Nuove sulla coscienza e la sua valutazione nel coma
GIOVANNI ROSSI
NOTE
E NOTIZIE - Anno XI – 27 aprile 2013.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli
oggetti di studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo:
AGGIORNAMENTO]
Chi non ricorda Terri Schiavo, la donna rimasta per quindici anni in stato vegetativo persistente, fino a quando nel 2005 il marito, ottenuta l’autorizzazione legale, ordinò ai medici di interrompere l’alimentazione artificiale, determinandone la morte? Il caso, verificatosi in Florida, fece il giro del mondo e, per molto tempo, anche i nostri giornali e telegiornali non lasciavano passare un giorno senza informare sugli sviluppi o riportare nuovi interventi e contributi al dibattito globale accesosi sulla vicenda. L’opinione pubblica era divisa dall’aspra contesa fra i genitori della donna, decisi a conservare in vita la figlia, e il marito che, persa ogni speranza, voleva porre fine a quella vita non più vissuta[1]. La controversia giuridica si inasprì tanto da richiedere l’intervento del presidente George W. Bush, in carica in quegli anni.
In realtà, la questione dibattuta era eminentemente morale, e concerneva la scelta di causare o meno la morte interrompendo il trattamento[2], perché in termini scientifici non vi erano aspetti controversi.
Terri Schiavo non presentava alcun atto finalizzato o comportamento, coerente e riproducibile, originato da un’apparente intenzione rivolta ad uno scopo, ma solo brevi automatismi in forma episodica, quali rotazioni del capo e movimenti degli occhi. Il suo EEG piatto testimoniava l’assenza dell’attività corticale che accompagna la fisiologia psichica. Nel corso degli anni, non si erano mai rilevati miglioramenti o variazioni dello stato che potessero far sperare in una sia pur lenta evoluzione positiva. L’esame necroscopico del cervello in corso di autopsia presentò, in tutta la sua drammaticità, l’evidenza anatomopatologica: il volume della corteccia cerebrale si era ridotto della metà e le principali aree della visione apparivano completamente atrofiche. Così, al contrario di quanto spesso affermato nei resoconti giornalistici dell’epoca, con ogni probabilità la Schiavo non era assolutamente in grado di vedere.
I casi di questo genere sono in aumento in tutto il mondo, per il miglioramento della capacità di intervento (capillarizzazioni dei presidi sanitari di urgenza, unità speciali di soccorso con elicotteri, ecc…) e per i progressi compiuti nella qualità delle prestazioni sanitarie di emergenza, che evitano la morte ad un numero sempre maggiore di persone. D’altra parte, accanto alle cause frequenti già in passato di danno cerebrale inducente il coma, quali incidenti d’auto, traumi accidentali di varia origine, annegamenti, ferite di guerra e così via, in tempi recenti si sono aggiunte, con frequenza sempre maggiore, cause quali l’overdose di alcool o di sostanze psicotrope d’abuso. L’esito di queste condizioni, che inducono il cervello a reagire riducendo la propria funzionalità interna all’essenziale, come in una sorta di estrema difesa, può essere il coma, lo stato vegetativo o lo stato minimamente cosciente (minimally consciuos state).
La riattivazione complessiva della base neurale collegata alla possibilità di ridestarsi, varia dalla completa assenza nel coma, a periodiche transizioni sonno-veglia nello stato vegetativo, a risvegli coscienti con movimenti intenzionali nello stato minimamente cosciente, fino a una consapevolezza quasi continua.
Lo stato vegetativo si può protrarre per anni, come nel caso di Terri Schiavo, configurando quella condizione che va sotto il nome di stato vegetativo persistente[3] e che negli USA riguarda non meno di 25.000 persone. Ciò che rende più dolorosa questa esperienza per i congiunti, è il vedere di tanto in tanto la persona cara, pur se complessivamente immobile come in un dormiveglia, dare segni e compiere qualche movimento che fa pensare che sia pienamente consapevole. La ragione di questa illusione è nella presenza di una residua ciclicità sonno-veglia: nella fase corrispondente alla veglia di una persona sana, i pazienti in stato vegetativo hanno gli occhi aperti e possono compiere movimenti riflessi, lievi smorfie del viso ed emettere versi non articolati simili a brontolii, sospiri o gemiti. Un osservatore privo di nozioni mediche al riguardo può facilmente essere indotto a credere che movimenti e versi indichino un risveglio e un tentativo intenzionale di comunicare qualcosa.
A differenza dello stato vegetativo, nella condizione definita stato minimamente cosciente, i pazienti presentano segni fluttuanti di reazioni non riflesse, in altri termini di automatismi di livello più elevato, quali seguire con lo sguardo un oggetto in movimento o riuscire a rispondere verbalmente o con movimenti delle mani a comandi semplici.
