Il Narcisismo oggi: deriva del significato e questioni attuali

 

 

GIUSEPPE PERRELLA

(Trascrizione di Lorenzo L. Borgia)

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XI – 13 aprile 2013.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: AGGIORNAMENTO]

 

1. Premessa. In Beozia, una regione della Grecia antica a nordovest dell’Attica con capitale Tebe, aveva dimora il dio-fiume Cefiso, una figura tanto nota per la sua presenza quanto misteriosa nel suo profilo antropomorfo per intenti e carattere. Si narra che un giorno giunse in quella terra la bella naiade Liriope, una ninfa delle acque dolci che proveniva dalla Focide. Cefiso se ne invaghì perdutamente e, per possederla, la imprigionò nelle sue onde. Dall’unione dei due nacque un bimbo bellissimo: Narciso. Liriope, per conoscere il destino di questo figlio venuto al mondo per un capriccio suscitato in una divinità dalla sua bellezza, decise di consultare l’indovino Tiresia, il quale previde una strana sorte: Narciso sarebbe vissuto fino a quando non si fosse conosciuto. Il vaticinio non fu compreso, perché era oggettivamente difficile porre in relazione un ipotetico significato metaforico del conoscersi con un evento in grado di causare la morte.

Il figlio di Liriope e Cefiso crebbe, divenendo un giovane così avvenente da attrarre uomini e donne, ma poco incline a ricambiare i sentimenti. Fra coloro che si innamorarono di Narciso vi fu una ninfa del monte Elicona di nome Eco, la quale, per aver protetto con le sue parole gli incontri galanti di Zeus, era stata punita da Era con la perdita della facoltà di esprimere il proprio pensiero, e la condanna eterna alla ripetizione delle ultime parole o sillabe pronunciate dagli altri[1].

Forse proprio per questa caratteristica insolita e menomante, Narciso non accettò l’amore della fanciulla che, struggendosi dal dolore, si consumò fino al punto di scomparire fisicamente, lasciando in eredità al mondo la sua voce. Il crudele cinismo di Narciso fu punito da Nemesi[2], che lo indusse a specchiarsi in una polla d’acqua prodotta da una sorgente del monte Elicona.

Il rimirare la propria immagine, produsse nel giovane un effetto d’innamoramento estatico e di appagamento, tanto intenso da assorbire ogni sua volontà e da neutralizzare ogni suo altro desiderio: avvinto a se stesso, Narciso morì.

 

2. Introduzione. Alla discussione che intendo sviluppare per rispondere alla richiesta di esprimere un’opinione sul narcisismo, ho scelto di premettere la trama della versione più nota del mito di Narciso, perché la deriva semantica e concettuale che attualmente caratterizza l’impiego di questo termine in psicologia e psichiatria, è tale da avermi suggerito l’opportunità di ritornare alle origini della sua formulazione, per proporre ad un’attenta riflessione gli elementi su cui questa categoria si è sviluppata.

Intuitivamente, il narcisista dovrebbe essere una persona vanesia con una spiccata sensibilità estetica ipsisessuale, se non proprio omosessuale, che la porti a gradire il proprio aspetto più di quello di un potenziale partner di sesso opposto. In ogni caso, la natura del paragone non dovrebbe discostarsi troppo da un elemento fondamentale nel senso della trama: l’insidia nascosta nel legame che può stabilirsi fra la forma e la passione. Dopo tutto, il mito non è altro che una storia di bellezza, quella di Liriope e di suo figlio, e di innamoramenti “sbagliati”, quale quello importuno di Cefiso per una ninfa che non lo vuole e quello paradossale di Narciso per se stesso. È innegabile la centralità del potere evocativo dell’immagine, che invaghisce e conduce l’intelletto oltre il solco della saggezza comune. Eppure, quasi più nessuno intende il narcisismo in questo senso.

Un’osservazione derivata da una generica ricognizione della comunicazione in cui siamo immersi, e facilmente condivisibile perché originata da un’evidenza, è che l’uso nel significato più immediato e intuitivo di locuzioni che definiscono narcisistico un atteggiamento o un comportamento, si è andato progressivamente estinguendo nelle società contemporanee del cosiddetto mondo occidentale, ossia quelle a matrice culturale greco-romana. Esempio di un tale uso potrebbe essere il considerare narcisiste le persone di bell’aspetto, o che si ritengono tali, particolarmente dedite alla cura di sé e, apparentemente, assorbite e gratificate dall’intrattenersi con la propria estetica. Oggi, tanto in America quanto in Europa, si è affermato un significato di gergo psicologico che considera narcisista chi manifesta un costante interesse per la propria immagine sociale, per la propria reputazione e per il valore che gli altri gli riconoscono. Questo modo di intendere, presso i mezzi di comunicazione di massa, ha spostato il primato del narcisismo dal mondo dello spettacolo a quello della politica.

Attribuire a se stesso importanza, attendersi attenzione ed ascolto, tendere a farsi rispettare, sono atteggiamenti sufficienti per meritare la qualifica di narcisista. È una sorta di diagnosi psicologica che si basa sul comportamento e viene emessa senza troppo chiedersi se questo stile si manifesti solo nell’interpretazione di un ruolo sociale - quale una funzione pubblica - oppure sia radicato in un modo di essere che si esprime in ogni aspetto della vita. Sembra che nessuno si chieda se tali caratteristiche possano essere acquisite[3].

