Un nuovo legame fra sonno e memorie traumatiche

 

 

GIOVANNA REZZONI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XI – 04 maggio 2013.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: AGGIORNAMENTO]

 

Il Disturbo Post-Trumatico da Stress (Post Traumatic Stress Disorder, PTSD) fu introdotto nel 1980 nel Manuale Diagnostico e Statistico dell’American Psychiatric Association (DSM-III) come entità nosografica indipendente, espressa in due forme: acuta e cronica. Nel 1994, con il DSM-IV, invertendo una tendenza manifestatasi con la versione riveduta del manuale (DSM-III-R), che aveva eliminato la diagnosi di PTSD acuto, fu introdotto l’ASD o Acute Stress Disorder e reintegrata la forma acuta del disturbo post-traumatico.

Queste oscillazioni, come ci insegna la storia della nosografia dei disturbi da stress[1], si sono verificate anche in passato e sono state influenzate da aumenti e diminuzioni periodiche della casistica di persone affette[2]. In questi anni, si assiste ad un nuovo tentativo di eliminare questa categoria diagnostica, ma le resistenze sono forti, fondate e giustificate. Infatti, a parte la considerazione che il riconoscimento del PTSD come un preciso quadro nosografico ha facilitato la ricerca e il riconoscimento di correlati neuropatologici[3], rimane la realtà clinica di persone con sintomi diversi da quelli di altri disturbi dello spettro dell’ansia e, spesso, più gravi e resistenti al trattamento.

La procedura diagnostica del DSM-IV-TR prevede sei criteri (indicati con lettere che vanno da “A” ad “F”), ciascuno dei quali elenca sintomi, segni o caratteri, la cui presenza è necessaria per porre la diagnosi di PTSD. Al punto “B” si legge, fra l’altro: ricordi spiacevoli, ricorrenti ed intrusivi dell’evento (traumatico), che comprendono immagini, pensieri o percezioni; sogni spiacevoli ricorrenti dell’evento; agire o sentire come se l’evento traumatico si stesse ripresentando. È proprio questo aspetto della rievocazione involontaria che attualizza la sofferenza, ad aver attratto, di recente, l’interesse dei ricercatori. Se una delle funzioni del sonno consiste nella ridefinizione delle priorità di utilizzo delle informazioni legate alle esperienze vissute durante la veglia, il dormire dovrebbe contribuire al progressivo allontanamento delle tracce della memoria dall’attualità emotiva[4]. Numerose prove sperimentali sostengono l’ipotesi che, durante il sonno, operi una sorta di routine di eliminazione delle informazioni considerate poco rilevanti, obsolete o ridondanti, verosimilmente al fine di liberare il sostrato neurale necessario per ospitare nuove  tracce temporanee dell’esperienza. Questo processo di “ripulitura” avverrebbe mediante la riduzione della forza delle sinapsi responsabili della codifica delle informazioni.

In effetti, da più parti è stata avanzata l’ipotesi che il PTSD emerga nella sua caratteristica presentazione clinica come conseguenza di un difetto nel processo di dimenticanza legato al sonno. In particolare, al meeting annuale del 2012 della Society for Neuroscience, tenutosi a New Orleans, sono stati presentati due studi al riguardo, il primo condotto da Gina Poe e il secondo da Asya Rolls.

Gina Poe e collaboratori dell’Università del Michigan hanno studiato, nel topo, la perdita di forza delle giunzioni sinaptiche determinata dal sonno, ed hanno rilevato, come condizione per il verificarsi dell’indebolimento, la drastica caduta dei livelli di noradrenalina. La catecolamina, normalmente, presenta una discesa a picco nel grafico di concentrazione durante la fase REM del sonno, sia nei roditori che nella nostra specie; nei pazienti affetti da PTSD la concentrazione di noradrenalina rimane, invece, abbastanza elevata durante tutto il sonno.

Su questa base, la Poe propone un trattamento farmacologico mirato alla normalizzazione dei livelli di noradrenalina durante il sonno, come cura per il PTSD.

