Geni, cellule e cervelli
LORENZO L. BORGIA
NOTE
E NOTIZIE - Anno XI – 21 settembre 2013.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli
oggetti di studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo:
RECENSIONE]
Una lodevole iniziativa della rivista “Le Scienze” ha proposto con il numero di settembre la traduzione italiana dell’interessante saggio di Hilary e Steven Rose “Geni, cellule e cervelli – Speranze e delusioni della nuova biologia” (Codice edizioni, Torino 2013).
Steven Rose, laureato in biochimica a Cambridge nel 1959 a soli 21 anni, quando si è affacciato alla ribalta internazionale con “Il cervello e la coscienza”, nel 1973, era considerato tra i fondatori di una nuova disciplina scientifica: la neurobiologia. La sua passione per la ricerca sulle basi neurobiologiche della mente non è stata mai disgiunta da uno straordinario interesse per i rapporti fra scienza e società, come dimostrano molti dei suoi numerosi saggi, scritti a partire dal lontano 1969, quando con la moglie Hilary Rose, sociologa apprezzata negli ambienti accademici, pubblicava Science and Society[1]. Ora è ritornato a collaborare con la moglie per la realizzazione di questo volume che affronta, senza timori reverenziali o riserve di carattere politico, problemi spinosi ed attuali come l’individuazione dei soggetti che effettivamente hanno tratto e traggono profitti enormi da imprese scientifiche quali il progetto “human genome”, le bio-banche del DNA, la ricerca sulle cellule staminali e l’espansione delle neuroscienze. Il ruolo degli stati nazionali, delle grandi aziende biotecnologiche e degli interessi internazionali legati alla difesa militare nel determinare alcune direzioni della ricerca biomedica, è analizzato con lucidità nelle pagine di questo libro.
Pochi neuroscienziati sono stati tanto intenti e competenti nel proprio lavoro quanto sensibili e attenti alla politica della ricerca come Steven Rose, che ha fornito analisi critiche sempre lucide e competenti, e perciò apprezzabili ed utili anche quando il suo punto di vista non era facilmente condivisibile.
Il volume, per introdurre i temi della nuova biologia, si apre con un riferimento al personaggio creato nel 1818 dalla fervida fantasia di Mary Shelley: lo scienziato Victor Frankenstein. Come un nuovo Prometeo, il titano che secondo la Teogonia di Eschilo avrebbe plasmato dall’argilla il primo essere umano, il protagonista del romanzo usa la nuova scienza dell’elettricità per dar vita a tessuti morti che costituiscono una nuova creatura: il celebre mostro di Frankenstein. Con le stesse parole della Shelley, i coniugi Rose[2] introducono il problema di una scienza che può generare creature, ai giorni nostri clonando, ma senza edificarne la dimensione umana attraverso l’amore: “In me – dice il mostro di Frankenstein – c’è un amore tale che tu non hai mai visto. In me c’è una rabbia a cui non riuscirai mai a sfuggire. Se non sono soddisfatto in uno mi concederò di assaporare l’altra”[3]. La distruttività insita nelle imprese non nutrite da sentimenti oblativi e disinteressati, assume la forma minacciosa dell’odio quando l’oggetto dell’impresa è l’uomo stesso, che secondo la saggezza kantiana dovrebbe essere sempre un fine e mai un mezzo. Ma il saggio non prende questa piega, e affonda subito la lama nel problema della strumentalizzazione da parte dei potentati economici: “Ancora più forti si alzano le voci dei prometei contemporanei, che sostengono la fusione della biomedicina e delle biotecnologie per spiegare, curare, manipolare e trasformare l’esistenza di una ricca minoranza globale…”[4].