Il senso che si è diffuso nella cultura di massa è stato notevolmente influenzato dal modo in cui gli psicologi attualmente concettualizzano il narcisismo, ossia come una eccessiva focalizzazione su se stessi, e gli autori del DSM definiscono il disturbo narcisistico di personalità[4]. Sono numerosi gli articoli apparsi negli ultimi due decenni, anche su periodici di larga diffusione, nei quali si attribuisce il disturbo narcisistico tanto a tiranni quali Benito Mussolini e Saddam Hussein, quanto ad eroi nazionali come il generale George S. Patton.

Nel mito, un punto nodale nella figura - intesa come forma di senso a metà fra immagine e concetto - è che questa non rappresenta un uomo di potere o che rivendichi una superiorità: Narciso non è supponente, altero, arrogante, altezzoso, non disprezza e svilisce gli altri; a rigore di termini, non è nemmeno seduttivo, perché non si adopera per attrarre, ma è semplicemente seducente.

La sua bellezza è un elemento che, in qualità di evidenza, si offre come fatto oggettivo, non essendo un valore presunto, arrogato o, peggio ancora, preteso ed imposto da chi lo rivendica per sé, ma costitutivamente presente come tratto fisico e identitario, dotato di quel potere di evocazione, tradizionalmente celebrato nella donna, che gli antichi equiparavano ad una promessa di felicità.

Fortemente critici nei confronti della deriva semantica attuale, Scott O. Lilienfeld e Hal Arkowitz, per testare il valore di senso prevalente negli scritti circolanti nella rete, hanno introdotto nel motore di ricerca “Google” le parole “narcissists are”, ed hanno rilevato che i quattro termini che più frequentemente completavano la frase erano “stupid”, “evil”, “bullies” and “selfish”[5].

Cerchiamo di capire come si è giunti a questo punto.

 

3. Cenni storici. L’idea di accostare un profilo psicologico allo stile e alla vicenda di un giovane avvenente, che alla vista della propria immagine riflessa rimane soggiogato al punto da morirne, credo sia nata da almeno due elementi di similitudine, quali l’attrazione per se stessi e l’esito fatale o negativo derivato da questa insolita, se non insana, passione. In questo senso fu inteso il suggestivo paragone, fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, da almeno tre studiosi di psicopatologia che, pur riferendosi ad entità nosografiche diverse, descrissero l’esito patologico di una pulsione erotica paradossalmente rivolta verso se stessi.

Seguendo la ricostruzione storica di Theodore Millon[6], l’espressione “simile a Narciso” (Narcissus-like) fu impiegata per la prima volta in una trattazione di carattere psicopatologico nel 1898 dal sessuologo inglese Havelock Ellis, in riferimento a una masturbazione eccessiva che renda la persona oggetto sessuale di se stessa. L’anno dopo, nel 1899, Paul Näcke introdusse il termine narcisismo in uno studio sulle perversioni sessuali.

Il primo scritto psicoanalitico sull’argomento non fu del fondatore della psicoanalisi, ma di Otto Rank che, nel 1911, diede alle stampe un lavoro in cui collegava la vanità e l’auto-ammirazione a dinamiche psichiche che avrebbero determinato la caratterizzazione narcisistica di una personalità. Nel 1914 fu pubblicato il celebre saggio di Freud, Sul Narcisismo: un’introduzione[7], la cui influenza è stata decisiva nel costituirsi della categoria psicologica che ancora oggi sopravvive. Quasi un decennio dopo, Martin Buber, nella monografia Ich und Du (1923), attribuì il comportamento strumentale nelle relazioni interpersonali al narcisismo: sarebbe questa tendenza psicologica di fondo, potenzialmente presente in tutti noi, ad indurre a trattare gli altri come se fossero quasi degli oggetti e non propri pari.

Per decenni non si sono avuti apporti sostanziali o contributi originali rilevanti al di fuori delle elaborazioni psicoanalitiche, la cui lettura è certamente istruttiva al fine di comprendere l’evoluzione del concetto.

È particolarmente illuminante la descrizione del “carattere narcisistico” che si può leggere nel testo di psichiatria considerato il più autorevole al mondo fino alla metà degli anni Ottanta, ossia l’opera realizzata per conto dell’American Psychiatric Society e diretta dall’Italiano Silvano Arieti: “I frequenti tratti di generosità e di altruismo, che hanno un elevato coefficiente di narcisismo, sono tratti orali, reminiscenze della madre che nutre, e rappresentano l’identificazione con l’oggetto da cui la persona vorrebbe essere nutrita.”[8]

Continuiamo la lettura: “I nevrotici orali (o caratteri narcisistici) presentano una fissazione al periodo infantile orale. Queste persone hanno bisogno di un continuo sostegno dal mondo esterno per la soddisfazione delle loro necessità immediate”[9]. Il testo, redatto da Joseph Michaels, prosegue specificando che a questa categoria appartengono sia le personalità indipendenti, che hanno “più o meno riacquistato la sicurezza del narcisismo primario”[10] e presentano tematiche ideative ispirate dalla certezza che nulla di negativo potrà mai accadere loro, sia le personalità dipendenti di nevrotici che, “fissati nei rapporti infantili verso gli oggetti, devono guardare al mondo esterno per ogni sorta di gratificazione”[11]. La privazione orale potrà determinare tanto un atteggiamento depressivo pessimistico, quanto uno stile sadico improntato alla ricerca di riparazione, ma in ogni caso esprimerà “la fissazione al mondo dei desideri orali, per mezzo della richiesta che gli altri si occupino del soggetto”[12]. È noto che la concezione psicodinamica della personalità, da cui derivava quella del carattere, contemplava uno stadio successivo, quello anale, in grado di imprimere tratti distinti e sostanzialmente opposti a quelli generati dalle esperienze del periodo orale: l’avarizia e la tendenza, a volte ostinata, a ritenere, trattenere e non dare, darsi e concedere, si ritenevano caratteristiche distintive delle persone che avevano vissuto esperienze positive durante il periodo di acquisizione del controllo sfinterico. Eppure, le ultime righe di questo paragrafo sul carattere narcisistico come tratto orale, anche in aperta contraddizione con la prima affermazione riportata, precisano: “L’identificazione con una madre frustrante può produrre una stabile tendenza a non dare alcunché agli altri”[13].

