La nuova edizione del celebre trattato sul dolore di Wall e Melzack

 

 

GIUSEPPE PERRELLA

(Trascrizione di Lorenzo L. Borgia)

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XI – 22 giugno 2013.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: TRASCRIZIONE DI UNA RELAZIONE ORALE]

 

Il presente testo è stato tratto dalla registrazione di una relazione tenuta venerdì 14 giugno 2013 in Firenze dal presidente della Società Nazionale di Neuroscienze, Giuseppe Perrella, che ha recensito per i soci la sesta edizione del trattato sul dolore più famoso al mondo. Il testo, per espresso desiderio dell’autore, è stato riassunto in alcune parti e privato degli approfondimenti specialistici, sia per consentire una lettura scorrevole ai visitatori del sito non esperti del settore, sia per permettere al trascrivente una sollecita consegna per la pubblicazione.

 

 

La malattia è il dottore al quale prestiamo maggiore attenzione:

alla gentilezza, alla conoscenza noi facciamo solo promesse:

al dolore obbediamo

(Marcel Proust)

 

Se dovessi scegliere fra il dolore e il nulla,

io sceglierei il dolore

(William Faulkner)

 

Non siamo noi stessi quando la natura, creatura oppressa,

impone alla mente di soffrire col corpo

(William Shakespeare, Re Lear)

 

Con l’aiuto della spina nel piede,

io salto più in alto di chiunque altro con i piedi sani

 (Sjøren Kierkegaard)

 

 

(Prima Parte)

 

1. Introduzione. Stamane, mentre percorrevo la strada che mi separava da voi, già qui riuniti, riflettevo su come appariva chiara cinque anni fa la trasduzione termica, nell’ambito dei meccanismi molecolari del dolore, e quanto invece sia stata complicata dalle nuove scoperte, e, più in generale, come era più semplice insegnare la percezione del dolore quando si riteneva che le molecole recettrici fossero presenti solo sulla membrana dei neuroni recettori e non erano ancora state individuate nelle strutture subcellulari di cellule non nervose. Un tale pensiero, che si è accompagnato ad un istintivo accelerare del passo, è trascorso nell’emergere quasi urgente della responsabilità di comunicare quanto ho avuto modo di apprendere dalla lettura di articoli recenti e, soprattutto, dallo studio di vari capitoli di questo straordinario volume che mi appresto a presentare.

Non è eccessivo - mi sono detto - affermare che quanto sono riuscito ad apprendere in questi giorni, sarebbe materia sufficiente per un breve corso di aggiornamento e, dunque, non potrei pretendere, nel tempo concessomi per questa presentazione, di trattare in maniera esaustiva anche solo una piccola parte degli argomenti egregiamente aggiornati in questa sesta edizione del “Wall and Melzack’s Textbook of Pain”. Per questa ragione, e per dare un valore di utilità alla mia relazione, mi sono assegnato un compito di portata decisamente più limitata: tracciare un profilo dell’identità culturale dell’opera, al fine di aiutare, soprattutto i più giovani, a collocarla nel novero dei testi di neuroscienze che trattano in alcune parti o nel suo insieme l’argomento del dolore.

Prima di cominciare, però, devo chiedere alla cortesia dell’uditorio di concedermi un riferimento personale, non tanto per giustificare in termini curricolari una competenza al riguardo, quanto per rendere le ragioni di un mio pluridecennale interesse e i termini dell’angolazione prospettica da me preferita che, mi piace rilevare, è in perfetta armonia con lo spirito che Ronald Melzack ancora oggi testimonia, a dodici anni dalla scomparsa di Patrick Wall.

Lo studio della neurofisiologia, della biologia molecolare, della neurochimica e della farmacologia del dolore alla facoltà di medicina, si era incontrato nella mia mente con un’esperienza presso l’istituto di clinica psichiatrica della mia Università - dove lavoravo come volontario in formazione - durante la quale ero entrato in rapporto con la gamma quasi completa delle sofferenze umane. In quel periodo la vita mi aveva imposto, con la straziante perdita di persone care, un brusco e radicale mutamento di prospettiva esistenziale, imprimendomi le tracce indelebili della conoscenza per esperienza e della sensibilità al dolore altrui.

Come il mio interesse non era stato indotto da una semplice curiosità scientifica per i meccanismi molecolari e i processi fisiopatologici alla base delle sensazioni algiche causate da malattia o da trauma, così quello, ben più rilevante per la scienza, di Wall e Melzack, era stato determinato dal desiderio di conoscere le ragioni dell’umano patire e trovare mezzi efficaci per il sollievo della sofferenza.

Non avendo potuto condurre uno studio sperimentale, ho scelto di non pubblicare alcuna delle numerose versioni di un saggio che ho intitolato “L’esperienza del dolore”, in omaggio all’omonimo libro di Salvatore Natoli, ma ho lasciato che le copie di varie bozze fossero diffuse fra studenti e studiosi, allo scopo di ricevere suggerimenti e critiche. Da una fra le più recenti di queste versioni ho tratto qualche spunto per questa presentazione[1].