Un potere economico-politico che non ha più tanto bisogno di manipolare le coscienze, perché può direttamente gestirle blandendole con promesse di cura per ogni malattia genetica, di rigenerazione degli organi ammalati, di posticipazione dell’invecchiamento, della fine del periodo riproduttivo e perfino della morte, ha creato un nuovo orizzonte umano della realtà, basato su una visione dell’uomo spacciata per scientifica, perché composta come un mosaico di elementi estratti ad arte dal mondo della scienza. Si legge: “La teoria dell’evoluzione offre la spiegazione dell’origine dell’uomo; la genomica si propone di spiegare le somiglianze e le differenze; le terapie geniche e le cellule staminali assicurano di curare o prevenire le malattie, o addirittura di migliorare il corpo e la mente; le neuroscienze promettono di prevedere i comportamenti, di spiegare la coscienza e, con le teorie sull’organizzazione del cervello, di «ri-essenzializzare» le differenze di genere”[5]. Ancora: “La conoscenza diventa proprietà intellettuale; la tecnoscienza diventa parte di un’economia globale, resa possibile dalla digitalizzazione estesasi dagli antichi centri euro-americani della cultura scientifica fino ai giganti emergenti come Cina, Singapore e India. I protagonisti principali di questi cambiamenti sono stati le grandi industrie farmaceutiche, i capitali di investimento, le società biotecnologiche, lo Stato – con i suoi interessi nella sorveglianza e nel controllo – e, come sempre, l’esercito”[6].
Nuovi esseri viventi possono essere creati e brevettati[7], testimoniando uno straordinario e pericoloso potere di coloro che sfruttano le biotecnoscienze; una questione che i Rose introducono con il significativo esempio dell’oncomouse: un topolino in grado di sviluppare un cancro umano, realizzato dai biologi di Harvard e brevettato dalla DuPont come un oggetto tecnologico o un nuovo farmaco. La macchina di propaganda delle nuove scienze biomediche, montata da coloro che intendevano beneficiare dei profitti attraverso nuove escogitazioni fondate sull’economia neoliberista del ventunesimo secolo, ha negli anni recenti promesso di sviluppare una medicina personalizzata a partire dalla creazione di grandi banche di dati genetici e clinici, e ha illuso molti ammalati circa la possibilità di una cura immediata e completa di gravi patologie ereditarie e degenerative con le cellule staminali. Alle neuroscienze, poi, è stato attribuito un ruolo di rivelazione di un determinismo biologico ineluttabile, se non facendo ricorso alle manipolazioni biotecnologiche in grado di rendere più sani, intelligenti e longevi.
Particolarmente interessante è il taglio critico con il quale viene presentata l’impresa del sequenziamento completo del DNA umano o Human Genome Project.
L’atteggiamento propagandistico, fatto di dichiarazioni roboanti e prive di misura da parte di Craig Venter e dei principali responsabili del progetto, rivelava – secondo il nostro presidente – un abbandono dello stile tipico del ricercatore: equilibrato e prudente nell’esprimere giudizi, sempre fondati sulla considerazione delle probabilità positive e negative desunte da precedenti acquisizioni sperimentali o da teorie scientifiche verificate e convalidate dalla ricerca. Hilary e Steven Rose vanno oltre, dando per implicito che i massimi responsabili del grande lavoro di sequenziamento del materiale genetico umano abbiano compiuto errori di valutazione non per semplice imprudenza, ma per grossolana imperizia. Leggiamo alcuni passi al riguardo.
“La genomica prende il via dal progetto più ambizioso e costoso nella storia delle scienze della vita: il sequenziamento del DNA del genoma umano. Quando ancora il Progetto Genoma Umano (Human Genome Project, HGP) muoveva i primi passi, negli anni novanta, già si progettava la creazione di immense banche dati di DNA, con l’intenzione di collegare i dati sanitari della popolazione al DNA dei singoli per individuare i «geni delle malattie» e sviluppare una medicina personalizzata. Le speranze che questo avrebbe portato a delle scoperte sensazionali, nella forma di nuovi farmaci, naufragarono con il fallimento, da parte di chi si occupava del sequenziamento dei geni, nel riconoscere la complessità degli uomini in quanto creature biosociali, modellate sia dalla storia evolutiva sia da quella sociale”[8]. “All’inizio del Progetto Genoma Umano nessuno sapeva quanti geni ci fossero nei tre miliardi di A, C, G e T del genoma umano. L’ipotesi preferita era di un centinaio di migliaia e, a lavori ormai in corso, i sequenziatori scommisero su chi si sarebbe avvicinato di più alla risposta corretta. Erano fiduciosi sul fatto che, una volta decodificata, la sequenza avrebbe rivelato come i geni che conteneva potessero generare i centomila miliardi di cellule che costituiscono il corpo umano, tenendo presente che ognuno dei sette miliardi di individui sul nostro pianeta ha dalla “lettura” digitale di un pezzo di DNA un risultato analogico diverso”[9]. “Più di un semplice trionfo scientifico, secondo i genetisti molecolari la decodifica del genoma avrebbe aperto le porte a una cornucopia di benefici in termini di salute e di ricchezza. I genomi personali, che indicano i fattori di rischio per la salute, sarebbero stati trascritti su CD, quei dischi scintillanti mostrati dai biologi molecolari al pubblico, incantato dalle loro parole, con cui cercavano di assicurarsi il sostegno al primo progetto su larga scala delle scienze della vita”[10]. “Quando i risultati del Progetto Genoma Umano cominciarono ad arrivare, Michael Dexter, amministratore delegato della Wellcome, dichiarò che il completamento del progetto sarebbe stato più importante dell’essere riusciti a portare l’uomo sulla luna, e che avrebbe significato quanto l’invenzione della ruota; ma i risultati, dal punto di vista teorico, furono imbarazzanti per i sostenitori del genecentrismo: gli esseri umani, immaginati come il culmine dell’evoluzione, con il cervello più complesso di tutti gli altri esseri viventi, hanno soltanto ventimila geni…”[11].