Credo che questi riferimenti siano sufficienti per formarsi un’idea sul modo in cui si è andato sviluppando il sapere psicodinamico sul narcisismo. L’elaborazione è fondata sulla fede nel paradigma freudiano degli stadi dello sviluppo libidico (orale, anale e genitale), quali epoche responsabili del modellamento principale della personalità e del funzionamento psichico per il resto della vita, e su un lavoro “interpretativo” condotto negli anni, seguendo la prassi poco scientifica di raccogliere ed ordinare osservazioni psicologiche e psicopatologiche secondo il criterio preconcetto che nessun nuovo dato di esperienza avrebbe potuto e dovuto confutare i modelli di partenza.

Freud, dopo aver concepito il narcisismo come una chiave per interpretare una devianza sessuale in cui la pulsione erotica è rivolta verso se stessi e, dunque, a rigore delle sue tesi, quale espressione di una “pulsione parziale”, si serve di questo concetto per definire un’ipotetica fase dello sviluppo affettivo normale (1914). Il fondatore della psicoanalisi, infatti, denominò “narcisismo primario” la condizione del bambino[14] nella fase in cui non sembra ancora in grado di percepire il mondo che lo circonda e sembra vivere, per effetto di una focalizzazione esclusiva sul proprio corpo, una realtà di stimoli interni[15]. Impiegando, poi, la metafora interpretativa del narcisismo come se fosse una sintesi teorica di dati di osservazione, ne individuò la forma fisiologica nella normale stima di sé comune a tutti gli uomini[16] e la forma patologica nell’estrema sopravvalutazione di se stessi. In altri termini, per Freud la naturale autostima, in ultima analisi legata al valore istintivo della propria vita e, all’estremo opposto, l’irrealistica concezione di sé come invincibile, insuperabile o ineguagliabile in attività, compiti e ruoli per i quali si difetta perfino nei requisiti fondamentali, sono entrambi fenomeni narcisistici che differiscono solo quantitativamente.

Karen Horney si allontanò da Freud in quanto non ritenne il narcisismo espressione di amore di sé, ma piuttosto conseguenza di una ipertrofia di se stessi, e non interpretò il desiderio narcisistico come un bisogno di essere amati, ma come necessità di essere ammirati. Harold Kelman, interpretando la Horney, scriveva: “In realtà il narcisista, essendo alienato da sé, non può amare né se stesso, né gli altri. Le tendenze narcisistiche sono frequenti non perché siano radicate nella biologia ma perché la nostra cultura le produce e attribuisce loro valore”[17].

È facile accorgersi come da generalizzazioni e sviluppi, spesso superficiali, di queste già discutibili congetture, abbia preso le mosse il processo di deriva che ci ha condotti alla concezione del narcisismo attualmente imperante in psicologia.

 

4. Concezioni recenti considerate autorevoli. Mi affiorano alla mente con spontanea immediatezza due angolazioni prospettiche elaborate tenendo conto dell’influente concezione del “Disturbo narcisistico di personalità” espressa nella relativa categoria del manuale diagnostico-statistico (DSM) dell’American Psychiatric Association. La prima, interpretata da Andrew Sims, può considerarsi un’espressione recente della cultura fenomenologica derivata dagli studi di Karl Jaspers; la seconda, resa nel contributo originale di Glen O. Gabbard, sintetizza gli aspetti principali della visione psicoanalitica contemporanea.

Nel manuale di psicopatologia descrittiva di Sims, dopo un riferimento inesatto al mito di Narciso, si legge: “Una preoccupazione esagerata per la propria immagine, specialmente per l’aspetto fisico, viene chiamata narcisismo. L’essere assorbiti in se stessi ed un eccessivo amore per se stessi derivano dalla presenza di sentimenti di insicurezza sulla propria persona: si tratta del timore di un pericolo imminente per il proprio corpo o l’integrità del sé. La fissazione dell’interesse o l’ammirazione per se stessi rendono difficili le altre relazioni interpersonali”[18]. In altri termini, il narcisismo è interpretato come una “formazione reattiva” da ipocondria, implicitamente negandone sia il senso freudiano originario di eccesso patologico dell’autostima come tratto di personalità, sia la causa in una incapacità, espressa in termini libidici, di raggiungere lo stadio della relazione oggettuale[19]. Una tale formulazione interpretativa ha già, evidentemente, superato la categoria metaforicamente ispirata al mito greco, perché un’eccessiva preoccupazione determinata da “un pericolo imminente per il proprio corpo o l’integrità del sé” non è certo un innamoramento; ma, andando oltre nella lettura del testo di Sims, appare evidente che lo svuotamento semantico del vocabolo “narcisismo” è completo, tanto da non giustificarsi più l’impiego: “Il narcisismo è in special modo associato con l’invecchiamento e il timore di diventare vecchi. La De Bouvoir (1970) descrisse la preoccupazione per l’invecchiamento del volto, il che ha qualcosa in comune con l’idea dominante della dismorfofobia, che può anche essere una prova di depressione”[20]. Se narcisismo significasse tendenza ipocondriaca, ovvero preoccupazione eccessiva per il proprio corpo derivante da uno stato di allarme, a sua volta riferito ad un fondo ansioso e depressivo, il senso di queste frasi sarebbe coerente. Ma il nucleo concettuale su cui si basa la metafora mitologica è nel compiacimento per le proprie qualità fisiche o psichiche: innamorarsi della propria bellezza è evidentemente diverso dal preoccuparsi per la sua perdita o, addirittura, sentirsi minacciati nella propria integrità fisica.