Asya Rolls della Stanford University e i suoi collaboratori, hanno provato ad indebolire  un’associazione di memoria a un trauma, agendo sul rimodellamento dell’apprendimento che si verifica durante il sonno. In particolare, i ricercatori hanno condizionato dei topi a sviluppare paura al profumo di gelsomino, accoppiando l’aroma con una scarica elettrica alle zampe; poi, mentre i roditori dormivano, rilasciavano una spruzzata del profumo evocatore della reazione emozionale. In condizioni normali, quell’esperienza olfattiva riattivava e rinforzava la memoria associativa, processo che richiede la sintesi di nuove proteine strutturali. Ad una parte dei topi è stato somministrato un composto in grado di bloccare la formazione delle nuove proteine dalle quali dipende la rievocazione della memoria e il suo sostegno fisiologico. Quando questi topi si svegliavano, non manifestavano più paura al profumo di gelsomino, indicando che la somministrazione della molecola aveva cancellato l’associazione.

I risultati di questo studio fanno sperare nella possibilità di percorrere una nuova via nella ricerca di terapie per i disturbi da stress traumatico: sfruttare il rimodellamento e il riequilibrio sinaptico che avviene durante il sonno per determinare un fading, se non una vera eliminazione delle associazioni con gli elementi evocatori.

Le psicoterapie attualmente impiegate per il trattamento del PTSD si basano soprattutto sulla progressiva estinzione delle evocazioni, indotta dalla ripetuta esposizione agli elementi evocatori associati con esperienze positive in un contesto rassicurante. Anche se non possiamo ancora definire con precisione la struttura neurale delle memorie, e perciò distinguere in termini di sistemi ciò che accade con l’apprendimento terapeutico e ciò che accadrebbe con il “rimodellamento guidato” durante il sonno, c’è ragione di ritenere che si tratti di due ordini diversi di eventi, alla base dei quali c’è un numero considerevole di meccanismi molecolari e cellulari comuni.

La comunità neuroscientifica non ha dubbi sull’importanza del sonno per l’apprendimento, e l’opinione prevalente vuole che, mentre si dorme, le memorie recentemente formate abbiano una nuova esecuzione che le “incide più profondamente” nella trama sinaptica che le esprime. Tononi e collaboratori  sostengono che tali circuiti neurali possono essere rinforzati fino ad un massimo, oltre il quale non è possibile andare; ma, soprattutto, ritengono che il sonno funzioni anche come un tasto di reset in grado di riportare il cervello in una condizione “di base” o, per meglio dire, di flessibilità ottimale per la formazione di nuove memorie. L’ipotesi di Tononi non è ancora accettata da tutti gli studiosi; tuttavia, considerata la sua plausibilità e il supporto di prove sperimentali di cui gode, un problema da porsi è definire profilo e limiti delle funzioni di rinforzo ed indebolimento delle memorie durante il sonno.

Probabilmente, sarà necessaria una migliore conoscenza della neurobiologia e della neurofisiologia del sonno e della memoria, sia per comprendere più a fondo le basi neurali delle manifestazioni cliniche di disturbi come il PTSD, sia per orientare la ricerca verso nuove soluzioni terapeutiche.

 

L’autrice invita alla lettura degli scritti di argomento connesso che compaiono sul sito, quali gli aggiornamenti su “Memoria e Sonno” e “Sonno e Memoria”, e le recensioni di lavori di argomento connesso nelle “Note e Notizie” (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA” del sito).

 

Giovanna Rezzoni

BM&L-04 maggio 2013

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 



[1] Per un approfondimento su questo aspetto e una trattazione esaustiva del PTSD, si veda il saggio: G. Perrella, Il Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD). Dipartimento di Neuroscienze dell’Università Federico II, Napoli 2005.

[2] Guerre mondiali, catastrofi naturali, rimpatrio di veterani di conflitti (Vietnam), studi sul campo, come quelli di Mollica in Cambogia, eccetera; e, più di recente, superstiti della distruzione delle Torri Gemelle, di terremoti, e così via.

[3] Douglas Bremner e collaboratori rilevarono mediante MRI, in veterani affetti da PTSD, per la prima volta un danno da stress nel cervello umano (Bremner D., et al. American Journal of Psychiatry 152, 973-981, 1995) a questo seguirono numerosi altri studi (Bremner D., et al. Biological Psychiatry 41, 23-32, 1997; Stein et al., Psychological Medicine 27, 951-959, 1997) che documentarono una base di alterazioni cerebrali per i sintomi (si veda G. Perrella, op. cit.: pp. 40-45).

[4] Il concetto, ribadito durante gli incontri di aggiornamento “Sonno e Memoria” e “Memoria e Sonno”, sulla base di evidenze sperimentali, deriva da un’ipotesi formulata da Giuseppe Perrella per la prima volta all’inizio degli anni Ottanta.