Le lingue influenzano la concezione verbale dei numeri
LORENZO L. BORGIA
NOTE
E NOTIZIE - Anno XI – 09 novembre 2013.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli
oggetti di studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo:
RECENSIONE]
Sono sicuramente affascinanti i rapporti fra la forma linguistica mediante la quale esprimiamo e comunichiamo i numeri e la formazione dei concetti relativi ai cardini dell’aritmetica e ai processi mediante i quali comprendiamo ed elaboriamo il senso legato alla numerosità. Non è necessario essere esperti di scienze dello sviluppo della cognizione umana, per rendersi conto di quanto le parole che denominano i numeri e i concetti che queste rappresentano siano intimamente connessi. Come per altri valori semantici, si può ipotizzare che, fermo restante un nucleo concettuale connesso con i processi universali dell’intelligenza umana, la forma di rappresentazione linguistica possa avere una parte nel condizionare il modo in cui si concepiscono i numeri. In altri termini, la morfologia grammaticale di una lingua potrebbe non essere indifferente per l’acquisizione di alcuni concetti numerici.
Gli idiomi verbali umani e, in particolare, le lingue nazionali con una grande tradizione di scrittura e una lunga storia di influenze reciproche, contaminazioni, scambi ed omologazioni, sono diventate in modo così radicato forma del pensiero, da indurre la maggior parte delle persone a farne automaticamente ed acriticamente la tara, ossia ad ignorarle, quando si parla di cognizione e di intelligenza. Sappiamo, invece, da una lunga tradizione di studi neuropsicologici e di psicologia cognitiva, che una tale sottovalutazione è imprudente e il rapporto linguaggio/pensiero, così come la relazione che intercorre fra le forme simboliche di rappresentazione o codifica e le potenzialità della elaborazione neurocognitiva del mondo, andrebbero studiati molto più analiticamente ed estesamente di quanto attualmente si faccia.
Le lingue
variano nel modo in cui contraddistinguono grammaticalmente i numeri, ad esempio con nomi, verbi, e così via, al punto da indurre numerosi ricercatori a
valutare gli effetti di questa variabilità sull’apprendimento dei vocaboli
esprimenti i valori numerici. Alhanouf Almoammer e vari colleghi, coordinati da
David Barner, hanno studiato l’influenza della morfologia grammaticale sull’apprendimento
del significato delle parole denominanti i numeri, rilevando
aspetti scarsamente noti e di sicuro interesse per gli studi che indagano
questo campo (Almoammer A., et al. Grammatical morphology as a source of early
number word meanings. Proceedings of the National
Academy of Sciences USA [Epub ahead of print doi:10.1073/pnas.1313652110],
2013).
La provenienza degli autori è la
seguente: Department of Health Rehabilitation Sciences, King Saud University,
Riyadh (Arabia Saudita); Department of Linguistics and Department of
Psychology, University of California at San Diego, La Jolla, California (USA);
Brain and Cognitive Sciences, Massachusetts Institute of Technology (MIT),
Cambridge, Massachusetts (USA); Division of Psychology and Language Sciences,
University College London (Regno Unito); Research Center for Humanities
(Language and Cognitive Science) University of Nova Gorica (Slovenia).
Secondo Pitagora il numero è la legge dell’Universo e, dunque, la parola che lo esprime non indica un’astrazione legata ad una particolare cultura o una convenzione linguistica, ma ha un’importanza antropologica paragonabile a quella dei termini che designano elementi concreti o esperienze cruciali per la vita di tutti e di ciascuno.
Durante lo sviluppo, con l’apprendimento della lingua madre, il bambino acquisisce un lessico e una sintassi per esprimere concetti numerici. In tal modo, diventa presto capace di conservare e ripetere in maniera appropriata espressioni che contengono numeri, in un periodo in cui gli si insegna la numerazione, ovvero una pratica mnemonica che consolida in una sequenza ordinata la corretta successione delle parole-numero indicanti la serie cardinale degli interi. Ma tutto ciò potrebbe non andare oltre una ripetizione automatica di cui non si è compreso il senso: uno psittacismo, per usare il termine tecnico dei linguisti. Come fanno allora i bambini a sapere che tre, sette o dieci corrispondono proprio al concetto di quelle quantità?