Passerei ora a considerare il contributo di Glen O. Gabbard, che ha a lungo studiato il narcisismo ed è l’autore di uno fra i manuali maggiormente impiegati nella didattica della psichiatria dinamica nelle scuole di specializzazione di psichiatria e psicologia clinica del Nord America e di vari paesi europei.

Il capitolo del manuale dedicato a questo argomento, che reca come sottotitolo un’efficace esca per l’interesse clinico, quale «Il paziente narcisista», si introduce con una esergo shakespeariana da La dodicesima notte, che recita: “Avete la malattia dell’amor proprio, Malvolio…”, e subito precisa: “Nella pratica psichiatrica contemporanea, tuttavia, la differenza fra livelli di narcisismo sano e narcisismo patologico è molto difficile da cogliere”[21].

Alla luce della lettura dell’intero capitolo, tale premessa può suonare come una giustificazione preventiva per la disinvolta e non sempre ordinata raccolta di idee e concetti originati dall’elaborazione contemporanea, che l’autore non disdegna di definire “creativa”.

Un notevole difetto, sorprendente e non facilmente giustificabile, se si considera la natura di “manuale didattico” del volume, consiste nell’assenza di una definizione introduttiva o, almeno, di una breve descrizione di cosa si intenda per narcisismo. In altri termini, contrariamente alla struttura razionale e ordinata, necessariamente seguita nella compilazione dei testi medici, nei quali si definisce in primo luogo l’oggetto di cui si tratta[22], in questa trattazione si avvia una discussione senza aver chiarito di cosa si stia parlando. Fin dall’inizio risulta evidente che Gabbard, nonostante sia psicoanalista, abbia aderito ad un criterio di giudizio fondato sul comportamento. Su questa base propone un esempio di orientamento diagnostico: se un adolescente trascorre quarantacinque minuti allo specchio per asciugarsi i capelli, non lo si dovrà ritenere narcisista; se lo stesso tempo lo impiega un uomo di trent’anni, allora si è quasi certi “perché un assorbimento su di sé di tal genere non è normale per un uomo di questa età”[23]; infine, se un tempo simile è impiegato da un uomo di quarantacinque anni, secondo Gabbard nuovamente non si deve ipotizzare una causa narcisistica, perché “comprendiamo un tale comportamento come una parte di una fase evolutiva del ciclo vitale che spesso descriviamo come crisi di mezza età”[24].

Nel prosieguo, senza minimamente preoccuparsi di porre in relazione il termine con uno stile di funzionamento cerebrale o mentale, come se l’argomento della trattazione non fosse una categoria psicologico-psichiatrica, ma un’inchiesta sull’uso gergale della parola “narcisista”, il manuale didattico, dopo aver affermato che l’epiteto è raramente usato come un complimento, così si esprime: “…il termine è molto più comunemente utilizzato in senso peggiorativo come sinonimo di «figlio di puttana», in particolare nei confronti di colleghi e conoscenti che noi troviamo sgradevoli”[25]. Prendiamo atto che nella cerchia di persone frequentate dall’autore del manuale si sia affermato questo uso lessicale improprio, ma la pertinenza e l’utilità di citarlo in un capitolo dedicato al paziente narcisista, proprio ci sfugge.

Continuando a non specificare cosa caratterizzi il narcisista e lo distingua dal non-narcisista, Gabbard si impegna in una discussione volta ad identificare elementi diacritici per distinguere il narcisismo normale da quello patologico. A questo scopo, fa ricorso al solito criterio sociologico che la psicologia americana ha adottato come sostituto dei criteri medici: la presenza o meno di successo sociale[26]. Ma, in questo caso, sembra di scarsa utilità: “La storia professionale di un individuo può aiutare molto poco a tracciare tale distinzione. Individui narcisisti fortemente disturbati possono avere un successo straordinario in certe professioni…”[27].

Dopo aver scartato uno dei criteri diagnostici fondamentali del disturbo narcisistico secondo il DSM, ossia lo sfruttamento interpersonale, in quanto atteggiamento efficace nella nostra società, Gabbard considera “la qualità delle relazioni del soggetto”[28], affermando: “Una tragedia che affligge queste persone è la loro incapacità di amare. Nelle relazioni interpersonali sane si possono individuare alcuni tratti fondamentali, come l’empatia e la preoccupazione per i sentimenti dell’altro, un genuino interesse per le idee altrui…”[29].

Segue una descrizione della persona affetta da narcisismo patologico che, in gran parte, ricalca quella dello psicopatico[30], soprattutto per l’incapacità di provare sentimenti di amore oblativo e sensi di colpa per comportamenti rivelanti cinismo ed insensibilità, potendo con leggerezza strumentalizzare e manipolare gli altri: “l’individuo con un disturbo narcisistico di personalità si accosta agli altri trattandoli come oggetti da usare e abbandonare secondo i suoi bisogni, incurante dei loro sentimenti”[31].

