Accresciuta attività di immunoproteasomi gliali
nella malattia di Alzheimer
LORENZO L. BORGIA
NOTE
E NOTIZIE - Anno XI – 27 aprile 2013.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli
oggetti di studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo:
RECENSIONE]
Il proteasoma, che rappresenta il principale sistema di degradazione delle proteine all’interno della cellula, è costituito da subunità proteolitiche differenti. Nella malattia di Alzheimer sembra che le specie peptidiche β-amiloidi, che si accumulano contribuendo alla formazione delle placche, agiscano invalidando l’attività dei proteasomi delle cellule cerebrali, sia in modelli murini che in tessuto cerebrale proveniente da persone affette dalla grave malattia neurodegenerativa. Sui meccanismi alla base di questa azione dei peptidi tossici non è stato ancora accertato nulla di preciso, pertanto Marie Orre e colleghi, osservando che la neuroinfiammazione è un aspetto rilevante della fisiopatologia della degenerazione alzheimeriana e potrebbe comportare un’attivazione dell’immunoproteasoma, hanno condotto uno studio per verificare l’esistenza di questa possibile contraddizione.
I
ricercatori, impiegando anche una nuova procedura per saggiare l’attività
proteasomica in colture di cellule gliali e neuroniche, hanno ottenuto
risultati in contrasto con quanto precedentemente rilevato, e di notevole
interesse per la possibilità di sviluppare un nuovo approccio all’infiammazione
e alla disfunzione gliale presenti nella malattia di Alzheimer (Orre M., et
al. Reactive glia show increased immunoproteasome activity in Alzheimer’s disease. Brain [Epub ahead of print doi: 10.1093/brain/awt083], 2013).
La provenienza
degli autori è la seguente: Astrocyte Biology and Neurodegeneration, Netherlands
Institute for Neuroscience (NIN), Royal Netherlands Academy of Arts and
Sciences, Amsterdam (Olanda); Onyx Pharmaceuticals,
South San Francisco (USA); Division of Cell Biology, Netherlands Cancer
Institute, Amsterdam (Olanda); Swammerdam Institute for
Life Sciences, Centre for Neuroscience, University of Amsterdam (Olanda).
Marie Orre e colleghi hanno preso le mosse dal presupposto che la neuroinfiammazione, componente distintiva e rilevante della patologia alzheimeriana, deve verosimilmente attivare l’immunoproteasoma, una specifica variante proteasomica indotta dalla segnalazione immunitaria e caratterizzata da proprietà proteolitiche lievemente diverse da quelle del proteasoma costitutivo. La verifica di questa possibilità è stata condotta con una nuova tecnica (cell-permeable proteasome activity probe) che ha evidenziato, oltre ogni possibile dubbio, che le specie peptidiche β-amiloidi intensificano l’attività proteasomica sia in colture di cellule nervose che in colture di cellule gliali.
I ricercatori hanno poi impiegato un saggio di attività specifico per subunità del proteasoma, in un modello murino della patologia degenerativa a placche neuritiche (APPswePS1dE9). In tal modo hanno rilevato che, nella corteccia cerebrale di questi topi, le attività dell’immunoproteasoma erano fortemente accresciute, e tale crescita aveva una evidente corrispondenza in una aumentata espressione di RNA messaggero e proteine nella glia reattiva disposta a circondare le placche amiloidi presenti nel tessuto nervoso.
Il rilievo, anche in questo caso di entità ed evidenza tale da non lasciare adito a dubbi, ha indotto i ricercatori a cercare un riscontro nella realtà della patologia umana. A tale scopo, è stato impiegato tessuto cerebrale di donatori affetti da malattia di Alzheimer: i campioni istologici sono stati prelevati post-mortem in corso di esame necroscopico cerebrale, ed impiegati per l’allestimento di prove simili a quelle condotte sul modello murino della neurodegenerazione con formazione di placche. I risultati hanno evidenziato sostanzialmente lo stesso quadro, fornendo una significativa conferma di quanto osservato nel modello sperimentale.
Studi precedenti avevano riportato un’attività proteasomica deficitaria, tanto in modelli murini della neurodegenerazione, quanto in campioni autoptici prelevati dal cervello, pertanto i ricercatori hanno proseguito la sperimentazione per avere conferma dell’incremento di attività specifica dell’immunoproteasoma. A tale scopo, hanno adottato uno specifico inibitore dell’attività immunoproteasomica, ottenendo nella microglia ex vivo una ridotta espressione di markers dell’infiammazione.
Le evidenze emerse da questo studio, per il cui dettaglio si rinvia alla lettura del testo integrale del lavoro originale, forniscono un supporto per un nuovo approccio per modulare e cercare di modificare in chiave terapeutica le componenti di disfunzione gliale e neuroinfiammazione sostenuta, tipiche della patologia alzheimeriana.
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