggiare il lettore a fare affidamento sulle proprie risorse creative per realizzare i propri obiettivi.
Erik Wahl spiega che essere una ruota dell’ingranaggio, cioè cercare di operare come parte di un sistema, è un errore: il successo negli affari viene dalla possibilità di essere indipendente da condizionamenti per pensare creativamente. A tal fine, Wahl incoraggia un atteggiamento che si definisce, negli Stati Uniti, “goof-off”: un’espressione introdotta nel 1953 nel linguaggio giornalistico e sindacale, per indicare delle persone che con astuzie si sottraggono al lavoro o alle responsabilità che questo comporta. Il goofing off, suggerito dall’autore, consentirebbe di fare esperienza di un “tempo destrutturato” che avrebbe in sé le virtù necessarie a promuovere l’emergere delle capacità creative, qui intese come risorse di intelligenza per risolvere in maniera non convenzionale problemi ordinari o per trovare nuove possibilità dove sembra che non ve ne siano. Il “tempo destrutturato” nutrirebbe, secondo Wahl, la curiosità ed il pensiero spontaneo che, a suo avviso, sarebbero sufficienti a rivelare la creatività. La sua tesi, infatti, è che le doti creative non sono limitate agli inventori e agli artisti, ma sono presenti in tutti noi, ed attendono solo il giusto goofing off, ossia sottrarsi al lavoro e prenderne le distanze, per rivelarsi.
A voler essere severi, trascurando ogni altro pregio del volume, si può dire che questo saggio è il prodotto di una sopravvalutazione e di una generalizzazione di un’esperienza personale.
L’autrice della nota invita alla
lettura di scritti di argomento connesso che appaiono sul sito (utilizzare il
motore interno nella pagina “CERCA”).
[1] M. Lanfredini, Cosa si intende quando si parla di creatività e di genialità, p.1 (manoscritto non pubblicato, Firenze 2013).
[2] Cfr. G. Perrella, Appunti di critica epistemologica: artefatti, incidenti autoreferenziali ed errori di livello nella definizione di oggetti psichici convenzionalmente riportabili all’intelligenza e alla capacità creativa umana (testo non pubblicato di un intervento tenuto al convegno dal titolo: “Teorie e metodi nello studio della cognizione umana”, Firenze, dicembre 2003).
[3] Ai soci si ricorda lo studio proposto al “Seminario sull’Arte del Vivere” nel periodo 2008/2009. Le osservazioni che seguono sono tratte da quello studio.
[4] Fernando Palazzi, Novissimo Dizionario della Lingua Italiana (II edizione e seguenti), Ceschina, Milano 1957 (e successivi).
[5] Si fa riferimento alle edizioni pubblicate a partire dalla prima del 1985 (1997 e seguenti).
[6] Grande Dizionario Enciclopedico UTET, volume II (I Concetti), p. 163, UTET Torino, varie edizioni.
[7] UTET, op. cit., p. 164.
[8] UTET, op. cit., ibidem.
[9] Appunti personali tratti dal seminario 2008/2009; vedi nota n.3.