Se in questa caratterizzazione semeiotica tipica, la distinzione fra stato vegetativo e stato di coscienza minima è concettualmente chiara, nella realtà è spesso molto difficile, sulla base di semplici osservazioni comportamentali, accertare in quale stato sia il cervello del paziente. La diagnosi differenziale circa lo stato di coscienza è di importanza fondamentale per la prognosi, e per tale motivo si cerca una diacritica funzionale, e in particolare bioelettrica, che dia la certezza mediante un esame che individui precisi correlati di ciascuno stato. A questo scopo stanno lavorando vari gruppi di ricerca clinica e di base, quale quello del neurologo Steven Laureys dell’Università di Liegi e quello del neuroscienziato e psichiatra Giulio Tononi, ex-allievo del Premio Nobel Gerald Edelman, con il quale ha elaborato una sua visione teorica della coscienza e dei modelli elettronici del “nucleo dinamico” talamo-corticale[4].
La difficile individuazione di questi differenti stati della funzione cerebrale, naturalmente non costituisce un campo di indagine separato, ma si è sviluppato in continuità con gli studi che indagano i correlati neurofunzionali della coscienza. Proprio la scorsa settimana, il nostro presidente riferiva di una comunicazione ricevuta il giorno stesso[5] circa uno studio ancora in corso sulla coscienza nelle prime fasi della vita.
Per decenni, si è studiata l’attività elettrica del cervello alla ricerca di un segno inconfondibile di attività cosciente, ossia di una sorta di marker elettroencefalografico della coscienza. Tale elemento distintivo avrebbe consentito di stabilire se nello stato minimamente cosciente e sotto anestesia vi è realmente coscienza, ed avrebbe permesso di definire quando la coscienza, così intesa, compare nei bambini. Di recente si è convenuto di accettare, come marker elettrofunzionale di un processo cosciente, la risposta bifasica alla percezione nei potenziali evocati del cervello umano adulto. Ad esempio, uno stimolo visivo di breve durata determina una risposta elettrica immediata, costituita da un picco corrispondente all’attivazione delle aree visive primarie (V1) della corteccia calcarina occipitale, e poi la comparsa di un’onda lenta tardiva, causata dalla trasmissione dell’informazione alla corteccia frontale e, perciò, alla working memory, considerata una componente fondamentale per le funzioni psichiche coscienti.
Il lavoro citato dal nostro presidente, condotto da Sid Kouider e colleghi del CNRS di Parigi, ha identificato mediante ERP (event-related potentials), in bambini di circa un anno, un pattern bifasico simile a quello degli adulti, anche se circa tre volte più lento. Ma il dato rilevante è che l’onda lenta tardiva, presumibile indicatrice di elaborazione cosciente, era rilevabile già in bambini di cinque mesi di vita[6].
Fatto questo doveroso riferimento all’attualità dei correlati elettrofunzionali della coscienza, vediamo in sintesi come Giulio Tononi della Wisconsin-Madison University, lavorando con Marcello Massimini, professore all’Università di Milano, ha messo a punto una metodica che consente un rilievo e uno studio di correlati della coscienza più specifici ed analitici di quanto si sia riusciti a fare fino ad ora.
I ricercatori hanno impiegato un dispositivo elettromagnetico simile ad una bobina per erogare, mediante una procedura di stimolazione magnetica transcranica (TMS, da transcranial magnetic stimulation), un singolo impulso di energia magnetica (high-field) sul capo, coperto da una cuffia con 64 elettrodi per la registrazione EEGrafica, di volontari svegli a riposo o addormentati. La stimolazione magnetica, avvertita dalle persone come una lieve puntura per effetto del passaggio attraverso la pelle, induce lo sviluppo di una corrente elettrica di breve durata nella materia grigia della superficie encefalica. Di fatto, lo stimolo eccita i neuroni corticali e le fibre di connessione che innescano, attraverso i rientri sinaptici, una rapidissima cascata di eventi che attiva tutta la corteccia, ma si estingue rapidamente.
Nelle persone sveglie, si determinava un tipico pattern di onde cerebrali crescenti e decrescenti, rapide e ricorrenti della durata di circa un terzo di secondo. Un’analisi matematica dei segnali EEG ha rivelato che un potenziale di elevata ampiezza viaggiava dalla corteccia premotoria, al di sopra della quale era collocato il dispositivo per la TMS, alla regione omologa dell’emisfero controlaterale, alla corteccia motoria e alla corteccia parietale posteriore di entrambi i lati.
Questo effetto della TMS si può paragonare a quello prodotto dalla percussione del batacchio di una campana di buona tempra: dopo il colpo, il suono, con il suo caratteristico timbro e tono, si diffonde tutto intorno e risuona per un tempo considerevole. Per restare a questo paragone, nel cervello delle persone dormienti, lo stimolo della TMS produce un effetto simile al suono di una campana di cattiva tempra: sebbene l’ampiezza iniziale delle onde EEG sia maggiore di quella indotta nei soggetti svegli, la durata è molto più breve e non si diffonde attraverso la corteccia alle regioni connesse.
