Alla scoperta dei periciti del cervello
GIOVANNI ROSSI
NOTE
E NOTIZIE - Anno XI – 18 maggio 2013.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli
oggetti di studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo:
AGGIORNAMENTO]
Oltre un secolo fa il ricercatore francese C. M. Rouget descrisse per primo una popolazione di cellule residenti nella parete dei vasi capillari, disposte ad avvolgere esternamente lo strato di cellule endoteliali costituenti la superficie interna dei più piccoli vasi del corpo. Queste cellule, dette in passato cellule murali o cellule di Rouget, furono battezzate periciti per la loro sede perivascolare e descritte in minuto dettaglio grazie all’osservazione al microscopio elettronico.
Dopo un lungo periodo in cui sono stati relegati fra gli argomenti specialistici dell’istologia e trascurati dalla ricerca, i periciti sono tornati d’attualità soprattutto perché è stato loro riconosciuto un ruolo nella costituzione dell’unità neurovascolare (NVU, da neurovascular unit). Si ricorda, in proposito, che un gran numero di dati sperimentali ha suggerito che le funzioni encefaliche sono in gran parte determinate da una complessa interazione di differenti tipi cellulari, quali elementi gliali, neuroni, cellule dell’endotelio cerebrale e periciti, dando origine al concetto di unità neurovascolare (NVU). Una delle funzioni principali della NVU è la costituzione di un’attiva interfaccia fra il sangue dei capillari del sistema nervoso centrale e il fluido extracellulare dei neuroni e della glia, cui si da il nome di barriera emato-encefalica (BEE o, in inglese, BBB, da blood-brain barrier)[1]. Attualmente si ritiene che una parte importante della flessibilità di risposta del sistema nervoso centrale alle necessità critiche dell’organismo e alle richieste neurofisiologiche interne, derivi dall’orchestrazione funzionale di un’enorme rete eterogenea ed integrata, cui prendono parte neuroni, astrociti, microglia, periciti, cellule muscolari lisce dei vasi e cellule endoteliali che, insieme, costituiscono appunto l’unità neurovascolare.
Le funzioni dei periciti e il ruolo che sembrano avere in molti stati patologici del cervello, hanno attratto l’attenzione di numerosi ricercatori, ma la maggior parte della comunità neuroscientifica rimane distante, perché poco preparata su questo argomento che, d’altra parte, spesso non è specificamente trattato ai corsi di formazione universitaria. Per questo motivo, la nostra società scientifica intende dare il suo piccolo contributo nel suscitare l’interesse dei giovani per lo studio di queste cellule.
A tale scopo, abbiamo incaricato un gruppo di studio di fare il punto delle conoscenze acquisite, mediante un’accurata revisione delle pubblicazioni scientifiche degli ultimi due decenni e una cernita dei lavori più importanti di epoca precedente; al termine, saranno redatte delle brevi rassegne sulle questioni di maggiore interesse e sui principali problemi che la sperimentazione dovrà affrontare[2].
In estrema sintesi, cercherò di presentare gli aspetti su cui credo che maggiormente si dovrebbe indagare. Prima di ogni cosa, vorrei soffermare l’attenzione sull’identità dei periciti. In proposito, ricordo che un principio istologico di base vuole che, quando si abbiano dubbi sull’identità di una cellula, ci si rivolga all’embriologia: l’origine spesso fornisce un orientamento prezioso. La problematicità dei periciti si rende evidente fin da questo punto: una parte di essi origina dal mesoderma, come le ossa e i muscoli, e un’altra dall’ectoderma, in particolare dalla cresta neurale, dalla quale origina il sistema nervoso periferico, le cellule del sistema diffuso APUD (amine precursor uptake and decrboxilation) e la midollare del surrene (Winkler e coll., 2011).
I periciti, posti all’esterno dei capillari e separati dalle cellule endoteliali solo da una membrana basale comune, sono molto più numerosi nei vasi che prendono parte alla costituzione della barriera fra sangue e cervello. La loro collocazione sembra essere strategicamente intermedia fra due compartimenti biofisici, biochimici e biologici: la parete endoteliale a diretto contatto col sangue e i processi terminali degli astrociti che danno luogo alla glia limitante, con la sua membrana basale altamente selettiva. Di passaggio, si ricorda che lo stretto contatto dei periciti e delle cellule endoteliali con la lamina basale della glia, non è possibile nei vasi non capillari dove è inibito dagli spazi di Vircow-Robin (VRS).
Fisiologicamente i periciti sono stati considerati dei fagociti, perché la loro capacità fagocitaria è ben documentata e nota da tempo, ma sembrano implicati in una serie di altre funzioni, fra cui la contrazione dei capillari, la regolazione della proliferazione endoteliale e l’angiogenesi. L’importanza dei periciti nella formazione della BEE è illustrata da quanto accade in loro assenza: iperplasia endoteliale, vasculogenesi abnorme ed eccessiva permeabilità della barriera (Armulik e coll., 2010).