Proseguendo, Gabbard afferma che “La letteratura psicodinamica sul disturbo narcisistico di personalità è in qualche modo confusa, perché sembra che tale definizione possa applicarsi a pazienti con caratteristiche cliniche del tutto differenti”[32] . A questo punto fa riferimento ai criteri del DSM[33] e poi, prendendo le mosse da Kernberg e Kohut, propone il riconoscimento di due tipi di disturbo narcisistico di personalità: il narcisista inconsapevole, che in larga misura ricalca la categoria definita dal DSM, e il narcisista ipervigile[34], la cui concettualizzazione vale la pena di essere approfondita, perché veramente mi sembra abbia avuto un ruolo nel determinare quella condizione attuale, stigmatizzata da Lilienfeld e Arkowitz come un “chiamare tutti narcisisti”.

Se il narcisista inconsapevole, ossia una persona che presenta caratteristiche in gran parte corrispondenti all’idea di tratto narcisistico sviluppata dai membri dell’American Psychiatric Association, sembra non avere coscienza o interesse per le reazioni degli altri ed appare arrogante, aggressivo, concentrato su se stesso, interessato a comunicare il proprio pensiero ma non a recepire quello altrui, il narcisista ipervigile è tutto l’opposto. Fortemente sensibile alle reazioni degli altri, non vuole essere al centro dell’attenzione, apparendo spesso inibito, schivo e tendente ad eclissarsi. Tale comportamento, secondo Gabbard, sarebbe strategico: “Evitano di mettersi in luce perché sono convinti che saranno rifiutati e umiliati”[35]. Il narcisista ipervigile non manifesta atteggiamenti arroganti, non sembra presumersi, in genere non è aggressivo ma tendente all’umiltà e alla moderazione. Propenso all’ascolto, sembra molto attento al pensiero e all’opinione altrui, anche se pare faccia l’analisi di quanto gli viene comunicato, alla ricerca di intenzioni offensive o lesive per il suo amor proprio. Probabilmente questo atteggiamento deriva da una consapevolezza di vulnerabilità, che si esprimerebbe anche nella facilità a provare sentimenti di vergogna ed umiliazione.

Ma allora in cosa costui sarebbe un “Narciso”?

Se non temessi di arrecare un’ingiusta offesa ad uno studioso che, sicuramente animato dalle migliori intenzioni, ha profuso impegno ed energie per molti anni della propria vita, mi esprimerei con franca rudezza su come mi appaiono queste costruzioni verbali.

Non è necessaria un’approfondita indagine per rendersi conto che l’orientamento ispiratore delle speculazioni di Gabbard e di altri studiosi pervenuti a conclusioni simili, ha semplicemente sostituito il concetto di narcisismo a quello di una generica immaturità[36], caratterizzata dalla mancata separazione del soggetto dagli oggetti psichici[37], indipendentemente dal modo in cui si esprima. Sia la sua espressione nella forma narcisistica, quale amore di sé, desiderio costante di essere amati (Freud), bisogno di ammirazione (Horney), sia nel suo opposto, quale un presumersi indegno, sottrarsi al rapporto per evitare di essere rifiutato e umiliato (narcisista ipervigile di Gabbard) sono interpretate allo stesso modo. In tal modo intesa, ossia come “egotismo” infantile perdurante nella vita adulta, la categoria del narcisismo non avrebbe più senso, se non quello di dare un altro nome, peraltro abbastanza improprio, ad una condizione ben nota in psicologia ed efficacemente descritta secondo tanti registri teorici diversi nell’ambito di discipline che vanno dalla psicologia dello sviluppo alla psicopatologia.

D’altra parte, la deriva appare evidente nell’escamotage di creare le due sottoclassi dell’inconsapevole e dell’ipervigile, anche a chi abbia solo qualche rudimento di psicopatologia psicodinamica: secondo la concezione classica, le personalità esprimono stili di adattamento e, dunque, se due persone sono opposte nello stile adattativo non possono appartenere alla stessa tipologia. Nel primo caso, la relazione sociale è in genere gratificante e può avere un rilevante ruolo adattativo, ossia costituisce un’esperienza importante nel conferire equilibrio al soggetto. Nel secondo caso, la relazione sociale è considerata minacciosa ed evitata perché è stata spesso fonte di ansia o frustrazione, ossia è stata esperita come disadattante.

Difficile immaginare una forzatura maggiore del considerare, peraltro senza alcuna prova razionale, nella stessa categoria del narcisismo questi due stili di personalità.

Mi sembra evidente che questo sviluppo non fosse inevitabile, ma credo che sia opportuna qualche altra breve considerazione sul limite originario della concezione psicoanalitica. La formulazione freudiana prende le mosse dalla definizione di una devianza, ma poi viene sviluppata in un modo diverso, secondo un’ingegnosa costruzione che, a mio avviso, presenta un difetto sostanziale che riporta al fondamento stesso della teoria della libido.

La suggestiva descrizione come “narcisismo primario” da parte di Freud della condizione di prematurazione[38] del lattante, è strumentalmente utile al fine di sostenere la tesi di una differenza solo quantitativa fra narcisismo normale e patologico, ma la suggestiva congettura secondo cui tale fase, evidentemente dovuta ad insufficiente sviluppo dei processi percettivi (esterocezione) e psicomotori, si possa equiparare ad una sorta di “intenzione di occuparsi di sé”, è del tutto gratuita, in quanto non è in alcun modo dimostrata.