Il dolore fisico come sintomo ha una precisa connotazione nella semeiotica medica e da tempo è oggetto di specifiche branche della ricerca di base, dello studio clinico e dell’intervento terapeutico. La sua natura è bene sintetizzata nella definizione dell’International Association for the Study of Pain: “Una spiacevole esperienza sensoriale ed emozionale associata a danno tessutale attuale o potenziale o descritta nei termini di tale danno”[2]. La lesione, come riferimento imprescindibile, spiega la centralità della conoscenza delle basi molecolari e della neuroanatomia del sistema che consente la percezione della sensazione algica[3] ed ispira la pratica clinica[4].

Tuttavia è difficile separare sempre nettamente il dolore fisico da quello morale o da ciò che convenzionalmente in psichiatria si è chiamato angst o ansia o dolore della psiche, sia perché la componente protopatica di un danno organico può divenire così pervasiva per la coscienza da determinare una condizione di generale sofferenza e non più di percezione spiacevole localizzata, sia perché il disagio psichico può produrre somatizzazioni dolorose, come ci ricorda una monografia dello stesso Patrick Wall[5].

L’intimo nesso che esiste fra dolore organico e morale si sta sempre più chiarendo in termini biologici, ma la sua percezione deve essere stata esperienza costante fin dall’antichità più remota. Già nei documenti della Grecia arcaica si rinviene, ad esempio, l’impiego di termini relativi ai traumi fisici per descrivere dolori morali, e lo studio dell’evoluzione del significato di patos, che nell’accezione moderna equivale al termine pena, ossia allo stato affettivo dell’essere in pena, mi sembra istruttivo al riguardo.

Il valore semantico della parola πάθος, che si afferma e si tramanda nella tradizione greca, si costituisce proprio per designare l’effetto sul soggetto di un evento traumatico. Nella sua forma originaria la parola denota semplicemente l’essere colpito dall’esterno, indipendentemente da una connotazione positiva o negativa. Πάθος significava appunto evento, avvenimento, congiuntura. Impiegata per indicare eventi gravi ed imprevisti come morti improvvise o cataclismi, la parola assume la valenza negativa di disgrazia, sciagura, sofferenza per un avvenimento accidentale. La sciagura, ovvero ciò che non si sceglie e colpisce, è alla radice di uno dei prototipi concettuali del dolore: un male che giunge, come si rinviene nel verbo πάσχω (da cui il patior latino) che significa insieme accadere, subire e soffrire. “In una parola l’accadimento del dolore è ciò che costitutivamente si subisce ed in tale subire esso è appunto un patire”[6].

In esergo ho proposto quattro citazioni, da Proust, Faulkner, Shakespeare e Kierkegaard, che mi aiutano a ricordare alcuni spunti emersi dalle mie riflessioni:

 

1) il soffrire si impone come esperienza individuale ed individualizzante;

2) il dolore rappresenta un’esperienza potenzialmente costitutiva di senso, nella realtà individuale e nella diacronia collettiva, in cui gli si può riconoscere un valore ontologico, in quanto radice antropologica della psicologia dei soggetti storici, come affermato da Natoli;

3) la sofferenza acuta ed intensa è sempre un’esperienza della mente e del corpo e, al grado più elevato, è depersonalizzante;

4) quando il dolore non è così intenso da abbattere e possiamo dominarlo con le risorse della nostra mente, diventa uno stimolo unico per qualità ed efficacia.

 

Scusandomi per essermi un po’ troppo dilungato in questa parte introduttiva, mi sento giustificato, per i contenuti proposti, dagli interessi e dalla sensibilità degli stessi autori dell’opera, alla quale vi propongo di accostarvi prendendo le mosse da quanto afferma Ronald Melzack al termine della sua premessa al volume: “Il dolore - particolarmente il dolore cronico - continua a distruggere la vita di milioni di persone in tutto il mondo. Non c’è scopo più nobile che ottenere il sollievo dal dolore e dalla sofferenza. Questa nuova edizione avvicinerà quel giorno”[7].

 

2. Wall and Melzack’s Textbook of Pain (Stephen B. McMahon, Martin Koltzenburg, Irene Tracey, Dennis C. Turk, editors). 6th edition. Elsevier Saunders, Philadelphia 2013.

Nel 1965 fu pubblicata da Patrick Wall e Ronald Melzack la prima teoria scientifica sul meccanismo impiegato dal midollo spinale per la regolazione dell’ingresso degli stimoli dolorifici periferici nel sistema nervoso centrale, la cosiddetta “Gate Contol Theory”, determinando un’espansione esplosiva nella ricerca biomolecolare e neurofunzionale sul dolore. I due ricercatori avevano riconosciuto all’origine del dolore uno squilibrio nel sistema di controllo del “varco di accesso” al midollo spinale, normalmente costituito dall’inibizione tonica presinaptica di quasi tutte le fibre in entrata, da parte degli interneuroni presenti nella sostanza gelatinosa di Rolando del corno posteriore del midollo.