Per definire con precisione le funzioni di queste cellule è necessaria una loro identificazione certa, per la quale vi sono ancora molti problemi. Considerato il prerequisito della collocazione perivascolare, si impiegano criteri ancora insoddisfacenti. I periciti esprimono antigeni quali PDGRFβ, pAPN/CD13, α-actina del muscolo liscio, NG2 ed RGS5, che consentono spesso, ma non sempre, un preciso riconoscimento della popolazione cellulare. Infatti, nessuna di queste molecole rappresenta un marker specifico, perché può essere presente nelle cellule adiacenti ed avere una maggiore espressione in condizioni sperimentali. Un grado di certezza molto elevato si può avere solo con la morfologia, ad un livello ultrastrutturale in sezioni semi-sottili[3].
Detto che nel campo dell’identificazione è necessario fare dei progressi significativi per la facilitazione dello studio funzionale, il secondo aspetto all’attenzione della ricerca dovrebbe essere la partecipazione dei periciti a sistemi di segnalazione a cascata (PDGF-β, TGF-β, Notch e angiopoietina). I dati preliminari di cui si dispone suggeriscono che un approfondimento potrebbe riservare molte sorprese.
Il profilo funzionale attualmente noto può essere sintetizzato in tre principali ruoli:
1) regolazione della BEE;
2) funzione complessa e dinamica nell’angiogenesi;
3) controllo del diametro dei capillari e del flusso ematico.
Una migliore conoscenza della fisiologia, certamente contribuirà a gettare luce sui molteplici ruoli che i periciti sembrano avere in vari processi patologici.
La perdita di periciti è un elemento distintivo della retinopatia diabetica, frequente e temibile complicanza del diabete mellito di tipo I e II.
Un fattore di fondamentale importanza per la crescita e l’espansione tumorale è lo sviluppo di una rete vascolare all’interno della neoplasia, perciò non meraviglia che i periciti siano divenuti il bersaglio di nuovi farmaci antineoplastici. In realtà, in terapia oncologica, le strategie volte ad impedire l’angiogenesi mediante il blocco della crescita endoteliale con inibitori del VEGF, si sono rivelate inefficaci, perché spesso i periciti rimangono in sito esercitando un ruolo in grado di consentire la formazione dei nuovi vasi. Alcuni esperimenti hanno mostrato che i periciti forniscono una sorta di impalcatura in grado di favorire, appena rimossa l’inibizione del VEGF, una rapida ricrescita di vasi tumorali. È stata perciò suggerita una combinazione di farmaci con azione sinergica, per colpire contemporaneamente la proliferazione di cellule endoteliali e la sopravvivenza dei periciti. Recentemente, l’aminopeptidasi N (APN) in combinazione con terapie antiendoteliali, ha prolungato la vita di topi portatori di neuroblastoma umano.
Su questa base, è auspicabile che la sperimentazione terapeutica individui nuovi farmaci antipericitici in grado di contribuire al fine di privare il tessuto canceroso del supporto vascolare necessario alla sopravvivenza e alla crescita della massa cellulare patologica.
Lo studio sperimentale della NVU di roditori mancanti di periciti, ha fornito interessanti elementi per la formulazione di ipotesi sperimentali sul ruolo di questa popolazione cellulare in molte patologie dell’encefalo. Ad esempio, è stato evidenziato che tale deficit cellulare, causando la perdita delle principali funzioni della BEE, determina un fenotipo neurodegenerativo caratterizzato da stravaso tossico di proteine del plasma e da cronica ipoperfusione con conseguente ipossia (Bell e coll., 2010).
La definizione del ruolo dei periciti in singoli e specifici processi patologici, come la malattia di Alzheimer, rimane un importante obiettivo della ricerca, che potrebbe fornire soluzioni terapeutiche attualmente impensabili.
Concludendo questa introduzione, all’auspicio comune che siano finanziati e avviati molti lavori di ricerca su questo interessante tipo cellulare, voglio unire un desiderio personale, quello che si chiarisca un mio antico dubbio: i periciti sono davvero delle cellule poste staticamente a formare una componente esterna della parete vascolare o non sono piuttosto elementi mimetici, estremamente mobili e versatili, in grado di assumere ruoli ed identità fenotipiche diverse? Se tale ipotesi si rivelerà fondata, si dovrà scrivere un nuovo capitolo della biologia cellulare e, molto probabilmente, sarà proposto anche un nuovo nome per questo tipo di cellule.
I riferimenti bibliografici
menzionati nel testo sono a disposizione dei soci e possono essere richiesti
direttamente ai membri del gruppo di studio sui periciti.
[1] Il corretto funzionamento dell’encefalo dei vertebrati richiede una precisa regolazione del microambiente interno e uno stato stabile dei livelli di ioni, neurotrasmettitori, ormoni ed altre sostanze biologicamente attive. A questo fine, si sono evolute due barriere che agiscono da filtri attivi e selettivi: la barriera fra il sangue dei plessi corioidei e il fluido cerebrospinale dei ventricoli cerebrali e la barriera emato-encefalica.
[2] Il presente scritto è una sintesi della relazione introduttiva che ho tenuto all’incontro con i membri del gruppo e i numerosi soci intervenuti venerdì 17 maggio 2013.
[3] Non è l’ideale per lo studio funzionale; per chi non abbia specifiche competenze può essere efficace un paragone: è come studiare la funzione di un organo del corpo da reperti autoptici.