La dimostrazione di questa tesi è fondamentale, perché l’utilizzo del concetto stesso di “narcisismo primario” implicitamente rimanda ad una questione nodale: l’istinto di conservazione e quello di riproduzione sono due spinte biologiche fondamentali e distinte o sono due manifestazioni di una stessa entità fisiologica? La pulsione erotica alla base del desiderio di un partner, con una delle sue componenti più evidenti nell’esperienza umana, ossia l’attrazione estetica e l’appagamento nella sensazione di appartenenza della persona desiderata, è un processo essenzialmente diverso da quello alla base dell’istinto di conservazione che ispira, in radice, ogni attenzione verso se stessi; oppure i due processi si possono considerare originariamente identici?

Infatti, se si ritiene che il desiderio di un partner e l’innamoramento siano un prodotto specifico di un definito assetto psicobiologico, un’eventuale rivolgimento verso se stessi delle spinte psichiche nate da questo disegno funzionale predefinito, potrebbe considerarsi non fisiologico. Al contrario, se lo stato neuroendocrino e l’esperienza culturale ed estetica che nutrono l’atteggiamento di ricerca del partner e spiegano l’appagamento conseguente all’unione, sono considerati alla stregua di semplici modulatori o configuratori di forma di un unico processo dal quale deriva l’amore di sé e di ogni altro oggetto, viene a cadere un importante fondamento per considerare il narcisismo come un’alterazione o una deviazione di scopo di una funzione naturale.

 

5. Questioni attuali e dubbi sull’utilità del narcisismo come categoria psicologica e psicopatologica. Nonostante la discutibile definizione della categoria psicologica e psicopatologica[39], il narcisismo, concepito come estrema focalizzazione su se stessi, costituisce l’oggetto di numerosi progetti di ricerca attualmente in corso tutto il mondo.

La definizione e la misura del narcisismo di una persona si basano sull’impiego di strumenti di valutazione standardizzati, il più noto ed accreditato dei quali è il Narcissistic Personality Inventory. Si tratta di un questionario che pone la scelta fra coppie di affermazioni quali: preferisco mescolarmi alla folla oppure mi piace essere al centro dell’attenzione; non sono migliore o peggiore di molte altre persone oppure credo di essere una persona speciale. A queste si aggiungono frasi volte ad esplorare l’attenzione per il proprio aspetto esteriore. Il criterio con il quale è stato definito il valore narcisistico delle affermazioni è intuitivo, ed è espresso mediante l’attribuzione di punti: la somma finale definisce il punteggio al quale corrisponde il giudizio sulla personalità.

Su questa base si conducono studi già da qualche decennio. Ad esempio, nel 1988 Robert Raskin dell’Università della California a Berkeley e Robert Shaw dell’Università di Yale rilevarono che studenti con un profilo narcisistico di personalità erano più propensi ad usare “Io” che “Noi”.

Dieci anni dopo, nel 1998, sempre valutando degli studenti, Brad J. Bushman e Roy F. Baumeister[40] rilevarono nei narcisisti una maggiore tendenza all’aggressione, specialmente dopo aver ricevuto insulti.

Dopo aver collegato il narcisismo all’infedeltà, W. Keith Campbell e colleghi dell’Università della Georgia, nel 2004 associarono il tratto narcisistico di personalità ad un atteggiamento, nel prendere le decisioni, eccessivamente fiducioso nel buon esito, disinvolto ed avventato, al punto da indurre i volontari sottoposti ad esperimento a fare scommesse decisamente imprudenti.

Vent’anni dopo lo studio di Raskin e Show, nel 2008, la psicologa della Washington University Simine Vazire ed alcuni suoi colleghi, rilevarono che le persone risultate narcisiste al test tendevano a vestire abiti costosi e a impiegare molto tempo per curare il proprio aspetto.

A quanto risulta dalle principali rassegne, quelli appena citati sono i risultati di maggior rilievo nel campo della psicologia del narcisismo: un po’ poco, credo di poter affermare senza tema di apparire troppo esigente.

Intendo ora proporre al vostro giudizio, in estrema sintesi, gli esiti dei principali studi recenti, che sono riuscito a reperire e leggere in questa settimana, sul narcisismo patologico.

Nel 2002 Paul Nestor dell’Università del Massachusetts a Boston, ha rilevato che le persone con marcati sintomi del disturbo narcisistico di personalità (secondo il DSM-IV) sarebbero “a rischio” di violenza e di sviluppare un disturbo antisociale di personalità. Se si tiene conto che la commissione del DSM ha da tempo abolito la categoria della psicopatia, attribuendo alcuni suoi tratti caratteristici al disturbo narcisistico, il rilievo non sorprende affatto.

Nel 2009 Aaron L. Pincus e colleghi della Pennsylvania State University hanno associato elementi del narcisismo patologico con tentativi di suicidio. Facile pensare alla presenza di stati depressivi non diagnosticati in personalità non molto evolute affettivamente. Dati del 2011, di cui riferiscono Lilienfeld e Arkowitz[41], suggeriscono che il “narcisismo vulnerabile” (ossia le persone appartenenti a quella discutibile sotto-categoria di pazienti tendenti ad esprimere fobie ed ipocondria) e non quello “grandioso” si associa ad ideazione suicidaria, autolesionismo e scompenso emotivo.

Non ho trovato molto più di questo, per quanto riguarda i lavori recenti sul narcisismo patologico. Lascio a voi il giudizio.