La teoria, tuttora valida, subito fornì l’impianto logico ad un numero straordinario di esperimenti, e costituì la base razionale di innumerevoli strategie per la terapia del dolore. Nel 1984, Wall e Melzack decisero di raccogliere in un libro di testo tutti i principali risultati ottenuti dalla ricerca di base e clinica sul dolore: così nacque la prima edizione del Textbook of Pain che - caso più unico che raro per un trattato scientifico - andò esaurito nell’arco dello stesso anno. Sull’onda dello straordinario successo, furono realizzate la seconda, la terza e la quarta edizione (1999), poco dopo la pubblicazione della quale, Patrick Wall si ammalò e, l’8 agosto 2001, lasciò orfana la comunità scientifica di un padre nobile di alta levatura professionale ed umana.

Ronald Melzack, attualmente professore emerito della McGill University di Montreal (Quebec, Canada), proseguì il lavoro inteso a mettere a disposizione dei clinici i maggiori progressi ottenuti nella lotta contro il dolore. In quegli anni, la questione nevralgica nel dibattito fra gli autori del Textbook of Pain consisteva nell’equilibrio fra i due aspetti del dolore: la ricerca e la terapia.

Nel 2006 questo equilibrio fu raggiunto ed espresso nella quinta edizione, grazie all’apporto di due nuovi curatori ed autori-supervisori (editors) dell’opera: Stephen McMahon e Martin Koltzenburg.

Gli obiettivi e gli orizzonti di questa sesta edizione si sono notevolmente espansi con l’aggiunta di due altri editors del calibro di Dennis Turk e Irene Tracey, le cui ricerche hanno fornito contributi rilevanti alla comprensione dei meccanismi cerebrali e dei fenomeni comportamentali alla base del dolore acuto e cronico. Complessivamente, gli autori del nuovo Textbook of Pain sono 147, e il loro contributo è stato ripartito in 76 capitoli, organizzati in otto sezioni (Neurobiologia del Dolore; Valutazione e Psicologia del Dolore; Farmacologia e Trattamento del Dolore; Stati Clinici/Tessuto Somatico Profondo; Stati Clinici/Viscere; Stati Clinici/Cefalea e Dolore Facciale; Stati Clinici/Dolore Neuropatico; Stati Clinici/Dolore Oncologico) per un totale di 1153 pagine comprendenti l’indice analitico, e precedute da 30 pagine di presentazione editoriale, inclusive di elenco degli autori, indice generale e tavole di abbreviazioni ed acronimi.

 

[continua]

 

Giuseppe Perrella

 (trascrizione di Lorenzo L. Borgia)

BM&L-22 giugno 2013

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Cfr. G. Perrella, L’esperienza del dolore (XV versione, manoscritto non pubblicato), Firenze 2003.

[2] C. R. Chapman, Pain, pp. 1-6 in Encyclopaedia of Cognitive Science, Nature Publishing Group, London 2003. La definizione fu introdotta per la prima volta nel 1979, ma rimane tuttora quale standard di riferimento. Chapman, introducendo la trattazione dell’argomento, propone una sua definizione che ricorda il valore fisiologico di segnale della sensazione dolorifica: “Pain is an unpleasant sensory and emotional bodily awareness that normally serves a protective function by informing us of tissue damage” (C. R. Chapman, op. Cit., ibidem).

 

[3] Willis and Westlund, Neuroanatomy of the pain system. Journal of Clinical Neurophysiology 14, 2-31, 1997; Casey and Bushnell (editors) Pain Imaging, IASP Press, Seattle 2000.

[4] Loeser, Butler, Chapman and Turk (editors), Bonica's Management of Pain, 3rd edition, Williams and Wilkins, Philadelphia 2001.

 

[5] P. Wall, The science of suffering. Columbia University Press, New York 2000.

[6] S. Natoli, L’esperienza del dolore. Le forme del patire nella cultura occidentale, p. 19, Feltrinelli, Milano 1986. Interessante notare che la medicina ippocratica abbondava di vocaboli per indicare le malattie, uno dei pochi termini impiegati per definire l’ammalato e non la malattia è bletos, che vuol dire colpito, percosso improvvisamente, e, per estensione, preso da un colpo. Secondo alcuni etimologisti pathos deriverebbe da bletos  (Cfr. Di Benedetto, Il medico e la malattia. La scienza di Ippocrate, pp. 19 e 23, Einaudi, Torino 1986).

[7] Wall and Melzack’s Textbook of Pain (Stephen B. McMahon, Martin Koltzenburg, Irene Tracey, Dennis C. Turk, editors), sixth edition, p. XVII (Foreword),  Elsevier Saunders, Philadelphia 2013.