Trapianto neuronico in un modello di Parkinson recupera LTP ed LTD

 

 

NICOLE CARDON

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XI – 09 novembre 2013.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Il trattamento della malattia di Parkinson mediante il trapianto di cellule che sostituiscano i neuroni dopaminergici nigro-striatali perduti, è entrato nella sperimentazione clinica e poi fra i possibili interventi terapeutici ormai da tempo, ma non ha dato i risultati sperati[1]. I risultati degli studi di base più recenti hanno però rinnovato l’interesse per questa possibilità di intervento.

Daniella Rylander e colleghi hanno identificato il recupero della plasticità sinaptica come il meccanismo sottostante il progressivo miglioramento motorio che segue il trapianto neuronico in un modello murino della malattia di Parkinson. Una perdita di plasticità associata al Parkinson, nello striato che ospita il trapianto, poteva essere recuperata da neuroni dopaminergici trapiantati con sufficienti fibre innervanti, suggerendo che l’innervazione funzionale con la possibile formazione di sinapsi è richiesta per gli effetti di lungo termine dei trapianti neurali.

I dati emersi dal lavoro di Rylander e colleghi supportano l’impiego di una procedura a trapianti multipli per un maggiore e più esteso recupero della plasticità (Rylander D., et al., Region-specific restoration of striatal synaptic plasticity by dopamine grafts in experimental parkinsonism. Proceedings of the National Academy of Sciences USA [Epub ahead of print doi:10.1073/pnas.1311187110], 2013).

La provenienza degli autori è la seguente: Basal Ganglia Pathophysiological Unit, Lund University, Lund (Svezia); Developmental and Regenerative Neurobiology, Lund University, Lund (Svezia); Fondazione Santa Lucia, Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS), Roma; Dipartimento di Scienze Farmacologiche e Biomolecolari, Università degli Studi di Milano, Milano; Clinica Neurologica, Università degli Studi di Perugia, Ospedale Santa Maria della Misericordia, Sant’Andrea delle Fratte, Perugia. (Il lavoro è stato edito da Anders Bjorklund, Lund University).

La sostituzione dei neuroni dopaminergici degenerati nella malattia di Parkinson, anche se è stata introdotta da tempo, da molti è ancora considerata una terapia sperimentale, sia per l’incertezza dei risultati sia per i limiti evidenziati e i problemi sollevati dalle varie metodiche, con conseguenti correzioni e cambiamenti di protocollo.

Nei primi esperimenti terapeutici, uno dei principali problemi era costituito dalla difficoltà di ottenere e sviluppare un numero sufficiente di neuroni. Un’altra sfida impegnativa è stata quella di introdurre nuovi geni nei neuroni da trapiantare, per aumentarne le possibilità di sopravvivenza. In molti casi, le nuove cellule nervose erano già troppo mature per differenziarsi in modo appropriato o per integrarsi efficacemente nei circuiti danneggiati. La scoperta che i precursori neurali trapiantati possono differenziarsi in elementi maturi ha rappresentato una svolta importante. Sono state trapiantate varie classi di cellule indifferenziate, incluse le cellule staminali neuroniche e i committed precursors. In molti casi queste cellule si sono differenziate con caratteri più simili a quelli del sito di trapianto che a quelli del sito di origine, ma la loro plasticità ha creato problemi, che hanno richiesto la differenziazione in coltura prima del trapianto. I successi maggiori sono stati registrati con le cellule staminali embrionali (ES).

Recentemente, con la riprogrammazione dei fibroblasti della cute allo scopo di creare cellule staminali multipotenti (iPS), si sono ottenuti notevoli vantaggi: si evita l’incompatibilità immunitaria, generando cellule nervose dalla pelle dello stesso paziente e, naturalmente, si evitano i problemi etici connessi con l’utilizzo delle cellule ES.

Numerosi esperimenti hanno dimostrato che il trapianto intrastriatale di neuroni che segnalano mediante dopamina, può ristabilire i livelli fisiologici della catecolamina e migliorare i deficit neurologici parkinsoniani, ma i meccanismi sottostanti questi effetti sono scarsamente compresi.

Il lavoro di Rylander e colleghi dimostra che i trapianti di cellule nervose rilascianti dopamina, possono parzialmente ristabilire la plasticità sinaptica attività-dipendente nei neuroni striatali del sistema nervoso che riceve il trapianto. I ricercatori hanno valutato la plasticità sinaptica in regioni distali o prossimali al trapianto (striato dorsolaterale e ventrolaterale) ed hanno comparato gli effetti di trapianti dopamina- e serotonina-arricchiti, usando un ceppo di ratto quale modello sperimentale della malattia di Parkinson umana. Ratti naturali presentavano proprietà intrinseche di membrana comparabili nelle due sub-regioni, ma distinti patterns di plasticità sinaptica di lungo termine.

Interessante notare che lo striato ventrolaterale presentava un potenziamento di lungo termine (LTP, da long term potentiation), usando lo stesso protocollo che generava depressione di lungo termine (LTD, da long term depression) nello striato dorsolaterale. Lo sviluppo di LTP era associato ad una più alta espressione post-sinaptica di recettori per il glutammato di tipo AMPA e di subunità N2B dei recettori glutammatergici NMDA (GluN2B), ed era dipendente dall’attivazione delle subunità GluN2A e GluN2B, oltre che dal recettore D1 della dopamina. In entrambe le regioni, la plasticità sinaptica era abolita dopo una grave perdita di dopamina e non poteva essere ristabilita dal trapianto di neuroni serotoninergici. Gli esperimenti hanno mostrato con assoluta evidenza che solo ed esclusivamente i trapianti di cellule dopaminergiche erano in grado di ristabilire, nei ratti trattati, le condizioni per lo sviluppo di LTP e per il parziale recupero funzionale delle abilità compromesse dai deficit motori. Il recupero delle condizioni fisiologiche si poteva rilevare soltanto in prossimità del trapianto, nello striato ventrolaterale, dove la reinnervazione derivata dall’innesto di cellule dopaminergiche era molto più densa di quella riscontrabile nella regione dorsolaterale distale.

I dati emersi da questo studio di collaborazione italo-svedese forniscono una prova di concetto che i trapianti dopamine-enriched sono in grado di integrarsi funzionalmente nelle reti neuroniche del cervello ricevente e correggere i deficit di plasticità sinaptica striatale causati da parkinsonismo sperimentale. Infine, si può rilevare che il recupero funzionale “regione-specifico” emerso in questo lavoro, nella realtà clinica potrebbe imporre limiti al miglioramento sintomatico prodotto dal trapianto terapeutico.

In conclusione, osserviamo che il trapianto di neuroni dopaminergici potrebbe in futuro divenire la terapia d’elezione della malattia di Parkinson, e una tale prospettiva è attualmente al vaglio di un progetto sponsorizzato dall’Unione Europea.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di lavori di argomento connesso che appaiono sul sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Nicole Cardon

BM&L-09 novembre 2013

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Pensiamo, ad esempio, all’esperienza di Stuart Butler presso il Burden Neurological Institute di Bristol.