Infine, desidero menzionare uno studio, sempre basato sui criteri degenerati delle categorie attualmente impiegate, condotto nel 2009 da Amy B. Brunell della Università di Stato dell’Ohio a Newark, nel quale si rileva che gli individui narcisisti emergevano come leader nei gruppi di discussione ed avevano raggiunto le posizioni di vertice in un programma universitario in materie economiche. Ho citato questo studio perché in un certo senso fa il pari con un lavoro condotto dallo psicologo Ronald J. Deluga che, dopo aver valutato la personalità dei presidenti degli USA, ha chiesto ad un gruppo indipendente di storici un giudizio: i presidenti definiti narcisisti dallo psicologo erano proprio quelli considerati più efficaci, carismatici e creativi.

In proposito farò solo una brevissima osservazione, visto che il tempo a mia disposizione è già terminato. Almeno nel primo dei due studi, quello condotto da Amy B. Brunell, sarebbe stato opportuno valutare quanto l’atteggiamento di focalizzazione sulla propria immagine, sia il portato di un bisogno psicologico profondo espresso in uno stile di personalità e in grado di modellare il comportamento, e quanto sia invece un atteggiamento acquisito per calcolo, magari forzando anche le proprie tendenze psicologiche e vincendo spinte interiori e abitudini consolidate, al fine di ottenere successo sociale o vantaggi personali. Con una distinzione di questo genere, questi studi, pur privi di fondamento scientifico per i motivi che si desumono da tutto quanto ho esposto finora, potrebbero acquisire una parvenza di rigore e, magari, fornire qualche indicazione utile. In caso contrario, si rischia, come nello studio sul narcisismo dei presidenti, di non valicare il limite prossimo del gioco di società, a dispetto di una responsabilità deontologica che vorrebbe ben altra destinazione per il finanziamento della ricerca.

 

L’autore invita alla lettura degli scritti di argomento connesso che compaiono sul sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA” del sito).

 

Giuseppe Perrella

 (trascrizione di Lorenzo L. Borgia)

BM&L-13 aprile 2013

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Un’altra versione vuole che la condanna di Eco fosse stata decretata dal dio Pan, innamorato respinto, e che l’irritante ripetizione delle ultime sillabe da parte della ninfa avesse esasperato talmente dei pastori da ucciderla. Gea, la Terra, avrebbe conservato in sé il corpo della giovane diviso in parti, distribuite in tutto il mondo e responsabili del fenomeno acustico dell’eco.

[2] Un’altra versione del mito, fra le tante giunte fino a noi, vuole che sia stato un amante respinto ad invocare l’intervento di Nemesi.

[3] Il narcisismo può essere acquisito? La domanda è meno peregrina di quanto possa apparire sulle prime; sebbene la concezione freudiana, che postula un narcisismo primario come stato e stadio fisiologico dello sviluppo neuropsichico sembra escluderlo, proprio l’attuale categoria psicologica, basata su atteggiamenti e comportamenti, suggerisce la possibilità che un tale “stile” possa essere acquisito, e magari consolidato attraverso il rinforzo sociale.

[4] Sono adottati criteri che includono la presenza di un senso grandioso di importanza, di fantasie di successo, potere, fascino, bellezza; un’eccessiva richiesta di ammirazione; la convinzione di essere speciale e meritevole di trattamenti di favore o da privilegiati; la tendenza allo sfruttamento interpersonale; la mancanza di empatia; l’invidia e la convinzione di essere invidiato; la presenza di comportamenti arroganti e presuntuosi.

[5] Traducendo alla lettera: “I narcisisti sono”, “stupidi”, “cattivi”, “bulli”, “egoisti”. Cfr. Lilienfeld S. O. & Arkowitz H., All about Me. Scientific American MIND 23 (6): 64-65, 2013.

[6] Theodore Millon, Personality disorders in modern life. Wiley, 2004.

[7] Impropriamente tradotto in italiano “Introduzione al narcisismo”.

[8] Silvano Arieti (a cura di), Manuale di Psichiatria (American Handbook of Psychiatry)in 3 volumi; Vol. I, p. 505 (“Tratti orali del carattere: il carattere narcisistico”), Boringhieri, Torino 1985. Si ricorda che i 37 autori dei 113 capitoli in cui era ripartita tutta la trattazione, erano inclusi fra i massimi esperti degli argomenti trattati, e i membri del comitato direttivo dell’opera erano Kenneth E. Appel, Daniel Blain, Norman Cameron, Kurt Goldstein e Lawrence C. Kolb.

[9] Silvano Arieti, op. cit., ibidem

[10] Silvano Arieti, op. cit., ibidem.

[11] Silvano Arieti, op. cit., ibidem.

[12] Silvano Arieti, op. cit., ibidem.

[13] Silvano Arieti, op. cit., ibidem.

 

[14] Uno stato che avrebbe addirittura origine nella vita intrauterina.

[15] Si tratta, evidentemente, di una forzatura interpretativa basata sul paragone metaforico fra una persona che rivolge le proprie pulsioni erotiche e il proprio interesse verso se stesso, e un lattante che non ha ancora maturato processi e abilità senso-motorie e cognitivo-affettive che gli consentano di rivolgere all’esterno attenzioni e pulsioni. Anche se quella fase evolutiva avesse realmente qualcosa in comune con la neurofisiologia del narcisismo, non potrebbe essere altro che uno “stadio precursore”. Alla luce delle conoscenze attuali è molto difficile sostenere la tesi dell’esistenza di un “narcisismo primario” per numerose ragioni, che vanno dalle nuove acquisizioni sulla percezione nei neonati, fino alla insostenibilità dell’esistenza di un’entità energetica allo stesso tempo unitaria e polimorfa, quale la libido freudiana.

