Discussione critica sulla ketamina come antidepressivo

 

 

LUDOVICA R. POGGI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XI – 29 giugno 2013.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: DISCUSSIONE/AGGIORNAMENTO]

 

1. Introduzione. La sperimentazione in qualità di antidepressivo dell’anestetico generale ketamina, impiegato come sostanza psicotropa d’abuso nei rave parties, negli Stati Uniti ha catturato una notevole attenzione mediatica che ha indotto varie riviste di divulgazione scientifica ad occuparsi dell’argomento, con la conseguenza della diffusione di alcune valutazioni, opinioni ed aspettative in tutto il mondo. Aggiungendo che questo interesse sembra essere parte di un più generale ritorno di attenzione per la conversione di sostanze di abuso (illicit drugs) in farmaci-medicamenti (therapeutic drugs)[1], la nostra Società Scientifica ha riconosciuto l’opportunità di proporre in una breve discussione alcuni dati di conoscenza, che si spera possano risultare utili anche ai visitatori del sito non in possesso di una formazione specifica.

 

2. Le ragioni e un profilo farmacologico. Per decenni sono circolati aneddoti che narravano del beneficio ottenuto da persone depresse che avevano assunto ketamina in occasione di eventi di musica e danza, durante i quali veniva spacciata come un equivalente dell’ecstasy. A queste tracce incerte si sono aggiunti alcuni report, nei quali si registrava un miglioramento della sintomatologia depressiva in pazienti sottoposti ad anestesia con questo farmaco. Nell’insieme, si disponeva di indizi che facevano sperare nella possibilità di un effetto antidepressivo immediato, eventualmente da adoperare nei pazienti ossessionati da idee di suicidio, per i quali i tempi necessari al manifestarsi dell’effetto dei farmaci attualmente in uso, sono decisamente troppo lunghi.

Prima di esporre in breve e discutere gli esiti dei principali studi, consideriamo una scheda farmacologica della molecola.

La ketamina, che chimicamente è il 2-clorofenil-2-metilaminocicloesanone, fu sintetizzata negli anni Sessanta a partire dalla struttura della fenciclidina (fenil-cicloesilpiperidina o Sernylan), un anestetico di uso veterinario, impiegato per immobilizzare i primati e per la cattura a scopo terapeutico di animali in parchi e riserve[2]. La somministrazione è endovenosa ed intramuscolare. La ketamina, come il protossido di azoto, rispetto al quale può produrre effetti lievemente più profondi, è considerata un anestetico incompleto perché non è in grado di portare il paziente al III stadio; il suo uso è in gran parte giustificato dalle sue proprietà analgesiche, che la rendono efficace negli interventi e nelle procedure diagnostiche dolorose di breve durata, quali interventi chirurgici sulla pianta del piede in età pediatrica, o esami cistoscopici. L’azione farmacologica si accompagna ad un’amnesia che ricorda quella psicogena dissociativa (anestesia dissociativa).

Dopo circa un minuto dalla somministrazione in dose anestetica, si ha una fase di trance: gli occhi rimangono aperti ma il paziente non risponde più agli stimoli sensoriali. Subito dopo inizia l’azione anestetica vera e propria, caratterizzata da uno stato simil-onirico e da profonda analgesia, con effetti utili della durata di 5-10 minuti nella somministrazione endovenosa e 10-20 in quella intramuscolare. La respirazione non è depressa, se non a dosi molto elevate, e si produce per effetto di attivazione ortosimpatica una stimolazione cardiovascolare: è il solo anestetico generale per via endovenosa in grado di produrre un rilevante aumento della pressione arteriosa, della frequenza e della gittata cardiaca. Il termine dell’azione con una ripresa completa si verifica molto tardivamente.

L’assunzione spontanea come sostanza di abuso produce, in dipendenza della dose, effetti che vanno da esperienze di alterazione del corpo, del tempo e dello spazio, fino ad allucinazioni (effetto psicodislettico o allucinogeno) e disgregazione del sé (effetto psicosomimetico). Da rilevare che una dose elevata, assunta a scopo allucinogeno, determina in molti casi una reazione da intossicazione acuta estremamente spiacevole (iperattivazione del simpatico, vomito, ecc.).

 

3. Risultati degli studi e discussione. Il primo studio controllato per verificare l’efficacia antidepressiva è stato condotto nel 2006 da Carlos A. Zarate Jr e colleghi, presso il National Institute of Mental Health (NIMH, USA). 17 pazienti affetti da sindromi depressive gravi che, in media, avevano sperimentato sei diversi regimi antidepressivi senza risultati, presentarono una risposta sorprendentemente positiva alla somministrazione endovenosa dell’anestetico, posto a confronto con una soluzione salina. La metà fece registrare una riduzione del 50% dei sintomi entro due ore e, per la fine del primo giorno, il 71% aveva risposto positivamente, con circa un terzo dei volontari virtualmente privo di sintomi. Per alcuni la remissione durò almeno una settimana.

Nessuno studio controllato aveva mai riportato risultati simili per nessun altro trattamento antidepressivo: ben si comprende perché sia rimasto alto l’interesse in questi sette anni.

Il team di Carlos Zarate ha pubblicato un nuovo studio lo scorso anno: in questo caso sono stati trattati pazienti affetti da disturbo bipolare durante la fase depressiva. Dopo 40 minuti dalla somministrazione endovenosa, il 79% dei pazienti ha manifestato un netto miglioramento che è durato circa tre giorni.