L’indagine sperimentale ha da tempo messo alla prova le principali tesi intuitive che rispondono al quesito. Secondo Stanislas Dehaene un primo problema affrontato dal cervello del bambino consiste nel discriminare e decidere se quelle parole si riferiscono al numero o ad altre qualità di un oggetto, quali colore, dimensione, forma od altro. Vari esperimenti hanno dimostrato che, per i 2 anni e mezzo di età, i bambini statunitensi (e presumibilmente tutti gli altri) sono in grado di distinguere le parole/numero da altri aggettivi.
Un passo successivo consisterebbe nel comprendere, per automatismi di esclusione e probabilità, che la parola si riferisce alla numerosità. Un passo ancora seguente prevederebbe l’entrata in gioco di un meccanismo pre-verbale di stima della numerosità, basato sull’accumulazione, simile a quello presente nel cervello di molti animali ed efficace per valutare e riconoscere piccoli numeri. A questo punto - sempre secondo il matematico e neuroscienziato francese Dehaene - le tracce semantiche avrebbero un’importanza critica al fine di superare questo stadio, basato sulla comparazione mnemonica guidata dalla stima visiva e realizzata dal meccanismo di accumulazione, per giungere ad una consapevolezza in cui la stima, corrispondente ad esempio alla parola tre, vede coincidere la conoscenza enumerativa (il contare fino a tre) con quella di rappresentazione (distinguere a colpo d’occhio l’insieme di tre oggetti da quello di due o di quattro). Questa interpretazione è probabilmente la migliore fra le teorie che siano supportate da evidenze sperimentali, tuttavia rimane pur sempre un costrutto razionale in attesa che si scoprano tutti i reali processi implicati.
In che modo le variazioni cross-linguistiche nella struttura della lingua interessano l’acquisizione precoce, da parte dei bambini, dei primi significati delle parole che denominano i numeri? David Barner, Alhanouf Almoammer e colleghi hanno provato a dare risposta a questo interrogativo indagando l’apprendimento della parola che denomina il numero in due lingue fra loro non correlate, che presentano una distinzione tripartita singolare-duale-plurale: lo Sloveno e l’Arabo dei Sauditi.
La particolarità di queste due lingue, peraltro lontane fra loro per origine e storia glottologica, è che oltre ad avere le specifiche inflessioni del singolare e del plurale, come del resto la maggior parte degli idiomi, contemplano inflessioni indicanti un “insieme di due”, ossia un dual marking.
I ricercatori hanno accertato che l’apprendimento della morfologia duale influenza l’acquisizione da parte dei bambini della parola “due” (two, in Inglese) denominativa della seconda cifra nella successione dei numeri interi; ciò è stato rilevato per entrambe le lingue (Sloveno e Arabo), che sono state confrontate con l’Inglese. Un dato estremamente significativo è che i bambini, a parità di età, che conoscevano il significato della parola “due” erano sorprendentemente frequenti fra i piccoli che avevano acquisito lo Sloveno o l’Arabo - ossia, come si dice in gergo glottologico, una lingua duale - rispetto a quelli che avevano per madrelingua l’Inglese, che è sprovvisto di questa categoria logico-linguistica intrinseca della dualità.
L’influenza è risultata evidente anche da un altro importante riscontro. I bambini sloveni erano più rapidi ed efficienti nell’apprendere two dei bambini che stavano apprendendo l’Inglese, anche a dispetto del fatto che fossero meno competenti nelle abilità di seriazione e, in particolare, nella capacità di numerazione.
Inoltre, lo studio ha rivelato che, nei bambini che apprendevano lo Sloveno e l’Arabo, la comprensione del “duale” era strettamente correlata con la conoscenza di two e di parole esprimenti numeri più elevati.
Infine, dall’insieme dell’esperienza di osservazione, per il cui dettaglio si rinvia alla lettura del testo integrale del lavoro originale, gli autori dello studio deducono che sebbene l’esposizione alla numerazione, ovvero l’esperienza del contare, sia importante per apprendere il significato delle parole che designano i numeri, l’ascolto di quei termini al di fuori di questo tipo di routines – nelle strutture di quantificazione della lingua – potrebbe svolgere un ruolo di elevata importanza.
L’autore della nota ringrazia la
professoressa Diane Richmond e invita alla lettura delle recensioni di lavori
di argomento connesso che appaiono sul sito (utilizzare il motore interno nella
pagina “CERCA”).