[16] Amare se stessi, per Freud, costituisce il complemento libidico all’egoismo dell’istinto di auto-conservazione (Cfr.: Sigmund Freud, Sul Narcisismo: un’introduzione, 1914).

[17] Silvano Arieti, op. cit., Vol. II, p. 1545. Un tale modo di intendere è compatibile con l’esistenza di un narcisismo acquisito, ma tale possibilità entra in contrasto con i presupposti freudiani che hanno fondato e giustificato il pensiero degli altri psicoanalisti e, pertanto, richiede una riformulazione del concetto.

[18] Andrew Sims, Introduzione alla psicopatologia descrittiva, p. 271, Raffaello Cortina Editore, Milano 1997.

[19] Ricordiamo che, più in generale, le interpretazioni di Freud si svilupparono nel tempo attraverso la formulazione di tre teorie dualistiche degli istinti o pulsioni (da lui definite entità “a metà fra l’organico e lo psichico”) consistenti in tre contrapposizioni: fra l’Es e l’Io, fra il narcisismo e la libido oggettuale, e fra Eros e Thanatos.

[20] Andrew Sims, op. cit., p. 272. Si può riconoscere in questa deriva l’influenza dell’ideologia ispiratrice della commissione del DSM-IV che, tendendo ad attribuire valore di senso al comportamento in quanto tale, ha spesso identificato degli atti con le ragioni prevalenti della loro origine, trascurando la possibilità che le stesse azioni possano essere compiute per ragioni diverse. In altre parole, ogni cura eccessiva di sé, secondo questo modo di intendere, è narcisistica.

[21] Glen O. Gabbard, Psichiatria Psicodinamica, p. 483, Raffaello Cortina Editore, Milano 2002.

[22] Quale una funzione da valutare o una malattia da diagnosticare e curare.

[23] Glen O. Gabbard, op. cit., p. 483. Pur volendo accettare il criterio, l’esempio non ci sembra troppo felice; nell’esperienza di molti si osserva proprio il contrario: non sono pochi gli adolescenti poco attenti a questi aspetti della cura personale e i trentenni che, socialmente impegnati come insegnanti, impiegati, liberi professionisti o commercianti, sono stimolati dall’ambiente di lavoro ad una maggiore cura del proprio aspetto.

[24] Glen O. Gabbard, op. cit., ibidem.

[25] Glen O. Gabbard, op. cit., p. 484.

[26] La presenza di successo sociale sarebbe una prova di “normalità”, così come l’insuccesso di “patologia”.

[27] Glen O. Gabbard, op. cit., p. 485.

[28] Glen O. Gabbard, op. cit., ibidem.

 

[29] Glen O. Gabbard, op. cit., ibidem.

 

[30] Si ricorda che l’eliminazione dal DSM della categoria della “psicopatia”, ha indotto molti psichiatri e psicologi clinici a far rientrare nel “narcisismo patologico” persone in precedenza definite psicopatiche.

[31] Glen O. Gabbard, op. cit., p. 485.

[32] Glen O. Gabbard, op. cit., p. 486.

 

[33] Si veda la nota “4”.

[34] Cfr. Glen O. Gabbard, op. cit., p. 487. Lilienfeld e Arkowitz affermano che il criterio attuale per la diagnosi di “Disturbo narcisistico di personalità” è una miscela di due prototipi, l’uno tendente all’autoesaltazione, e l’altro preoccupato di tutto (diremmo a tendenza fobica ed ipocondriaca), come un personaggio spesso interpretato da Woody Allen nei suoi lavori cinematografici (Cfr. Lilienfeld S. O. & Arkowitz H., op. cit.).

[35] Cfr. Glen O. Gabbard, op. cit., ibidem.

[36] Immaturità psichica in generale, che spesso si manifesta attraverso l’immaturità affettiva. Con tali espressioni intendo un difetto di proporzioni variabili del cambiamento di assetto psichico funzionale di base che avviene nel passaggio dall’infanzia all’età adulta, e che si manifesta con una diversa sensibilità, reattività, ecc.

[37] Un tale difetto di maturazione fa sì che entri in gioco l’identità del soggetto in ogni relazione: la critica o la mancata accettazione di un’idea o di una scelta viene vissuta come una minaccia per l’identità o un rifiuto della propria persona.

[38] Lo studio comparato dell’evoluzione embriologica e post-natale dei mammiferi osserva che il piccolo d’uomo nasce “prematurato”, per effetto di un piano genetico che consentirà il completamento dello sviluppo del suo encefalo dopo la nascita, nell’interazione con un ambiente relazionale, linguistico e culturale. Si pensi, per contro, ai cavalli e agli altri quadrupedi che, poco dopo la nascita, sono capaci di locomozione autonoma. Si parla, per la nostra specie, di “prematurazione specifica” o “prematurazione teleologica”, ossia finalizzata al proseguimento e al compimento dei processi di sviluppo nervoso nell’interazione con la realtà circostante.

[39] Non vi sono criteri soddisfacenti ed universalmente accettati per distinguere fra narcisismo psicologico e patologico, né per la distinzione del disturbo narcisistico di personalità dal disturbo istrionico, dal disturbo psicopatico e da alcuni quadri clinici che rientravano nelle vecchie definizioni di sindromi isteriche, per  ciò che concerne l’estremo nevrotico della gamma, e negli sviluppi paranoici di personalità, per l’estremo psicotico.

[40] Attualmente sono, rispettivamente, alla Ohio State University e alla Florida State University.

[41] Cfr. Lilienfeld S. O. & Arkowitz H., op. cit.