Epilessia e Glia

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XI – 20 aprile 2013.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: AGGIORNAMENTO]

 

Circa 70 milioni di persone al mondo sono affette da epilessia e cercano nei trattamenti farmacologici una protezione dall’imprevedibile verificarsi di crisi di tipo convulsivo o di altro genere, e dai disturbi associati, quali alterazioni del sonno, della memoria, dell’attenzione, oltre a  vere e proprie sindromi psicopatologiche depressive e da stress.

Sfortunatamente, in circa un terzo dei pazienti, nessun farmaco o combinazione di farmaci attualmente in uso riesce a controllare efficacemente la sintomatologia, così che agli effetti diretti del disturbo si associa un aggravarsi delle manifestazioni di comorbidità e della reazione negativa del paziente alla malattia.

Ricordiamo che i progressi compiuti dalla neurofarmacoterapia hanno reso sempre più raro il caso di persone affette da forme di “epilessia intrattabile”[1] tanto grave da dover fare ricorso a mezzi invasivi di trattamento, quali la DBS[2] o, addirittura, come spesso accadeva in passato, alla neurochirurgia[3]. I limiti della farmacoterapia sono in parte dovuti alla concezione stessa degli antiepilettici come agenti in grado di esercitare il controllo di sintomi dovuti ad uno squilibrio fra eccitazione e inibizione dei neuroni. Una crescente quantità di dati sperimentali ha evidenziato i limiti di questa visione neurocentrica dell’eziopatogenesi, e l’importanza della glia nella fisiopatologia di molti disturbi comiziali.

Fino a non molti anni fa, l’unica associazione nota ai clinici fra patologia epilettica e cellule gliali era la gliosi reattiva quale contrassegno patologico dell’epilessia del lobo temporale. La ricerca degli anni recenti, che ha ridefinito la patogenesi delle sindromi epilettiche in termini di rottura degli equilibri omeostatici fra reti neuroniche, ha dimostrato la partecipazione della glia, e particolarmente degli astrociti, a questi processi. In particolare, la perdita della funzione omeostatica delle cellule astrocitarie, che definisce il milieu in cui i neuroni possono funzionare adeguatamente, può direttamente contribuire ai due processi chiave: ictogenesi (genesi delle crisi) ed epilettogenesi (sviluppo del disturbo epilettico).

Nonostante ciò, i programmi finanziati dalle aziende farmaceutiche per lo sviluppo di nuovi antiepilettici, sono quasi esclusivamente focalizzati su bersagli neuronici “a valle” altamente specifici, ossia obiettivi che difficilmente potranno portare a nuove opzioni terapeutiche per i pazienti affetti da forme di epilessia intrattabile.

La ricerca finalizzata all’individuazione di nuove molecole agenti sulla glia, sta tuttavia muovendo i primi passi e, sulla base delle evidenze emerse dalla sperimentazione di base, si annuncia come un approccio del tutto diverso rispetto a quello centrato sull’eccitazione anomala di popolazioni neuroniche. È probabile che i primi principi attivi sulla glia produrranno i loro effetti anti-epilettici mediante un’azione diffusa di riequilibrio che, oltre ad arrestare la progressione della malattia, potrà contribuire alla prevenzione dei disturbi neuropsichiatrici associati[4].

Una questione aperta, e prevedibilmente difficile da risolvere in tempi brevi, è rappresentata dalla natura dei cambiamenti e delle alterazioni registrate negli elementi gliali: sono causa delle crisi? Sono all’origine dello sviluppo e della progressione del processo patologico, oppure sono solo risposte adattative conseguenti allo stato epilettico del cervello?

Un altro aspetto importante da chiarire si potrebbe così formulare in sintesi: quanto l’eterogeneità degli astrociti incide sull’eccitabilità dei neuroni?

Intanto, si è accumulato un bagaglio notevole di dati sul modo in cui la disfunzione astrocitaria contribuisce al fenotipo epilettico e, su questa base, è stato individuato un certo numero di promettenti bersagli terapeutici sui quali agire, nel prossimo futuro, per correggere le funzioni astrogliali alterate.