Sebbene le popolazioni neuroniche rimangano attive durante il sonno, come evidenziato dalla marcata risposta locale, il loro comportamento è circoscritto a un breve raggio d’azione, per l’evidente mancanza dell’integrazione tipica della veglia, che realizza la globalizzazione che riteniamo sia alla base della coscienza[7]. Durante il sonno è presente veramente poco delle sequenze elettriche, spazialmente differenziate e temporalmente variegate, tipiche della veglia.
Un quadro sostanzialmente simile a quello del sonno è stato registrato nei volontari che si sono sottoposti ad anestesia generale con propofol o con xenon: la TMS produce una risposta pure intensa, ma solo locale, indicativa dell’assenza delle interazioni cortico-corticali necessarie per i processi integrativi.
Sulla base di questi risultati ben chiari e definiti, ottenuti in due condizioni fisiologiche (veglia e sonno) e in una condizione artificiale o parafisiologica (anestesia generale), Laureys, Massimini, Tononi e i loro collaboratori, hanno impiegato la TMS per misurare lo span di integrazione e, dunque, il principale correlato della coscienza, nelle condizioni precedentemente discusse di sopravvivenza senza una piena funzione cerebrale.
I ricercatori hanno applicato gli impulsi TMS ai lobi parietali e frontali di pazienti con occhi aperti. Il risultato ottenuto è davvero eloquente: i pazienti in stato vegetativo, quando il loro cervello reagiva, presentavano risposte EEG semplici e locali (generalmente un’onda singola positiva/negativa) simili a quelle del sonno profondo e dell’anestesia generale. Al contrario, la stimolazione magnetica dell’encefalo in stato minimamente cosciente, evocava le complesse risposte elettriche tipiche del cervello delle persone sane da sveglie.
Ai volontari dello studio sono stati aggiunti cinque pazienti provenienti dalla terapia intensiva e appena usciti dal coma: tre hanno recuperato del tutto la consapevolezza, gli altri due no.
In coloro che hanno recuperato la coscienza, l’analisi dell’evoluzione condotta dai ricercatori mediante la stimolazione magnetica, ha prodotto elementi di notevole interesse: la risposta EEG agli impulsi magnetici è andata progressivamente aumentando in durata e complessità; nell’evoluzione che si è conclusa con il ristabilirsi della coscienza si è avuta una transizione da singole onde localizzate a patterns funzionali sempre più complessi.
Nell’insieme, i risultati dello studio indicano che la TMS, in questa versione impiegata da Tononi, Massimini e Laureys, può agire come un vero e proprio rilevatore e misuratore della coscienza. Non sembra perciò azzardato ipotizzare la costruzione di un apparecchio che includa un dispositivo TMS miniaturizzato, un elettroencefalografo con cuffia ed elettrodi per un uso pratico in tutti i servizi medici di diagnosi e cura del coma e delle sindromi correlate.
L’autore invita alla lettura di
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[1] Una vicenda italiana, per alcuni versi simile, fu quella che riguardò Eluana Englaro: in quel caso era il padre a chiedere alla legge l’autorizzazione all’eutanasia della figlia.
[2] Personalmente, credo che i medici debbano sempre adoperarsi con il massimo impegno nel loro compito terapeutico, che include l’agire al fine di prolungare la vita dei propri pazienti, naturalmente fino a quando il paziente stesso o chi è legalmente abilitato per lui, come nel caso di bambini o persone in coma, non lo esonerino dall’impegno professionale.
[3] In passato definito “stato vegetativo permanente”; il termine “persistente” è più corretto, in quanto sono stati registrati vari casi di uscita dalla condizione vegetativa.
[4] La teoria della coscienza di Giulio Tononi è nota come Integrated Information Theory.
[5] Il 18 aprile 2013; v. Kouider S., et al., in Science (online report, 04-18-2013).
[6] Lo studio aveva inizialmente reclutato più di 240 bambini, ma per problemi di compliance alle condizioni sperimentali, i piccoli sono rimasti in 80 (divisi in gruppi di 5, 12 e 15 mesi). Kuider ipotizza che l’andamento bifasico, testimone di un “pensiero cosciente”, potrebbe essere presente già a due mesi. Il nostro presidente, pur apprezzando il lavoro condotto, raccomanda prudenza nell’interpretazione dei risultati per vari motivi, fra i quali la difficoltà di rapportare i reperti dell’età evolutiva a quelli dell’adulto, la probabile esistenza di numerosi e differenti correlati di processi psichici coscienti e, infine, il modo in cui si concepisce la coscienza: le differenze quantitative rilevate mediante metodi elettroencefalografici potrebbero riflettere differenze qualitative sostanziali e, perciò, l’elaborazione corticale del lattante potrebbe non essere coscienza nel senso più comune del termine.
[7] Il plurale è riferito ad una concezione che, fondata sulla visione di Edelman, lo scrivente condivide con gli autori dello studio, oltre che con la scuola neuroscientifica cui appartiene.