Ma la realtà degli altri trials clinici non è positiva come quella degli studi di Zarate. La verifica degli effetti positivi a distanza di un giorno varia in un intervallo troppo esteso per essere affidabile nella sua significatività: dal 25% all’85%. Ciò vuol dire che gruppi equivalenti di pazienti possono presentare da un 75% di inefficacia ad un modesto ed accettabile 15%.

Un problema è senza dubbio da ascriversi alle componenti dell’effetto placebo-suggestione. Infatti, nella sperimentazione con ketamina, è quasi impossibile ottenere un perfetto doppio cieco contro placebo inerte, perché la dose efficace produce immediatamente effetti sulla coscienza, avvertiti dai pazienti che si sentono come “drogati” o “ubriachi”, e in tal modo sanno di aver assunto una sostanza che sta agendo sulla loro mente. Alcuni affermano di aver sentito “la scossa che li ha momentaneamente guariti”. Per aggirare questo ostacolo, lo psichiatra James Murrough del Mount Sinai Hospital ha progettato degli studi in cui i pazienti del gruppo di controllo riceveranno una sostanza che produce una reazione temporanea in grado di simulare gli effetti della ketamina. Ma in questo caso si introduce il problema del profilo farmacologico di questa sostanza che, evidentemente, non è ancora conosciuto e sperimentato a sufficienza per far sì che la molecola venga ritenuta inerte rispetto all’azione antidepressiva.

La ketamina agisce sui sistemi neuronici che segnalano mediante glutammato - il neuromediatore eccitatorio più impiegato nel cervello - ma non si sa in che modo tale influenza determini un effetto antidepressivo. In molti pazienti affetti da depressione cronica è stato rilevato un deficit di glutammato. Un innalzamento dei livelli di questo neurotrasmettitore induce un aumento di risposta della corteccia prefrontale agli stimoli emotivi e, correlativamente, una diminuzione di attività dell’amigdala, normalmente iperattiva nei depressi, soprattutto se ansiosi.

Naturalmente un breve innalzamento del livello di glutammato non può, da solo, spiegare l’effetto antidepressivo, ed è molto probabile che giochino un ruolo numerosi meccanismi molecolari, non solo agenti su singoli neuroni, ma anche sulla regolazione delle reti che mediano il tono dell’umore. Intanto, è noto che l’accumulo di glutammato si verifica perché la ketamina preclude il legame del trasmettitore ai recettori NMDA. Conseguentemente, si ha una maggiore stimolazione degli altri recettori glutammatergici. E’ questo uno shift che si ritiene alla base di un aumento delle sinapsi attive.

Glen Zehnder Brooks, un anestesiologo di New York, recentemente ha aperto una clinica esclusivamente dedicata alla somministrazione iniettiva di ketamina in pazienti depressi che siano in terapia con uno psichiatra. Il problema fondamentale di questa scelta è che l’efficacia di una singola somministrazione è di breve durata, pertanto si deve mettere in conto la possibilità di iniezioni ripetute: in questo caso gli effetti collaterali sembrano inevitabili.

I ricercatori che hanno studiato tossicodipendenti da ketamina e persone che ne hanno fatto un largo uso come “droga da rave party”, pur non sviluppando dipendenza, hanno rilevato una serie di disturbi in forma più o meno grave: alterazioni della percezione, deficit di memoria, compromissione delle abilità di apprendimento e casi di gravi infiammazioni della vescica urinaria.

Al rischio di questi effetti collaterali con dosi ripetute, si associa la breve temporaneità della scomparsa dei sintomi depressivi, che fa pensare più ad un’azione di disturbo sui sistemi neuronici della coscienza, che ad un vero e proprio effetto terapeutico. Infatti, in un recente studio condotto da medici del Mount Sinai Hospital, dei 21 pazienti che avevano ricevuto 6 iniezioni di ketamina in 12 giorni, ben 17 hanno avuto una completa ricaduta dopo un tempo medio di 18 giorni dall’ultima iniezione, mentre solo per 4 pazienti gli effetti positivi hanno agito da innesco per una remissione protratta per 83 giorni.

Si offrono questi elementi al giudizio del lettore, e si spera che la ricerca fornisca presto risposte sui meccanismi d’azione alla base degli effetti osservati.

 

L’autrice della nota ringrazia il presidente della nostra società scientifica e invita alla lettura degli scritti di argomento psicofarmacologico disponibili sul sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Ludovica R. Poggi

BM&L-29 giugno 2013

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Si vedano, ad esempio: Erica Rex, Calming a Turbolent Mind. Scientific American Mind (May/June) 24 (2): 59-66, 2013 (articolo giornalistico scritto da una redattrice del New York Times sulle proprietà terapeutiche delle sostanze contenute nei funghi allucinogeni del genere Psilocybe); Simone Grimm & Milan Scheidegger, A Trip Out of Depression. Scientific American Mind (May/June) 24 (2): 67-71, 2013 (un articolo di rassegna scritto da uno psicologo e da un medico in formazione).

[2] “Proiettili anestetici” esplosi mediante uno speciale fucile. Già all’inizio degli anni Settanta era noto l’uso illegale della fenciclidina come sostanza psicodislettica, per la sua capacità di alterare la coscienza ed indurre stati allucinatori (cfr. Meyers, Jawetz e Goldfien, Farmacologia Medica, p. 199, Piccin, Padova 1975). Attualmente la ketamina (con il nome commerciale di Ketalar) ha il suo maggiore impiego come anestetico in medicina veterinaria, in particolare negli interventi sui cavalli.