In conclusione, si consiglia la lettura di questo saggio tenendo conto che è proprio l’amore per la scienza e la consapevolezza del suo ruolo insostituibile per il progresso della civiltà e la vita delle comunità umane, ad indurre Hilary e Steven Rose ad essere critici così severi e implacabili con tutti coloro, scienziati inclusi, che mortificano l’impresa scientifica e il suo alto valore umano per seguire scopi e interessi meschini, distorti o francamente criminali.
L’autore della nota ringrazia il
Presidente Perrella, con il quale ha discusso l’argomento trattato, e invita
alla lettura di tutti gli scritti tematicamente collegati disponibili sul sito
(utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
[1] Fra i saggi più noti di Steven Rose e più spesso citati dai membri della nostra Società: Il cervello e la coscienza (1973), La chimica della vita (1982), Il gene e la sua mente (con Richard Lewontin e Leon Kamin, 1984), Molecole e menti (1990), La fabbrica della memoria (vincitore del British Science Book Prize, 1993), Linee di vita (1997), Il cervello del XXI secolo (2005).
[2] Si evince facilmente che il libro in massima parte è stato materialmente scritto da Steven, sia per lo stile sia per i riferimenti ad Hilary in terza persona.
[3] Hilary Rose e Steven Rose, Geni, cellule e cervelli – Speranze e delusioni della nuova biologia (Titolo originale: Genes, Cells and Brains – The Promethean Promises of the New Biology), p. 3, Codice edizioni, Torino 2013.
[4] Hilary Rose e Steven Rose, op. cit., ibidem.
[5] Hilary Rose e Steven Rose,
op. cit., ibidem.
[6] Hilary Rose e Steven Rose, op. cit., p. 4. In proposito, si osserva che la Difesa Militare dello Stato nel Regno Unito (i Rose sono inglesi) e in molte nazioni influenti sulle politiche economiche internazionali, ha una soggettività autonoma ed un notevole potere di influenza nella gestione delle risorse economiche.
[7] In proposito si vuole ricordare che, mentre negli Stati Uniti è stata approvata una legge che vieta il brevetto di qualsiasi elemento biologico (molecole, cellule, tessuti, organi, organismi) di tipo umano e restringe la brevettabilità dei prodotti biologici, in Europa la brevettabilità di questi “prodotti” è rimasta libera, perché sono state bocciate le proposte di regolamentazione presentate al Parlamento Europeo.
[8] Hilary Rose e Steven Rose,
op. cit., p. 5.
[9] Hilary Rose e Steven Rose, op. cit., p. 358.
[10] Hilary Rose e Steven Rose, op. cit., p. 358-359.
[11] Hilary Rose e Steven Rose, op. cit., p. 360. Per il significato dell’omologia della sequenza fra noi ed altre specie, si veda: Cosa rende unico il cervello umano [in “Note e Notizie” a partire dal primo incontro del 27-03-10, settimanalmente fino al quarto incontro (seconda parte) dell’8-05-10]; I geni che ci rendono umani (in “Note e Notizie” del 23-05-09), e numerosi altri scritti che si possono reperire con l’aiuto del motore interno nella pagina “Cerca” del sito. In realtà, ventimila geni non sono pochi ma troppi per la ricerca sulle malattie genetiche che, proprio per questo numero così elevato, impiegherà decenni per identificare i geni responsabili di una piccola parte delle quasi 7.000 mila sindromi genetiche.