Gli spunti offerti dai risultati sperimentali fanno sperare che presto si potrà disporre di numerose alternative ai farmaci attualmente prescritti. Fra le tante tracce offerte dalla ricerca di base alla farmacologia sperimentale, due sembrano particolarmente promettenti:

1) le terapie anti-infiammatorie;

2) le terapie basate sull’aumento dell’adenosina.

Lo scopo ultimo di questi ed altri interventi farmacoterapici simili consiste nel contribuire la ricostituzione delle funzioni omeostatiche basate sulla glia.

Se il prosieguo della sperimentazione continuerà a fornire esiti confortanti come è accaduto in queste prime fasi, il futuro delle terapie dei disturbi epilettici cambierà notevolmente, spostandosi dall’obiettivo del controllo delle manifestazioni sintomatologiche al porre in essere strategie mirate e localizzate al fine di ristabilire l’omeostasi nelle reti neuroniche interessate.

Sebbene la disfunzione gliale sia stata documentata e confermata in campioni asportati chirurgicamente da pazienti con epilessia del lobo temporale, terapie sperimentali basate sulla glia, pur attualmente possibili, non sono state ancora adottate nella pratica clinica.

Un grosso problema da affrontare, per riuscire ad introdurre nel repertorio terapeutico dei neurologi gli “antiepilettici gliali”, è rappresentato dalla realizzazione del disegno sperimentale per il trial clinico. Infatti, un ostacolo deontologico che attualmente appare insormontabile per la sperimentazione di questi farmaci in comparazione con quelli attualmente adottati, è che ben pochi medici sono disposti ad assumersi la responsabilità di sospendere l’antiepilettico tradizionale per sostituirlo con una molecola che potrebbe non essere efficace; parallelamente, sono pochi i pazienti che accettano il rischio di affidarsi a farmaci sicuramente non tossici ma che, alle dosi sperimentate, potrebbero non proteggerli dai sintomi durante il tempo della sperimentazione. Pertanto, è molto probabile che, nei primi trials, gli antiepilettici gliali saranno sperimentati come integratori terapeutici delle molecole tradizionalmente prescritte, cioè saranno valutati mediante un protocollo di associazione. Oppure saranno messi alla prova in pazienti risultati resistenti o refrattari ai farmaci di impiego attuale e, pertanto, non in trattamento farmacologico al momento dell’inclusione nel campione sperimentale.

Se la sperimentazione clinica andrà a buon fine, presto si potrà disporre di medicamenti in grado di trattare, se non di guarire, un quadro sindromico complesso che include tutti gli aspetti derivanti dallo scompenso neurale e non solo i sintomi neurologici caratteristici dell’acuzie delle crisi.

 

L’autore invita alla lettura di scritti e recensioni di lavori di argomento connesso che compaiono nelle “Note e Notizie” (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA” del sito).

 

Giovanni Rossi

BM&L-20 aprile 2013

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Con questa espressione in clinica neurologica convenzionalmente si indicano le forme resistenti ai trattamenti farmacologici.

[2] Per i pazienti in trattamento con Deep Brain Stimulation (DBS) attualmente vi è la prospettiva di passare ad un trattamento con micro magneti, si veda in Note e Notizie 02-03-2013 Terapia con micro magneti di epilessia, Parkinson ed altri disturbi.

[3] Ricordiamo che gli interventi di resezione del corpo calloso che separavano i due emisferi cerebrali (split-brain) erano giustificati da crisi intrattabili tanto frequenti e gravi da spingere alcuni pazienti al suicidio. La resezione, impedendo la generalizzazione dell’attività elettrica patologica, risultava efficace nella quasi totalità dei casi. Naturalmente, qui non si considera il caso delle epilessie secondarie causate da masse encefaliche occupanti spazio, la cui rimozione spesso si rivela risolutiva.

[4] Detlev Bioson, Epilepsy (896-905), in Neuroglia (Kettenmann & Ransom, editors-in chief), cfr. p. 903, Oxford University Press, 2013.